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30 novembre 2016

È l’amore - Jorge Luis Borges

foto di Antonio Di Pasquale - da fotocommunity


È l’amore - Jorge Luis Borges

È l’amore. Dovrò nascondermi o fuggire.
Crescono le mura delle sue carceri, come in un incubo atroce.
La bella maschera è cambiata, ma come sempre è l’unica.
A cosa mi serviranno i miei talismani:
l’esercizio delle lettere, la vaga erudizione,
le gallerie della Biblioteca, le cose comuni,
le abitudini, la notte intemporale, il sapore del sonno?
Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo.
È, lo so, l’amore: l’ansia e il sollievo di sentire la tua voce,
l’attesa e la memoria, l’orrore di vivere nel tempo successivo.
È l’amore con le sue mitologie, con le sue piccole magie inutili.
C’è un angolo di strada dove non oso passare.
Il nome di una donna mi denuncia.
Mi fa male una donna in tutto il corpo

Spogliarsi - Beatrice Garland

foto da pinterest


Spogliarsi - Beatrice Garland

Perdendo maglie
o disfacendo il letto
o come pioggia dai coppi,
arrivano ruzzolando:
vestiti verdi, calze pallide,
seta sciolta – come erba mietuta
o rose in fiore,
placandosi in piccoli mucchi
e catturando per un istante
la levità di un sentore – sapone,
pelle fragrante – congiungendo
queste flessuose repliche di sé.

E perché fermarsi lì?
O come un animale,
un seme, un frutto, andare avanti
a mutare gli antichi strati di pelle,
muta di serpente, pula, pelliccia
o duro acerbo mallo di noce,
finché l’intera selvatichezza
dell’età che incombe
è perduta e qualcosa di
dolce, intatto, immacolato
emerge ammiccando
all’aria aperta?

E forse nel tempo
questo lento disfare arriverà
a qualche immaginata profondità,
la densa e verdepallida gemma,
lieve, impalpabile.
Sì. Accadrà,
quell’ultima capriola di indumenti,
tendini, ciocche di luce e alveoli –
il resto è terra,
vetrate d’aria,
chiuse cortine di pioggia,
il sole inatteso.

Mare dei baci rossi - Thomas Harris


foto da tagged.com


Mare dei baci rossi - Thomas Harris

Ed entravamo nelle sconcertate città
di queste disorientate latitudini
e non ci fu buco fessura grotta caverna
che non violentassimo
pianura
che non affossassimo
luogo che non fondassimo
gonna camicia mutanda calza
che non annusassimo o baciassimo
rossi
come se aggredissimo agnelli
racchiusi nei loro ovili
agnelle
protette da mura nelle loro false città:
Bataille dixit la violenza è silenzio
la violenza parla, silenzio,
non lo sappiamo con certezza,
ma noi parlammo con lo specchio,
machete alla mano,
verga alla mano,
nel Ponente del Mondo,
tutto ci era permesso nei sogni come si era detto
quando si strisciarono le albe rosse
di questa storia
di sogni
passione
e morte
quando in noi, fetidi e sifilitici,
si affacciava nell'immaginazione corrosa
un nuovo rituale,
altro,
incomprensibile,
malato come queste città dove ciò accade
e tutto perché guardassimo, nulla più,
senza riuscire a comprendere del tutto.

Le prime comunioni - Arthur Rimbaud

foto di Claudia Rogge
Le prime comunioni - Arthur Rimbaud

I
È davvero stupido, queste chiese di campagna
dove quindici brutti marmocchi sporcano le navate
ascoltando, mentre storpia i cicalecci divini,
un affare nero e grottesco le cui scarpe fermentano:
ma il sole risveglia, attraverso il fogliame
i vecchi colori di vetrate irregolari.

La pietra sa sempre di terra materna.
Vedrete cumuli di quei ciottoli terrosi
nella campagna infoiata che freme solenne
accanto alle pesanti messi, per i sentieri d'ocra,
questi arboscelli arsi dove azzurreggiano prugne,
nodi di neri gelsi e rosai stercosi.

Ogni cento anni questi fienili sono resi presentabili
con una mano d'acqua azzurra e di latte cagliato:
se grotteschi misticismi sono evidenti
accanto a Nostra Signora o al Santo impagliato,
mosche olezzanti di stalla e d'osteria
s'ingozzano di cera sul pavimento assolato.

Il giovane appartiene soprattutto alla casa, famiglia
d'ingenue cure, di buoni lavori abbrutenti;
essi escono, dimenticando che la loro pelle formicola
dove il Prete di Cristo affondò le sue dita possenti.
Si paga al Prete un tetto ombrato da un pergolato
perché egli lasci al sole la loro fronte abbronzata.

Il primo abito nero, il più bel giorno delle torte,
sotto il Napoleone o il Tamburino,
qualche miniatura dove i Giuseppi e le Marte
tirano fuori la lingua con eccessivo amore
a cui s'aggiungeranno, nel giorno della scienza, due carte,
questi due soli ricordi che gli restano del gran Giorno.

Le fanciulle si recano sempre in chiesa, contente
di sentirsi chiamare sgualdrine dai ragazzi
che si mettono in mostra dopo la Messa o i vespri cantati.
Loro che sono destinati all'eleganza delle guarnigioni
sfottono al caffè i casati importanti,
vestiti a nuovo, sbraitando oscene canzoni.

Intanto il Curato sceglie per i fanciulli
dei santini; nel suo orto, detti i vespri, quando
l'aria s'empie del lontano suono nasale delle danze,
egli sente, a dispetto dei celesti divieti,
le dita dei piedi rapite e il polpaccio segnare il ritmo;
- e viene la Notte, nero pirata che sbarca nei cieli d'oro.

II
Il Prete ha scelto, tra i bambini del catechismo
riuniti dai Sobborghi o dai Quartieri Ricchi,
una piccola sconosciuta fanciulla, dagli occhi tristi,
dalla fronte gialla. I genitori sembrano dolci portinai.
«Nel grande Giorno, decisivo per i Catechisti,
Dio farà nevicare su questa fronte l'acqua santa.»

III
La vigilia del grande Giorno, la bambina s'ammala.
Di più che nella Chiesa maestosa dai funebri rumori,
giunge prima il brivido, - il letto non è insipido, -
un brivido sovrumano che ritorna: «Io muoio...»

E, come un furto d'amore fatto a stupide sorelle,
conta, poste le mani sul suo cuore,
gli Angeli, i Gesù e le sue nitide Vergini,
e con calma, il suo vincitore si beve la sua anima.

Adonài!... - Dentro i suffissi latini,
cieli screziati di verde bagnano le fronti vermiglie,
e, macchiati del sangue puro dei petti celesti,
grandi panni di neve cadono sui soli!

- Per la sua verginità presente e futura
ella morde la freschezza della tua Remissione,
ma più che dei gigli d'acqua, più che marmellate,
sono ghiacci i tuoi perdoni, o Regina di Sion!

IV
Poi la Vergine torna ad essere la vergine del libro.
Gli slanci mistici talvolta si spezzano...
E viene la povertà delle immagini, patinate
di noia, miniature atroci e vecchi legni;

Curiosità vagamente impudiche
spauriscono il sogno delle caste azzurrità
che si è sorpreso intorno alle celesti tuniche
del panno con cui Gesù vela le sue nudità.

Lei vuole, lei vuole tuttavia, l'anima in pericolo,
la fronte sul cuscino scavato dalle sue sorde grida,
prolungare i supremi bagliori della tenerezza,
e sbava... - L'ombra riempie case e cortili.

La fanciulla non ne può più. S'agita, inarca
le reni e con la mano apre le tendine blu
per portare un po' della freschezza della camera
sotto il lenzuolo, sul suo ventre e sul petto in fiamme...

V
Al suo risveglio, - è mezzanotte -, la finestra è bianca.
Davanti al sonno blu delle tendine illuminate dalla luna
la coglie la visione dei candori della domenica;
Aveva sognato rosso. Perde sangue dal naso

e sentendosi casta e piena di debolezza,
per assaporare in Dio il suo ritorno d'amore,
ha sete di notte in cui si esalta e si deprime
il cuore, che indovina il dolce occhio del cielo;

della notte, Vergine-Madre impalpabile, che bagna
tutte le giovani emozioni con i suoi grigi silenzi;
ha sete della notte forte in cui il cuore che sanguina
scorre senza testimoni la sua rivolta senza grida.

E mentre fa la Vittima e la piccola sposa,
la vede la sua stella, con una candela tra le dita,
scendere nel cortile dove si asciuga una camicia,
bianco spettro, e far sorgere i neri spettri dei tetti.

VI
Passò la sua notte santa nelle latrine.
Verso la candela, dai buchi del tetto colava l'aria bianca,
e qualche pazza vigna di nero purpureo,
di quà d'un cortile vicino crollava.

Il lucernaio disegnava un cuore di luce viva
nel cortile dove il cielo basso tingeva d'oro vermiglio
i vetri; i pavimenti che puzzano d'acqua saponata
subivano l'ombra dei muri stipati di sonni neri.
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VII
Chi dirà questi languori e questa pietà immonda,
e l'odio che in lei nascerà, o luridi pazzi
il cui divino lavoro deforma ancora i mondi,
quando alfine la lebbra mangerà questi dolci corpi?
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VIII
E quando, avendo sciolto ogni suo nodo d'isteria,
vedrà, nella tristezza della felicità,
l'amante sognare il bianco stuolo di Marie,
all'alba della notte d'amore, dirà con dolore:

«Sai che t'ho fatto morire? Ho preso la tua bocca,
il tuo cuore, tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che avete;
ed io, sono malata: Oh! voglio che mi corichino
tra i Morti abbeverati dalle acque notturne!

«Ero molto giovane, e Cristo ha insozzato i miei respiri.
Mi ha riempito di disgusto fino al collo!
Tu baciavi i miei capelli profondi come lana,
ed io lasciavo fare... ah! è un bene per voi,

«Uomini! che non pensate mai che la più innamorata
è in preda ad ignobili terrori nella sua coscienza,
la più prostituita e la più dolorosa,
e che tutti i nostri slanci verso di voi sono errori!

«Ormai la mia Prima Comunione è lontana.
I tuoi baci, non posso mai averli gustati:
e il mio cuore e la mia carne dalla tua carne abbracciata
formicolano per il putrido bacio di Gesù!»

IX
Allora l'anima putrida e l'anima desolata
sentiranno sgorgare le tue maledizioni.
- Essi avranno giaciuto sul tuo Odio inviolato,
scappati, per la morte, alle giuste passioni

Cristo! o Cristo, eterno ladro di energie,
Dio che per duemila anni hai votato al tuo pallore,
inchiodate al suolo dalla vergogna e dalla cefalgia,
le fronti chine delle donne del dolore.

Luglio 1871

Noi che abbiamo il mare dentro – Grazia Fresu

foto da pinterest

Noi che abbiamo il mare dentro – Grazia Fresu

Noi che abbiamo il mare dentro
figli d’isole zattere lanciate
sull’acqua delle migrazioni
scogliere di miti e di vento,
noi che le onde scavano
pareti del cuore e pelle
e abbiamo bisogno
di una luna nuova ogni notte
per sollevare le maree
dei nostri corpi inquieti,
noi dove la tempesta
ha il ruggito di mostri marini
a guardia dei canali
e la aspettiamo con le mani
ferme sul timone e lo sguardo
che fende la nebbia
per trovare la costa,
noi che il mare lo abbiamo amato
anche tra le braccia dell’altro
e nel suo ventre,
noi che siamo impasto
di profondità e azzurro
marinai e sirene
le anfore del fondo e le vele
lo sciabordio della marina
le case gialle e rosa del porto
i mirti profumati i pesci
negli anfratti nascosti
le infinite odissee le civiltà sepolte
che un intatto ricordo riproduce
nelle ore sfiancate della sera,
noi che abbiamo il mare dentro
eternamente viaggiamo
al bordo della parola e del silenzio.

Iam Ver Egelidos Refert Tepores - Anne Carson

Iam Ver Egelidos Refert Tepores
(Ed ora la primavera riporta il caldo)


Catullo saluta la nuova stagione.
Ora la primavera si dischiude.
Ora l'equinozio cessa le sue furie blu si quietano
Come pagine.
Ti dico lascia Troia lascia la terra che brucia, loro
l'han già fatto.
Guarda cambieremo tutto tutti i significati
Tutte le chiare città d'Asia tu e io.
Ora la mente non è anch'essa un'avida precipitosa
vagabonda?
Ora ai piedi crescono foglie così felici di vedere di chi
il verde adeschi.
Aspetta.
O tesoro non andare.
Indietro per la vecchia via percorri una nuova via.

Traduzione di Patrizio Ceccagnoli
Poesia n. 307 Settembre 2015
Anne Carson. Dalla parte di Lesbia (e del fratello)
A cura di Patrizio Ceccagnoli

29 novembre 2016

La nostra marcia - Vladimir Majakovskij

La nostra marcia - Vladimir Majakovskij

Battete sulle piazze il calpestio delle rivolte!
In alto, catena di teste superbe!
Con la piena del secondo diluvio
laveremo le città dei mondi.
Il toro dei giorni è screziato.
Lento è il carro degli anni.
La corsa il nostro dio.
Il cuore il nostro tamburo.
Che c'è di più divino del nostro oro?
Ci pungerà la vespa d'un proiettile?
Nostra arma sono le nostre canzoni.
Nostro oro sono le voci squillanti.
Prato, distenditi verde,
tappezza il fondo dei giorni.
Arcobaleno, dà un arco
ai veloci corsieri degli anni.
Vedete, il cielo ha noia delle stelle!
Da soli intessiamo i nostri canti.
E tu, Orsa maggiore, pretendi
che vivi ci assumano in cielo!
Canta! Bevi le gioie!
Primavera ricolma le vene.
Cuore, rulla come tamburo!
Il nostro petto è rame di timballi.

Un dialogo di sguardi - Kenneth Rexroth



Un dialogo di sguardi - Kenneth Rexroth

Lasciati celebrare. Io non
ho conosciuto mai nessuna
più bella di te. Io cammino
al tuo fianco, ti guardo
muoverti al mio fianco, guardo
la quieta grazia della mano
e della coscia, guardo il tuo viso
cambiare espressione per parole
che non dici, guardo i tuoi occhi
severi rivolti a me o a te stessa,
lesti o lenti, pieni di sapienza,
guardo le tue labbra tumide
aprirsi sorridere o farsi serie,
guardo la tua vita sottile,
le natiche superbe nella loro
grazia, cigno che scivola sull'acqua,
un animale libero, come te,
che non si può sottomettere,
ma solo abbandonare, come io
a te, quando ascolto per caso
l'armonioso discorso d'impulso
e d'amore, fiducia e sicurezza
che pronunci mentre giochi
con le nostre bambine o le fai
mangiare. Io non ho conosciuto
mai una più bella di te.

XXI - Silvio Ramat

foto da valse-boston.livejournal
XXI - Silvio Ramat

Quanto vino versato sul digiuno.
Non altre ubriacature in questa vita.
Un'isola di capogiro tra i piani
di studio, tra i patemi larvali
che la notte fa crescere e morire
sul nativo pianeta, una Firenze
azzurrata del sangue del poeta
di vent'anni, una palma, una fonte.

Risveglio di primavera - Andreas Okopenko

Risveglio di primavera - Andreas Okopenko

Lo ha pregato di non scompigliare i riccioli,
di rimetterle in ordine il vestito
di non sgualcirlo fino all'indomani.
Poi gli ha detto di venire,
per quel momento ha già annotato nel diario: primo amore.

Costei, la bionda - Emilio Praga

foto da liveinternet.ru

Costei, la bionda - Emilio Praga

Costei, la bionda dagli occhi procaci,
costei, la bella
che ha fralezze di fior, raggi di stella,
io la vorrei
compagna e schiava dei dolori miei.
Vorrei darle la mia sete di baci
non noti al mondo;
come un aratro sul suo sen giocondo
vorrei passare,
e nell’ansia vederla agonizzare.

E poi narrarle la immensa amarezza
dei disinganni ;
dirle la noia che precede gli anni;
dirle che Iddio
ci ha fatti al sogno, all’estasi e all’oblio!

Questo vorrei, perché la sua bellezza
troppo divina
sentisse un po’ la mota e la pruìna;
questo vorrei
per far men gaia e pallida costei.

La strada mai persa - Dennis O'Driscoll

Valley of Fire State Park

La strada mai persa - Dennis O'Driscoll

Quanto sono allettanti,
quelle strade che appena
s’intravedono
da un’auto o da un treno,
tagliate in due da un colle
o forse dall’erba,
e che pare quasi nascondano la loro destinazione.

Nei ricordi un mare ricolmo
all’orizzonte
o un arco di fronde
avvolte in fantasia di luce;
poi una curva che interrompe
la visione
bruscamente.

Ma un giorno dovrò ritornare
per scoprire come esse finiscono.

La passione mi divorò giustamente - Amelia Rosselli

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La passione mi divorò giustamente - Amelia Rosselli

La passione mi divorò giustamente
la passione mi divise fortemente
la passione mi ricondusse saggiamente
io saggiamente mi ricondussi
alla passione saggistica, principiante
nell’oscuro bosco d’un noioso
dovere, e la passione che bruciava
nel sedere a tavola con i grandi
senza passione o volendola dimenticare
io che bruciavo di passione
estinta la passione nel bruciare
io che bruciavo di dolore nel
vedere la passione così estinta.
Estinguere la passione bramosa!
Distinguere la passione dal
vero bramare la passione estinta
estinguere tutto quel che è
estinguere tutto ciò che rima
con è: estinguere me, la passione
la passione fortemente bruciante
che si estinse da sé:
Estinguere la passione del sé!
estinguere il verso che rima
da sé: estinguere perfino me
estinguere tutte le rime in
“e”: forse vinse la passione
estinguendo la rima in “e”.

28 novembre 2016

Rosso - Ted Hughes

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Rosso - Ted Hughes

Il rosso era il tuo colore.
Se non il rosso, il bianco. Ma il rosso
era quello di cui ti avvolgevi.
Rosso sangue. Era sangue?
Era ocra rossa, per riscaldare i morti?
Ematite per rendere immortali
le preziose ossa ereditate, le ossa di famiglia.

Quando riuscisti finalmente a fare a modo tuo
la nostra stanza fu rossa. Una camera di giudizio.
Scrigno chiuso per pietre preziose. Il tappeto di sangue
con motivi di oscuramenti, di rapprendimenti.
Le tende – sangue di velluto rubino,
cascate di sangue dal soffitto al pavimento.
I cuscini, lo stesso. Lo stesso
carminio crudo lungo il sedile sotto la finestra.
Una cella pulsante. Altare azteco – tempio.

Solo le librerie sfuggirono nel bianco.

E fuori dalla finestra
papaveri sottili, rugosi e fragili
come la pelle sul sangue,
salvie, di cui tuo padre ti aveva dato il nome,
come sangue che sprizza ad arco da uno squarcio,
e rose, le ultime gocce del cuore,
catastrofiche, arteriose, condannate.

La tua gonna lunga a ruota di velluto, una fascia di sangue,
un sontuoso bordò.
Le tue labbra un cremisi umido, intenso.
Adoravi il rosso.
Io lo sentivo carne viva – i margini netti come garza
di una ferita che si irrigidisce. Vi toccavo
la vena aperta, il luccichio incrostato.

Tutto quello che dipingevi lo dipingevi di bianco
e poi lo inondavi di rose, lo sconfiggevi,
ti chinavi sopra sgocciolando rose,
piangendo rose, e rose ancora,
poi a volte, tra le rose, un uccellino azzurro.

L’azzurro ti era più benefico. L’azzurro erano ali.
Sete azzurro martin pescatore venute da San Francisco
avvolsero la tua gravidanza
in carezze di crogiolo.
L’azzurro era il tuo spirito benevolo – non un demone predatore
ma elettrizzato, un custode, attento.

Nell’abisso del rosso
ti nascondesti per sfuggire al bianco della clinica d’ossa.

Ma la gemma che perdesti era azzurra.

Oasis – Nadija Rebronja

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Oasis – Nadija Rebronja

1.
Se non ci fosse il silenzio
non sarebbe preziosa
quella canzone del juke-box.
2.
Quando dalla radio mi assale Coltrane,
quel giorno rifiuto gli impegni di lavoro
e non mi inchino al tiranno d’argilla.
Mi metto tutta a danzare
nello spasimo mortale.
3.
Talvolta, quando lascio le palpebre chiuse
e permetto che nei solchi tra le mia dita si versino le tue,
nel mio buio sotto le palpebre
non so più
se quello sparo lontano è l'amante geloso che ha ucciso il suo rivale,
se sono i petardi fatti scoppiare dai ragazzi,
se è il vicino che fa maritare il figlio
o qualcuno festeggia la vittoria alle elezioni,
se la tua mano è calda dal desiderio o dalla vergogna.
So che quel che scricchiola non è il vecchio disco
e da nessuna parte si sente
suonare Coltrane.

Credo II - Eva Strittmatter

opera di Bruno Di Maio

Credo II - Eva Strittmatter

Dice l’amico che nel muro una porta non c’è:
Dopo la vita nulla c’è. Nulla conduce in alcun luogo.
Ci parla con triste ironia.
Viviamo. Nient’altro. Salut. E fine.

Anche il muro ci ha voluto prendere.
Non c’è un muro: nessun senso.
Senza senso siamo venuti alla vita.
Da nessuna parte verso nessun luogo.

L’unico senso è: vivere decisi,
Esserci di aiuto l’un l’altro,
Portare i pesi della vita insieme
E liberarci dalla paura della morte.

Aggiungo: eppure la bellezza c’è.
Il blu frusciante vale la vita.
Il regno dei suoni ammaestrati.
E la parola che accresce gioia e sofferenza.

Analisi II - Eva Strittmatter

foto da pinterest
Analisi II - Eva Strittmatter

Tutti i miei amori furono,
A dire il vero, per niente piacevoli.
Furono autoipnosi, terapie di guarigione.
La successione delle scene come in un manuale.
Lo dico a posteriori, a distanza
Di anni e decenni. Allora
L’amore era per me la sostanza della vita,
Nocciolo di un frutto che bisognava spaccare.
In secreto santificavo un anno
Per un bacio peccato notturno.
Per molto tempo mantenni il tenero ricordo
Dei fuggitivi che un tempo avevo conosciuto.
Ora però, diventata saggia, giovane non più,
Devotamente confinata al margine della vita,
Vedo che furono soltanto allegorie,
Simboli di giovinezza e felicità.
Dovevo in loro sperimentare me stessa,
Ma ora non rimpiango più nessuno.

Sogno I - Eva Strittmatter

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Sogno I - Eva Strittmatter

Ho sognato di essere ancora una volta
Sul lago al sole.
Sicura dell’amore.
Sicura come pioggia e neve.
Ancora una volta assaporerei
Luce e aria.
Nulla saprei della vita.
E tutto del suo profumo.

27 novembre 2016

Stringendomi il petto - Akiko Yosano

foto: Sylvie Vartan - da javilomax.blogspot
Stringendomi il petto - Akiko Yosano

Stringendomi il petto,
Dolcemente sposto
Il velo del mistero,
Un fiore vi sboccia,
Cremisi e fragrante.

Il ladro - Ghiannis Ritsos



Il ladro - Ghiannis Ritsos

Ladro, – davvero, un ladro dappoco, pregiudicato;
faceva la posta
a donne e uomini, vecchi e bambini, a foglie, finestre,
lampadine,
a vecchie chitarre, macchine per cucire, rami secchi,
a se stesso. Rubava sempre
un loro atteggiamento, una loro espressione, le cicche
che gettavano per strada,
i loro vestiti, quando si spogliavano nell’ora dell’amore,
i loro pensieri,
le loro forme sconosciute, le loro e le sue, e ne faceva
grandi, strani mazzi di fiori o li piantava nei vasi.
Adesso,
dal fioraio all’angolo, lo vedevamo dietro i vetri
aspergere con la pompa le grandi rose, le dalie,
i garofani,
non li vendeva né li regalava; – un ladro singolare,
un principe decaduto dentro la sua serra. Solo il suo
viso,
esangue, si distingueva in mezzo ai gigli altissimi,
come un morto nel feretro di vetro. Tuttavia,
nel freddo dell’inverno, questo fiorista coi suoi fiori
invenduti
ci dava sempre l’impressione di un’eterna primavera;
anche se in seguito apprendemmo
che tutti quei fiori erano di carta, colorati
con tinte rosse e gialle – ma soprattutto rosse –
in sfumature varie.

Cantami diva - Grazia Fresu



Cantami diva - Grazia Fresu

Cantami Diva, scava il poetare
orma che si rapprende
persistenza cuspide e cruna
remo al navigare della necessità
spezzando il pane
quotidiano compagno d'avventura
il tempo senza tregua si confonde
con l'istante redento
macerando cantori inarrestati
spazio confuso nato sul costato
dell'invenzione
recido il bello
accesso lume acceso
sul sentiero di un'alba irraccontata
costanza di un disegno
spezzata l'ala forte ritmare
sonata sui vibrati di un arpeggio,
cantami Diva il verso rastremato
nell'intarsio più ricco
del tuo seggio.

Il mio abito rosso - Edith Södergran

foto da pinterest


Il mio abito rosso - Edith Södergran

A piedi mi toccò attraversare il sistema solare, prima di trovare il primo filo del mio abito rosso. Ho già il presagio di me stessa. In qualche posto dello spazio è appeso il mio cuore, da cui faville si sprigionano, e l’aria vibra verso gli smisurati cuori. Sono… sono io, sono viva, contenta di essere viva, cammino con il mio abito rosso, sorrido a strade che non conosco. Sorrido… e comincio da te….

La ragazza - Ghiannis Ritsos


La ragazza - Ghiannis Ritsos

Non aveva nient'altro per resistere - ragazza di diciott'anni –
solo due mani magre, molto magre, un vestito nero,
il ricordo di un pane diviso con scrupolo
e quel che chiamavamo “patria” pronunciato di nascosto le notti.

Quando la gettarono nell’oscurità, non aveva più voce per parlare.
Non la udirono le altre celle. Solo l’uccello di Persèfone
le portò in un fazzoletto qualche chicco di melagrana; e i
bambini
la disegnarono sui loro quaderni di scuola, sotto la
lampada,
una piccola Madonna su una sedia di un caffè popolare
con molti pesci e uccelli sulle spalle e sui ginocchi.

Il rosso di Guttuso - Pier Paolo Pasolini

Renato Guttuso - Natura morta con drappo rosso
Il rosso di Guttuso - Pier Paolo Pasolini

C’è un colore antico come tutti i colori
del mondo. Quanto l'abbiamo amato
quasi incarnato nel legno di miracolose
predelline, in refettori romanici,
nel buio di cantorie nell'Appennino estivo!
Un rosso come di cuoio, di sangue oscurato
nei pori del legno da un meriggio ancora
vivo, nel XIII o XIV secolo — ciliege
colte negli orti di una Napoli di Re contadini
lamponi cresciuti in un ronzio di vespe
che i secoli hanno relegato
in radure irriconoscibili, e così familiari!
Il rosso di tutta la Storia.
Pulviscoli e bruniture, su Tebaidi laziali...
ambienti umbri, bolognesi, o veneziani
per stragi di innocenti o moltiplicazioni di pani.
Il sangue dell'Italia è in quel rosso di ricchi
dove il quotidiano è sempre sublime,
e la Maniera ha i suoi regni...

Ora eccolo nelle nostre mani
non più incarnato alle tele o ai legni
in macchine di bellezza sublime, richieste
dal meriggio della potenza.

Un ingenuo rosso maldestro, appiccicato
alla carta o al compensato
come un baffo o uno sgorbio, legato
alla freschezza casuale e arbitraria
di un atto espressivo che non si vuol esaurire.
Illegittimo, incompiuto, grezzo,
non consacrato mai dalla tecnica che incute
venerazione al devoto, all'umile...
Un'altra sensualità, un altro
mistero...

Ma è fatale che oltre questi anni
il casuale diventi intero,
l'arbitrario assoluto.
I significati diverranno cristalli:
e il rosso riprenderà la sua storia
come un fiume scomparso nel deserto.
Il rosso sarà rosso, il rosso dell'operaio
e il rosso del poeta, un solo rosso
che vorrà dire realtà di una lotta,
speranza, vittoria e pietà.

Arte poetica 1974 - Roque Dalton

Foto da tumblr

Arte poetica 1974 - Roque Dalton

Poesia
perdonami per averti aiutato a capire
che non sei fatta solo di parole.

*

Arte poética 1974 - Roque Dalton

Poesía
perdóname por haberte ayudado a comprender
que no estás hecha sólo de palabras.

Sete di te m'incalza - Pablo Neruda

Sete di te m'incalza - Pablo Neruda

Sete di te m'incalza nelle notti affamate.
Tremula mano rossa che si leva fino alla tua vita.
Ebbra di sete, pazza di sete, sete di selva riarsa.
Sete di metallo ardente, sete di radici avide.
Verso dove, nelle sere in cui i tuoi occhi non vadano
in viaggio verso i miei occhi, attendendoti allora.
Sei piena di tutte le ombre che mi spiano.
Mi segui come gli astri seguono la notte.
Mia madre mi partorì pieno di domande sottili.
Tu a tutte rispondi. Sei piena di voci.
Ancora bianca che cadi sul mare che attraversiamo.
Solco per il torbido seme del mio nome.
Esista una terra mia che non copra la tua orma.
Senza i tuoi occhi erranti, nella notte, verso dove.
Per questo sei la sete e ciò che deve saziarla.
Come poter non amarti se per questo devo amarti.
Se questo è il legame come poterlo tagliare, come.
Come, se persino le mie ossa hanno sete delle tue ossa.
Sete di te, sete di te, ghirlanda arroce e dolce.
Sete di te, che nelle notti mi morde come un cane.
Gli occhi hanno sete, perché esistono i tuoi occhi.
La bocca ha sete, perché esistono i tuoi baci.
L'anima è accesa di queste braccia che ti amano.
Il corpo, incendio vivo che brucerà il tuo corpo.
Di sete. Sete infinita. Sete che cerca la tua sete.
E in essa si distrugge come l'acqua nel fuoco.

Voli basso sulla pianura - Vittorio Bodini


 
foto da YohYoh.com
Voli basso sulla pianura - Vittorio Bodini

Voli basso sulla pianura
amore il cielo
poco ti solleva
come sei verde e nera
la bocca rossa
di rosolaccio.
Vola così e così
t'incurvi bianca
fra le vigne fugaci
e a me torni più viola
mia di colore e tutto
agave mia
che ha imparato a cantare
dal gorgoglio dei pali del telegrafo
un canto nero che va giù e s'interra.
Cresce l'erba
e la capra legata al fico.

26 novembre 2016

Diotima - Friedrich Holderlin

foto: Diotima de Mantinea
Diotima - Friedrich Holderlin


Vieni, placami; voluttà delle Muse celesti
che un giorno conciliasti gli elementi,
al suono della pace dei cieli: ordina la lotta furiosa

finchè nel cuore umano gli opposti si uniscano.

La natura antica degli uomini, calma, grande,
si levi forte e limpida dal fermento del tempo.
Torna al nostro cuore indigente, o vivente bellezza
alla mensa ospitale ed ai templi.

Poiché Diotima vive come i fragili fiori all'inverno,
ricca del proprio spirito, ancora cerca il sole.
Ma il sole dello spirito, il mondo più bello, è caduto
e nella notte gelida ululano gli uragani.

Sul monte - Miguel Barnet

Pierre Julien - Amalthée et la chèvre de Jupiter
Sul monte - Miguel Barnet 

Sul monte i morti
l'urlo dei fantasmi
e la siguapa

Una donna dal volto di cenere
e il fumo che ulula nell'acqua


Il legno sul monte,
il calderone di Oggún, la donna che mi segue con
gli occhi
e la testa del caprone dissanguata

Sul monte, dentro,
il lamento della terra
e due grandi mani
che mi inseguono
come un animale che corre alle mie spalle

da "Le baccanti" - Euripide

Lorenzo Bartolini - Dirce, detta anche Baccante a riposo
da "Le baccanti" - Euripide

“Il figlio di Semèle, trovò l'umida bevanda
che deriva dal grappolo e la introdusse tra gli uomini.
E quando di questo flusso che sgorga dalla vite gli infelici
mortali se ne riempiono, esso li affranca dal dolore,
e dà loro il sonno, oblio dei mali che giorno dopo giorno
sopraggiungono: altro rimedio non c'è delle loro pene.
Questo dio, che tale è, viene libato agli dei, cosicché
i beni che toccano agli uomini, si devono a lui.”


trad.it di V. di Benedetto

Ochosí - Miguel Barnet

Pio Fedi - Il Ratto di Polissena, Firenze 
Ochosí - Miguel Barnet  

Ochosí guerreggia
Uccide a destra e a manca
non è il vento
è la raffica

Tira a qualunque animale
Sgozza profonde lievi nuche
Uccide per mangiare
Uccide per vivere
Rimane assorto nel fuoco
sprovvisto di acqua e frecce

Ochosí, per amor del cielo, non contenere la tua furia
che è bello vederti
frantumare pietre e cristalli
a favora della vita

Fiume - Javier Heraud

Gian Lorenzo Bernini - La Fontana dei Quattro Fiumi. Roma, Piazza Navona
Fiume - Javier Heraud

Io sono un fiume,
vado scendendo sopra
larghe pietre,

vado scendendo sopra
dure rocce,
per il sentiero
disegnato dal
vento.
Ci sono alberi a me
d'intorno ombrosi
di pioggia.
Io sono un fiume,
scendo ogni volta più
furiosamente
più violentemente,
scendo
ogni volta che un
ponte mi riflette
nei suoi archi.

Chi di noi un giorno - Juan Rodolfo Wilcock

Michelangelo Buonarroti - David
Chi di noi un giorno - Juan Rodolfo Wilcock

Ah, chi di noi un giorno non è stato
come una statua di alabastro
illuminata interiormente,
nuotando senza accorgersi
sulla schiuma iridata delle ore!
Come un orecchio al sole trasparente
il nostro corpo acceso era venato
di rosa e risplendeva.

25 novembre 2016

Ti offro - Jorge Luis Borges

Agrigento - Valle dei templi
Ti offro - Jorge Luis Borges

Ti offro strade difficili, tramonti disperati,
la luna di squallide periferie.
Ti offro le amarezze di un uomo
che ha guardato a lungo la triste luna.
Ti offro i miei antenati, i miei morti,
i fantasmi a cui i viventi hanno reso onore col marmo:
il padre di mio padre ucciso sulla frontiera di Buenos Aires,
due pallottole attraverso i suoi polmoni, barbuto e morto,
avvolto dai soldati nella pelle di una mucca;
il nonno di mia madre – appena ventiquattrenne –
a capo di un cambio di trecento uomini in Perù,
ora fantasmi su cavalli svaniti.
Ti offro qualsiasi intuizione sia
nei miei libri, qualsiasi virilità o vita umana.
Ti offro la lealtà di un uomo
che non è mai stato leale.
Ti offro quel nocciolo di me stesso
che ho conservato, in qualche modo –
il centro del cuore che non tratta con le parole,
né coi sogni e non è toccato dal tempo,
dalla gioia, dalle avversità.
Ti offro il ricordo di una
rosa gialla al tramonto,
anni prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni di te stessa,
teorie su di te, autentiche e sorprendenti notizie di te.
Ti posso dare la mia tristezza,
la mia oscurità, la fame del mio cuore;
cerco di corromperti con l’incertezza,
il pericolo, la sconfitta.

Per un minuto di vita breve - Alejandra Pizarnik

foto da flickr
Per un minuto di vita breve - Alejandra Pizarnik

Per un minuto di vita breve
unica a occhi aperti
per un minuto vedere
nel cervello piccoli fiori
che danzano come parole sulla bocca di un muto

lei si spoglia nel paradiso
della sua memoria
lei non conosce il destino feroce
delle sue visioni
lei ha paura di non saper nominare
ciò che non esiste

Salta con la camicia in fiamme da stella
a stella, da ombra in ombra. Muore di
morte lontana quella che ama il vento.

Ora
in quest’ora innocente
io e colei che fui ci sediamo
sulla soglia del mio sguardo.

L’altra paura - Ghiannis Ritsos

foto da flickr
L’altra paura - Ghiannis Ritsos

Combatterono bene le vecchie paure, senza chinare il capo.
Celle oscure, esilii, carceri. Alla vigilia dell’esecuzione,
Ghiorghis
lasciò una lettera per sua madre: “Non piangere.
Muoio in piedi. Non scordarti di salutare
i monti, gli uccelli, gli alberi”. Alexis
disegnò una falce e martello sulla parete della sua cella
e scrissero sotto il suo nome. Gli altri
cantavano e ballavano davanti ai fucili.
Combatterono bene le vecchie paure. Ma questa paura
è silenziosa. Neanche un fiato. Avversaria invisibile,
non ti percuote sulla nuca con la mazza, non bestemmia,
non estrae la pistola. Invisibile. Si limita ad aspettare.
Dunque, devono preparare il loro ultimo vestito
con calma e dignità, - scarpe nere, calze nere,
abito nero, un garofano rosso all’occhiello
in ricordo di quei giorni, di quelle paure vinte.

Una donna - Ghiannis Ritsos



Una donna - Ghiannis Ritsos

La donna è bella. Mezzanotte. Suo marito è assente.
Cammina con pantofole morbide da una stanza all’altra.
Dalle finestre penetra la luna. Un fruscio di carta.
Nel santuario della cucina fuma ancora l’incenso di una
tazza di tè.
Gli oggetti colloquiano in segreto – pentole, bicchieri,
le due bottiglie d’olio, il vaso con il sale, e nella madia
le bolle dell’impasto lievitano scoppiettando
con piccoli tonfi sordi, tanto che la bella donna
si tocca il capezzolo del seno sinistro e lo stringe.

Cambiamento d’itinerario - Ghiannis Ritsos



Cambiamento d’itinerario - Ghiannis Ritsos

Pensava di passare dall’altra parte; teneva già tra le dita
l’obolo di bronzo; la mano però la teneva nascosta
nella tasca sinistra dei calzoni – (non gli andava proprio di
sembrare
un esibizionista della morte – come tanti e tanti).
L’inverno
era arrivato in pieno. I monti di fronte già innevati.
Alle navi fu vietato salpare per due giorni. Pure
di tanto in tanto compariva il sole; gli ulivi si facevano il
Segno della croce;
una donna sola passò nel vento giú sul lungomare;
la veste le si appiccica sul corpo. E lui, la mano in tasca,
lasciò la moneta calda e si strinse il fallo. Ehi – gridò –
ehi, miserabile, infame, porca vita, che buon profumo
di salsedine, alloro, sperma e fica ha il bordello del mondo.

C'è un giardino - Cesare Pavese

C'è un giardino - Cesare Pavese

C'è un giardino chiaro, fra mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio...
la sua terra. È una luce che sa di mare.
Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.
Ho veduto cadere
molti frutti, dolci, su un'erba che so,
con un tonfo. Così trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d'aria
e il prodigio sei tu. C'è un sapore uguale
nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.
Ascolti.
La parole che ascolti ti toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.