De Nicola, De Gasperi e Terracini firmano la Costituzione Italiana
Onorevoli colleghi,
è con un senso di nuova profonda commozione che ho pronunciato or
ora la formula abituale con la quale, da questo seggio, nei mesi
passati ho, cento e cento volte, annunciato all’Assemblea il risultato
delle sue votazioni. Di tutte queste, delle più combattute e delle più
tranquille, di quelle che videro riuniti in un solo consenso tutti i
settori e delle altre in cui il margine di maggioranza oscillò
sull’unità; di tutti questi atti di volontà che, giorno per giorno,
vennero svolgendosi, con un legame non sempre immediatamente conseguente
– in riflesso di situazioni mutevoli non solo nell’aula, ma anche nel
Paese – quest’ultimo ha riassunto il significato e gli intenti,
affermandoli definitivamente e senza eccezione come legge fondamentale
di tutto il popolo italiano.
Ed io credo di potere avvertire attorno a noi, oggi, di questo
popolo l’interesse fervido ed il plauso consapevole e soddisfatto. Si
può ora dirlo; vi è stato un momento, dopo i primi accesi entusiasmi,
nutriti forse di attese non commisurate alle condizioni storicamente
maturate ed in loro reazione, vi è stato un momento nel quale come una
parete di indifferenza minacciava di levarsi fra questo consesso e le
masse popolari. E uomini e gruppi, già ricacciati al margine della
nostra società nazionale dalla prorompente libertà – detriti del regime
crollato o torbidi avventurieri di ogni congiuntura – alacremente, e
forse godendo troppa impunità, si erano dati ad approfondire il
distacco, ricoprendo di contumelie, di calunnie, di accuse e di sospetti
questo istituto, emblema e cuore della restaurata democrazia.
Onorevoli deputati, è col nostro lavoro, intenso e ordinato, è
con lo spettacolo ad ogni giorno da noi offertogli della nostra
metodica, instancabile applicazione al compito affidatoci, che noi ci
siamo in fine conquistati la simpatia e la fiducia del popolo italiano.
Il quale, nelle sue distrette come nelle sue gioie, sempre più è venuto
volgendosi all’Assemblea costituente come a naturale delegata ed
interprete e realizzatrice del suo pensiero e delle sue aspirazioni. E
le centinaia, le migliaia di messaggi di protesta, di approvazione, di
denuncia, di richieste giunti alla presidenza nel corso dei diciotto
mesi di vita della Costituente, testimoniano del crescente spontaneo
affermarsi della sua autorità, come Assemblea rappresentativa. E’ questo
un prezioso retaggio morale che noi lasciamo alle future Camere
legislative della Repubblica.
Ho parlato di lavoro instancabile. Ne fanno fede le 347 sedute a
cui ci convocammo, delle quali 170 esclusivamente costituzionali; i 1663
emendamenti che furono presentati sui 140 articoli del progetto di
Costituzione, dei quali 292 approvati, 314 respinti, 1057 ritirati o
assorbiti; i 1090 interventi in discussione da parte di 275 oratori; i
44 appelli nominali ed i 109 scrutini segreti; i 40 ordini del giorno
votati; gli 828 schemi di provvedimenti legislativi trasmessi dal
governo all’esame delle Commissioni permanenti ed i 61 disegni di legge
deferiti all’Assemblea; le 23 mozioni presentate, delle quali 7 svolte;
le 166 interpellanze di cui 22 discusse; le 1409 interrogazioni, 492
delle quali trattate in seduta, più le 2161 con domanda di risposta
scritta, che furono soddisfatte per oltre tre quarti dai rispettivi
dicasteri.
Lavoro instancabile, sta bene. Ma anche lavoro completo? Alla
stregua del mandato conferitoci dalla nostra legge istitutiva, sì. Noi
consegniamo oggi, a chi ci elesse il 2 giugno, la Costituzione; noi
abbiamo assolto il compito amarissimo di dare avallo ai patti di pace
che hanno chiuso ufficialmente l’ultimo tragico e rovinoso capitolo del
ventennio di umiliazioni e di colpe; e, con le leggi elettorali, stiamo
apprestando il ponte di passaggio, da questo periodo ancora anormale, ad
una normalità di reggimento politico del Paese nel quale competa ad
ogni organo costituzionale il compito che gli è proprio ed esclusivo: di
fare le leggi, al Parlamento; al governo di applicarle; ed alla
magistratura di controllarne la retta osservanza. Ma, con la
Costituzione, questa Assemblea ha inserito nella struttura della stato
repubblicano altri organi, ignoti al passato sistema, suggeriti a noi
dall’esperienza dolorosa o dettati dalla evoluzione della vita sociale
ed economica del Paese. Tale la Corte delle garanzie costituzionali,
sancita a difesa dei diritti e delle libertà fondamentali, ma non a
preclusione di progressi ulteriori del popolo italiano verso una sempre
maggiore dignità dell’uomo, del cittadino, del lavoratore. Tale il
Consiglio nazionale della economia e del lavoro, che rimuovendo gli
ostacoli dovuti a incomprensione o ad ignoranza delle altrui esigenze,
eviterà le battaglie non giustificate, disperditrici di preziose
energie, dando alle altre, necessarie invece ed irreprimibili in ogni
corpo sociale che abbia vita fervida e sana, consapevolezza di intenti e
idoneità di mezzi. Ma forse, sì, non taciamolo, onorevoli colleghi,
molta parte del popolo italiano avrebbe voluto dall’Assemblea
costituente qualcos’altro ancora. I più miseri, coloro che conoscono la
vana attesa estenuante di un lavoro in cui prodigare le proprie forze
creatrici e da cui trarre i mezzi di vita; coloro che, avendo lavorato
per un’intera vita, fatti inabili dall’età, dalla fatica, dalle
privazioni, ancora inutilmente aspettano dalla solidarietà nazionale una
modesta garanzia contro il bisogno; coloro che frustano i loro giorni
in una fatica senza prospettiva, chiudendo ad ogni sera un bilancio
senza residui, utensili pensanti e dotati d’anima di un qualche gelido
mostruoso apparato meccanico, o forze brute di lavoro su terre estranee e
perciò stesso ostili: essi si attendevano tutti che l’Assemblea
esaudisse le loro ardenti aspirazioni, memori come erano di parole
proclamate e rieccheggiate.Noi lo sappiamo, oggi, che ciò avrebbe
superato le nostre possibilità. Ma noi sappiamo di avere posto, nella
Costituzione, altre parole che impegnano inderogabilmente la Repubblica a
non ignorare più quelle attese, ad applicarsi risolutamente
all’apprestamento degli strumenti giuridici atti a soddisfarle. La
Costituzione postula, senza equivoci, le riforme che il popolo italiano,
in composta fiducia, rivendica. Mancare all’impegno sarebbe nello
stesso tempo violare la Costituzione e compromettere, forse
definitivamente, l’avvenire della Nazione italiana. Onorevoli colleghi,
ieri sera, quasi a suggello simbolico apposto alla Carta costituzionale,
voi avete votato un ordine del giorno col quale raccomandate e
sollecitate dal presidente della Repubblica un atto generoso di clemenza
e di perdono. Già al suo primo sorgere, la Repubblica volle stendere le
sue mani indulgenti e volgere il suo sguardo benigno e sereno verso
tanti, che pure non avevano esitato a straziare la Patria italiana, ad
allearsi con i suoi nemici, a colpirne i figli più eroici. Il rinnovato
gesto di amistà, del quale vi siete fatti promotori, vuole oggi
esprimere lo spirito che ha informato i nostri lavori, in ognuno di noi,
su qualunque banco si sedesse, a qualunque ideologia ci si richiami.
L’Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto
di amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui essa lo affida
perchè se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. E noi
stessi, onorevoli deputati, colleghi cari e fedeli di lunghe e degne
fatiche, conclusa la nostra maggiore opera, dopo avere fatta la legge,
diveniamone i più fedeli e rigidi servitori. Cittadini fra i cittadini,
sia pure per breve tempo, traduciamo nelle nostre azioni, le maggiori e
le più modeste, quegli ideali che, interpretando il voto delle larghe
masse popolari e lavoratrici, abbiamo voluto incidere nella legge
fondamentale della Repubblica. Con voi m’inchino reverente alla memoria
di quelli che, cadendo nella lotta contro il fascismo e contro i
tedeschi, pagarono per tutto il popolo italiano il tragico e generoso
prezzo di sangue per la nostra libertà e per la nostra indipendenza; con
voi inneggio ai tempi nuovi cui, col nostro voto, abbiamo aperto la
strada per un loro legittimo affermarsi. Viva la Repubblica democratica
italiana, libera, pacifica ed indipendente!
Umberto Terracini pronuncia questo discorso dopo aver comunicato il
risultato della votazione con cui i deputati hanno approvato il testo
finale della Costituzione