Teresa
Mattei - Intervento all'Assemblea costituente, seduta pomeridiana del 18 marzo
1947
Onorevoli colleghi, parlare dopo il
decano, dopo i più anziani di questa Assemblea è un compito un po' difficile
per una giovane donna. Ma, forse, uno dei pochi vantaggi che io presenterò,
sarà quello di essere breve, anche perché mi sarebbe estremamente difficile
diffondermi troppo in ricordi di gioventù. (Si
ride).
Vorrei solo sottolineare in questa
Assemblea qualcosa di nuovo che sta accadendo nel nostro Paese. Non a caso, fra
le più solenni dichiarazioni che rientrano nei 7 articoli di queste
disposizioni generali, accanto alla formula che delinea il volto nuovo, fatto
di democrazia, di lavoro, di progresso sociale, della nostra Repubblica,
accanto alla solenne affermazione della nostra volontà di pace e di
collaborazione internazionale, accanto alla riaffermata dignità della persona
umana, trova posto, nell'articolo 7 (diventerà
l'articolo 3, ndr), la non meno solenne e necessaria affermazione
della completa eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di opinioni
religiose e politiche. Questo basterebbe, onorevoli colleghi, a dare un
preminente carattere antifascista a tutta la nostra Costituzione, perché
proprio in queste fondamentali cose il fascismo ha tradito l'Italia, togliendo
all'Italia il suo carattere di Paese del lavoro e dei lavoratori, togliendo ai
lavoratori le loro libertà, conducendo una politica di guerra, una politica di
odio verso gli altri Paesi, facendo una politica che sopprimeva ogni possibilità
della persona umana di veder rispettate le proprie libertà, la propria dignità,
facendo in modo di togliere la possibilità alle categorie più oppresse, più
diseredate del nostro Paese, di affacciarsi alla vita sociale, alla vita
nazionale, e togliendo quindi anche alle donne italiane la possibilità di
contribuire fattivamente alla costituzione di una società migliore, di una
società che si avanzasse sulla strada del progresso, sulla strada della
giustizia sociale. Noi salutiamo quindi con speranza e con fiducia la figura di
donna che nasce dalla solenne affermazione costituzionale. (…)
La lotta per la conquista della parità
di questi diritti, condotta in questi anni dalle donne italiane, si differenzia
nettamente dalle lotte passate, dai movimenti a carattere femminista e base
spiccatamente individualista. Questo in Italia, dal più al meno, tutti lo hanno
compreso. Hanno compreso come la nostra esigenza di entrare nella vita
nazionale, di entrare in ogni campo di attività che sia fattivo di bene per il
nostro Paese, non è l’esigenza di affermare la nostra personalità
contrapponendola alla personalità maschile, facendo il solito femminismo che
alcuni decenni fa aveva incominciato a muoversi nei vari Paesi d’Europa e del
mondo. Noi non vogliamo
che le nostre donne si mascolinizzino, non non vogliamo che le donne italiane
aspirino ad un’assurda identità con l’uomo; vogliamo semplicemente che esse
abbiano la possibilità di espandere tutte le loro forze, tutte le loro energie,
tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese.
Per ciò riteniamo che il concetto informatore della lotta che abbiamo condotta
per raggiungere la parità dei diritti, debba stare a base della nostra nuova
Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro.
È nostro convincimento, che,
confortato da un attento esame storico, può divenire certezza, che nessuno
sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un
popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per
emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero
sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso
e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel
campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica
del Paese. (…).
Non vi può essere oggi infatti, a
nostro avviso, un solo passo sulla via della democrazia, che non voglia essere
solo formale ma sostanziale, non vi può essere un solo passo sulla via del
progresso civile e sociale che non possa e non debba essere compiuto dalla
donna insieme all’uomo, se si voglia veramente che la conquista affermata dalla
Carta costituzionale divenga stabile realtà per la vita e per il migliore
avvenire d’Italia.
Ma una cosa ancora noi affermiamo qui:
il riconoscimento della raggiunta parità esiste per ora negli articoli della
nuova Costituzione. Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane,
ma non certo un punto di arrivo. Guai se considerassimo questo un punto di
arrivo, un approdo. (…)
Anche ammesso, come speriamo, che il
futuro ordinamento giudiziario sia ben migliore di quello vigente, noi non
possiamo ammettere che alle donne, in quanto tali, rimangano chiuse porte che
sono invece aperte agli uomini.
Sia tolto ogni senso di limitazione e
si anzi affermato, in forma esplicita e piena, il diritto delle donne ad
accedere, in libero agone, ad ogni grado della Magistratura, come di ogni altra
carriera. (…)
Per questa ragione io torno a proporre
che sia migliorata la forma del secondo comma dell'articolo 7 nel seguente
modo:
“È compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli d'ordine economico e sociale che limitano «di fatto» - noi
vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l'eguaglianza degli individui e
impediscono il completo sviluppo della persona umana”.
Voi direte che questo è un pleonasmo.
Noi però riteniamo che occorra specificare «di fatto». Vogliamo qui ricordare
quello che avviene in altri paesi democratici. Si dice che l'Inghilterra sia un
paese democratico: ebbene, nella democratica Inghilterra le donne hanno
conquistato formalmente il riconoscimento della parità assoluta dei diritti
circa trent'anni fa, nel 1919. Ma ancora oggi in questa libera e democratica
Inghilterra, dove le donne dovrebbero godere di tutti i diritti come gli
uomini, poco si è fatto, perché ci si è limitati a sancire formalmente una
conquista, che poi nessuno ha voluto realizzare nella pratica. (…)
Mazzini, e tutti i nostri grandi che
hanno pensato ed operato per l'avvento nel nostro Paese della Repubblica, ci
hanno insegnato che la pietra angolare della Repubblica, ciò che le dà vita e
significato, è la sovranità popolare.
Spetta a tutti noi (…) di partecipare
attivamente alla gestione della cosa pubblica per rendere effettiva e piena
questa sovranità popolare. Ma, perché questo accada veramente, occorre che
accanto ai cittadini sorgano, si formino, lavorino le cittadine, fatte mature e
coscienti al pieno adempimento di tutti i loro doveri, da quelli familiari ai
civili, dal normativo ed educativo godimento dei loro pieni diritti.
Aiutateci tutti a sciogliere veramente
e completamente tutti i legami che ancora avvincono le mani delle nostre donne
e avrete nuove braccia, liberamente operose per la ricostruzione d'Italia, per
la sicura edificazione della Repubblica italiana dei lavoratori.
MATTEI TERESA. Nata a Genova l’1
febbraio 1921, laureata in Filosofia, nel 1938 venne espulsa da tutte le scuole
per essersi rifiutata di assistere alle lezioni di difesa della razza.
Componente dei gruppi clandestini di “Giustizia e Libertà”, nel 1943 entrò nel
Partito Comunista, partecipando alla lotta partigiana a Firenze come staffetta.
Tra le fondatrici dei gruppi di difesa della donna e dell’UDI, fu lei ad
introdurre la mimosa come simbolo della giornata della donna. Eletta
all’Assemblea costituente nelle liste del PCI, fu segretaria del primo
Parlamento repubblicano. Nel 1955 venne espulsa dal PCI perché contraria allo
stalinismo e alla linea togliattiana.
ARTICOLO 3:
Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali.
È compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà
e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.