Ero ancora al buio
quella mattina. Svegliato da grida confuse, mi misi a sedere sul letto con lo
sguardo rivolto alla finestra, ma le imposte chiuse dell’apertura erano solo
una chiazza scura sulla parete. Quelle grida confuse, però, si facevano più vicine.
Un clamore in strada.
Sicuramente qualcuno
ha bevuto troppo vino, pensai arrabbiato. Anch’io avevo bevuto vino la sera
precedente, mentre intrattenevo Aristotele.
«Non potrai fare le
ore piccole per bere con me una volta sposato», aveva scherzato lui. Senza
dubbio gli schiavi erano ben decisi a dormire nonostante il persistente
baccano. Lo schiavo di casa, Trifos, un uomo tuttofare che faceva tutto male, e
la cui principale peculiarità era la mancanza di un dito a causa di un colpo
d’ascia, era un accanito dormiglione. Mi alzai borbottando sottovoce, con
l’intenzione di dire a quei crapuloni di spostare i loro festeggiamenti
altrove. Mi avviai più lentamente di quanto avrei fatto prima d’essere ferito
in Oriente, cercando durante il tragitto di avvolgermi il corpo nudo nel
mantello. Non volendo svegliare il mio ospite, non accesi nemmeno una lampada.
Questa si rivelò
un’inutile precauzione, visto come andarono le cose, perché qualcuno bussò
fragorosamente alla porta di casa nostra urlando: «Aristotele è in casa?
Aiutateci, cerchiamo Aristotele di Stagira!».
Il filosofo doveva
già essersi svegliato, perché d’un tratto me lo ritrovai alle spalle, intento
come me a tentare di mettersi il mantello. «Sta’ attento!», lo ammonii.
«Potrebbe essere una trappola».
«Improbabile»,
osservò pacatamente lui. «Il tono di questa gente sembra più preoccupato che
arrabbiato».
Avanzai verso la
soglia, facendo cenno ad Aristotele di restare indietro, poi tolsi il
chiavistello alla porta e la aprii, ma non completamente.
Sebbene la strada
fosse buia, d’un tratto vidi questa scena. Uno dei tre uomini alla mia porta
portava una fiaccola non grossa, un piccolo tizzone dalla fiamma tremolante.
Costui, però, aveva le braccia lunghe, e teneva la luce spavaldamente alta,
tanto che essa per poco non mi abbagliò gli occhi sonnacchiosi. «Cosa volete?»,
chiesi brusco. «Perché vi presentate in casa di un uomo prima che faccia
giorno?».
«Ti prego, Stefanos»,
disse l’uomo più robusto, non quello che portava la fiaccola. «Sono il tuo
vicino Gerone. Abito qui a due passi».
«Ti conosco», dissi,
salutandolo con un cenno del capo. A dire il vero, conoscevo piuttosto bene il
mio vicino Gerone, sebbene in questo momento avesse un’aria un po’
scarmigliata.
Lui almeno, rispetto
a me, aveva il vantaggio d’essere completamente vestito. Il mantello che mi ero
messo su in fretta e furia era sul punto di scivolarmi completamente di dosso.
«Sono corso qui con i
miei amici, Diognetos di Eleusi e Alirrotio, per chiedere aiuto!». Gerone aveva
gli occhi di fuori e il respiro troppo affannoso per parlare agevolmente. Il
suo alito era appestato dai fumi del vino. Appariva senza dubbio più sconvolto
degli altri due uomini. Uno di questi era un perfetto estraneo per me, ma
quello con la fiaccola lo conoscevo di vista, Alirrotio, vicino di casa di
Gerone e mio.
«Chiediamo di lui»,
spiegò l’uomo che non conoscevo, che doveva essere Diognetos, «perché abbiamo
sentito che ospitavi in casa tua il grande filosofo, e volevamo che ci aiutasse
a scoprire chi è stato».
«A fare cosa?»,
chiesi, ma Diognetos era a metà di un’altra frase.
«… stato io a
suggerire di venire prima qui, quando Gerone ha scoperto il buco nel suo muro».
«È stata un’idea di
Gerone cercare Aristotele», intervenne il terzo uomo, Alirrotio.
Questo vicino,
leggermente più alto degli altri due, fungeva da portatore di fiaccola; il suo
braccio nerboruto reggeva la torcia saldamente in alto.
Muscoloso ma agile,
Alirrotio non era affannato per la corsa.
Gerone aveva ripreso
fiato ormai. «A casa mia… sicuramente è entrato qualcuno», precisò. «Una rapina
notturna! Qualsiasi aiuto possiate dare… qualsiasi luce il filosofo possa fare…»,
continuò.
«Oh, ma dov’è
Aristotele?».
«Qui», disse il mio
vecchio amico con calma. Ormai era ben fasciato dal suo mantello, e sembrava
sveglio.
«Venite», disse
Gerone ansimante. Il mio vicino tese la mano verso di noi implorandoci. «Subito,
vi prego! Noi non siamo entrati, i ladri potrebbero essere ancora lì! Potremmo
catturarli».
La sua mano pressante
ed annaspante afferrò il mantello di Aristotele, ed egli trascinò il filosofo
in strada. Dato che l’uomo sconvolto cominciò a correre, Aristotele fu
comicamente costretto a seguirlo, a meno che non volesse perdere il mantello e
andare in giro nudo nell’aria pungente di una notte d’inizio autunno. Colto di
sorpresa, mi affrettai a seguirli a piedi scalzi, scivolando però su un punto
sdrucciolevole dei gradini d’ingresso; fortunatamente ripresi l’equilibrio. L’orgoglio
esigeva che mantenessi un’andatura rapida, pur essendo ancora un po’ debole.
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