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31 dicembre 2016

Marina Cvetaeva – Ai miei versi scritti così presto

Philippe Mercier - The Sense of Taste

Marina Cvetaeva – Ai miei versi scritti così presto

Ai miei versi scritti così presto,

che nemmeno sapevo d’esser poeta,
scaturiti come zampilli di fontana,
come scintille di razzi.

Irrompenti come piccoli demoni
nel sacrario dove stanno sogno e incenso,
ai miei versi di giovinezza e di morte,
versi che nessuno ha mai letto!

Sparsi fra la polvere dei magazzini,
dove nessuno mai li prese né li prenderà,
per i miei versi, come per i pregiati vini,
verrà pure il loro turno.

Del vino versavano la prima feccia. Sonetti III, 73

Sebastiano Ricci, Baccante e satiri
Walter Benjamin – Sonetti III, 73

Del vino versavano la prima feccia
i greci preparandosi al banchetto
in onore del dio per indurlo così
a propiziare loro i cibi e le bevande
quando al mattino mi alzo dal giaciglio
dove nella lunga notte non si mossero
i serrati pensieri e sentimenti
porto anch’io un’offerta di cui taccio
ma dove le parole come sorelle si avviticchiano
di darne annuncio posso allora osare:
dalla coppa dei più intimi pensieri
dove fino all’orlo le gocce si arrotondano
spargo la sovrabbondanza vacillante
perché dalla mia bocca incontro a lui fluisca.

Walter Benjamin – Sonetti I, 41

Diego Velasquez – Il pranzo

Walter Benjamin – Sonetti I, 41

Ascolta anima ascolta una mensa
ti attende come a nessuno mai fu preparata

un giorno vi prenderai posto certamente
più di un giaciglio ti scioglierà le membra

lo sgabello per quanto duro sia il suo legno
ti scopre del presente
il piumaggio impenetrabile
sfogliandosi all’ingiù di quando in quando

ma di che cosa ti colma un profumo
che gonfia il tuo respiro?
Del tuo amico sarà pieno

il bicchiere di vino sulla tavola
che tanto inebria la tua vita
da scambiarla con la morte

30 dicembre 2016

Walter Benjamin – Sonetti I 36

Yuroz – Dreams
Walter Benjamin – Sonetti I, 36

Come si infiammò di spezie l’alito di quei giorni
che sopra la città amata si svegliavano
e solo a tarda ora in acque e pozzi
spegnendosi dietro le cuspidi affondavano

quando sopra al tuo verde mezzogiorno ridevano
i rintocchi che mai si abbreviano a vicenda
così alle ore che sollevano bronzi di cattedrali
il riposo seguiva la città dava inizio alla notte

allora tacevano le fronde e il vino nel calice cantava
discorre ancora sussurrando il mormorio del fiume
presso l’amico veglia amicizia che non indaga quali

sentimenti più lievemente nell’amato cambiano
perché dal labbro aperto essa soffia via
la parola quella che di notte dimora dagli amanti.

Rocco Scotellaro - La pioggia

Giacomo Ceruti detto Pitocchetto - Gli spillatori di vino
Rocco Scotellaro - La pioggia

Mettete il vino, beviamo stasera,
è fuggito tutto il broncio dalla faccia.
Erano le foglie ritte alle robinie
lungo le siepi i rovi erano bianchi.
Le viti si aggrovigliano a levante
dove le chiama il primo vento.
Era tempo. La pioggia che si smaglia
mette le ciglia ai chicchi nella paglia,
c’è sempre un seme che germoglia da solo:
Mettete il vino, beviamo stasera.

Pedro Salinas – Una lacrima in maggio

A Girl with a Bottle and a Glass - Philippe Mercier
Pedro Salinas – Una lacrima in maggio

Una lacrima in maggio.
Giorno trenta, una lacrima,
versata se non vista,
è come un lungo ponte
ad unire due rive
che da lontano, sole, si guardavano.
Una lacrima in maggio
sveglia, nei loro nidi,
lì, gli uccelli notturni,
sconvolgendoli tutti,
che fosse un’eclisse,
per quel velo improvviso,
nella vita più chiara.
Una lacrima in maggio
sembra un grande disordine.
Ed appena versata,
pur nessuno la veda
essa crea al mondo intero
un debito, un dovere.
Dovranno faticare
la terra, le sue viscere,
fabbricando diamanti, ed i mari
dare nuove conchiglie,
non più quelle di prima.
Tutti i fiori useranno
più cura e abilità
nel fiorire. Ed estate, autunno, inverno
con la neve e col vino
aumenteranno i beni
raccolti per pagare.
E accumulando piombo, foglie, oro,
di bellezze serbate
ogni giorno dell’anno,
verrà, il mondo, a pagarti,
prima o poi, di entusiasmi,
proprio tu che l’hai sparsa,
– versata se non vista –
la lacrima di maggio.

29 dicembre 2016

Elogio dell'ombra - Jorge Luis Borges

Agrigento - Tempio della Concordia
Elogio dell'ombra - Jorge Luis Borges

La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno)
può essere il tempo della nostra felicità.
L'animale è morto o è quasi morto.
Rimangono l'uomo e la sua anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che non sono ancora le tenebre.
Buenos Aires,
che prima si lacerava in suburbi
verso la pianura incessante,
è diventata di nuovo la Recoleta, il Retiro,
le sfocate case dell'Once
e le precarie e vecchie case
che chiamiamo ancora il Sur.
Nella mia vita sono sempre state troppe le cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e assomiglia all'eternità.
I miei amici non hanno volto,
le donne sono quel che erano molti anni fa,
gli incroci delle strade potrebbero essere altri,
non ci sono lettere sulle pagine dei libri.
Tutto questo dovrebbe intimorirmi,
ma è una dolcezza, un ritomo.
Delle generazioni di testi che ci sono sulla terra
ne avrò letti solo alcuni,
quelli che continuo a leggere nella memoria,
a leggere e a trasformare.
Dal Sud, dall'Est, dall'Ovest, dal Nord,
convergono i cammini che mi hanno portato
nel mio segreto centro.
Quei cammini furono echi e passi,
donne, uomini, agonie, resurrezioni,
giorni e notti,
dormiveglia e sogni,
ogni infimo istante dello ieri
e di tutti gli ieri del mondo,
la ferma spada del danese e la luna del persiano,
gli atti dei morti, il condiviso amore, le parole,
Emerson e la neve e tante cose.
Adesso posso dimenticarle. Arrivo al mio centro,
alla mia algebra, alla mia chiave,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire - Jorge Luis Borges

Gustave Courbet - I contadini di Flagey
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire - Jorge Luis Borges

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere un'etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore ed una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragionegli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

Il deserto - Jorge Luis Borges

Cesare Biseo - Nel deserto
Il deserto - Jorge Luis Borges

Prima di entrare nel deserto
i soldati bevvero a lungo l'acqua della cisterna.
Ierocle gettò per terra
l'acqua della sua brocca e disse:
Se dobbiamo entrare nel deserto,
io sono già nel deserto.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è una parabola,
Prima di sprofondarmi nell'inferno
i littori del dio mi permisero di guardare una rosa.
Quella rosa è ora il mio tormento
nell'oscuro regno.
Un uomo fu abbandonato da una donna.
Stabilirono di fingere un ultimo incontro.
L'uomo disse:
Se devo entrare nella solitudine
sono già solo.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è un'altra parabola.
Nessuno sulla terra
Ha il coraggio di essere quell'uomo.

28 dicembre 2016

Pablo Neruda – Ode al Vino

Caesar Boëtius van Everdingen – Bacco e Arianna
Pablo Neruda – Ode al Vino

Vino color del giorno,
vino color della notte,
vino con piedi di porpora
o sangue di topazio,
vino,
stellato figlio
della terra,
vino, liscio
come una spada d’oro,
morbido
come un disordinato velluto,
vino inchiocciolato
e sospeso,
amoroso,
marino,
non sei mai presente in una sola coppa,
in un canto, in un uomo,
sei corale, gregario,
e, quanto meno, scambievole.
A volte
ti nutri di ricordi
mortali,
sulla tua onda
andiamo di tomba in tomba,
tagliapietre del sepolcro gelato,
e piangiamo
lacrime passeggere,
ma
il tuo bel
vestito di primavera
è diverso,
il cuore monta ai rami,
il vento muove il giorno, nulla rimane
nella tua anima immobile.
Il vino
muove la primavera,
cresce come una pianta di allegria,
cadono muri,
rocce,
si chiudono gli abissi
nasce il canto.
Oh, tu, caraffa di vino, nel deserto
con la bella che amo,
disse il vecchio poeta.
Che la brocca di vino
al bacio dell’amore aggiunga il suo bacio
Amor mio, d’improvviso
il tuo fianco
è la curva colma
della coppa,
il tuo petto è il grappolo,
la luce dell’alcool la tua chioma,
le uve i tuoi capezzoli,
il tuo ombelico sigillo puro
impresso sul tuo ventre di anfora,
e il tuo amore la cascata
di vino inestinguibile.
la chiarità che cade sui miei sensi,
lo splendore terrestre della vita.
Ma non soltanto amore,
bacio bruciante
e cuore bruciato,
tu sei, vino di vita,
ma
amicizia degli esseri, trasparenza,
coro di disciplina,
abbondanza di fiori.
Amo sulla tavola,
quando si conversa,
la luce di una bottiglia
di intelligente vino.
Lo bevano;
ricordino in ogni
goccia d’oro
o coppa di topazio
o cucchiaio di porpora
che l’autunno lavorò
fino a riempire di vino le anfore,
e impari l’uomo oscuro,
nel cerimoniale del suo lavoro,
a ricordare la terra e i suoi doveri,
a diffondere il cantico del frutto

Per amore della risonante audacia dei secoli a venire – Osip Mandel’stam

Diego Velasquez – Il trionfo di Bacco

Per amore della risonante audacia dei secoli a venire – Osip Mandel’stam

Per amore della risonante audacia dei secoli a venire,
per amore dell’eccelsa schiatta umana
mi sono negato la coppa del brindisi al festino dei padri
e l’allegria e il mio stesso onore.

Dietro di ma avverto il balzo dell’èra sgozza lupi, ma sangue
di lupo io non ho, e se non vuoi che m’azzanni,
ficcami come un berretto nella manica della calda pelliccia
che ricopre le steppe siberiane…

Perché io non veda bi pauroso né la molle sozzura
né le ossa lorde di sangue nel giro della ruota,
e tutta notte, nella loro primigenia bellezza,
rifulgano per me le volpi azzurre,

portami via nella notte dove scorre il fiume Eniséj
e a sfiorare una stella si leva il tronco di pino,
giacché non ho sangue di lupo e solo chi m’è
uguale può farsi anche mio assassino.
***********

Per l’alto valore dei secoli a venire - Osip Mandel’stam

Per l’alto valore dei secoli a venire,
per la nobile stirpe umana ho rinunciato
anche ad alzare il calice al banchetto dei padri
e alla letizia e al mio stesso onore.
Mi incalza alle spalle il secolo-canelupo,
ma non ho sangue di lupo nelle vene;
ficcami piuttosto come un cappello nella manica
della calda pelliccia delle steppe siberiane,
che io non veda il vigliacco, né il gracile lerciume,
né le ossa insanguinate sulla ruota,
e per me tutta notte brillino volpi azzurre
nella loro bellezza primigenia.

Portami via nella notte, dove scorre l’Enisej
e il pino si slancia a toccare la stella,
perché nelle mie vene non c’è sangue di lupo
e soltanto un mio pari potrà uccidermi.

Stiamocene un po’ in cucina assieme – Osip Mandel’stam

Giacomo Ceruti (il pitocchetto) - Natura morta con pane e noci


Stiamocene un po’ in cucina assieme – Osip Mandel’stam

Stiamocene un po’ in cucina assieme,
l’aria è dolce di bianco cherosene;

un coltello tagliente e una pagnotta…
Se vuoi, prepara ben bene il fornello;

altrimenti raduna e intreccia corde:
prima dell’alba fa una grande sporta:

fuggiamo a una stazione, ad un binario
dove nessuno ci possa trovare.

27 dicembre 2016

Hermann Hesse – La malinconia

Hendrick ter Brugghen - The Merry Drinker
Hermann Hesse – La malinconia

Fuggendo da te mi sono dato ad amici e vino,
perché dei tuoi occhi oscuri avevo paura,
e nelle braccia dell’amore ed ascoltando il liuto
ti dimenticai, io tuo figlio infedele.

Tu però in silenzio mi seguivi,
ed eri nel vino che disperato bevevo,
ed eri nel calore delle mie notti d’amore,
ed eri anche nello scherno, che t’esprimevo.

Ora mi rinfreschi le mie membra sfinite
ed accolto hai nel tuo grembo il mio capo,
ora che dai miei viaggi son tornato:
tutto il mio vagare dunque era un cammino verso di te.

Hermann Hesse – La Farfalla nel vino

Yuroz – The inspiration of his dreams

Hermann Hesse – La Farfalla nel vino

Una farfalla è volata nel mio bicchiere di vino,
ebbra si abbandona alla sua dolce rovina,
remiga senza forze, ora sta per morire;
ecco, il mio dito la solleva via.

Così il mio cuore, accecato dai tuoi occhi,
felice affonda nel denso calice, amore,
pronto a morire, ebbro del tuo incanto
se un cenno di tua mano non compia il mio destino.

Rainer Maria Rilke – Idolo

Michelangelo Merisi (Caravaggio) – Bacco
Rainer Maria Rilke – Idolo
da Poesie Sparse

Dio o dèa del sonno di gatto,
assaporante deità che nella buia
bocca schiaccia maturi acini d’occhi,
succo d’uva di sguardi addolciti,
luce eterna nella cripta del palato.
Non ninnananna, – Gong! Gong!
Ciò che gli altri dèi evoca, abbandona
questo dio rotto ad ogni malizia
al suo potere che in se stesso crolla.

Questo sarà ora certamente l’angelo - Rainer Maria Rilke

Peter Paul Rubens - Venere, Cupido, Bacco e Cerere
Questo sarà ora certamente l’angelo - Rainer Maria Rilke
da “Poesie della notte”

Questo sarà ora certamente l’angelo
che beve dai miei lineamenti lento
il vino purificato dei volti.
Assetato, chi ti ha chiamato qui?

Proprio tu hai sete. Cui la cateratta
di Dio per tutte le vene irrompe.
Proprio tu hai sete ancora. Abbandònati
alla sete. (E con che forza m’afferri).

Ed io sento, scorrendo, che i tuoi sguardi
erano asciutti, ed il tuo sangue
tanto m’attira che i tuoi cigli, puri,
completamente inondo.

26 dicembre 2016

ho tanta fame di casa - Alexandra Zambà

Pisticci (Matera)

ho tanta fame di casa - Alexandra Zambà
Dodici pensieri sghembi

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Ho tanta fame di casa

dove frammenti sorrisi enigmatici corrono
appesi con corde di luce lamella
volano in brigata sfinge, cavalli, falene giganti

Ho tanta fame delle vostre case metastasi di vita
dove due piante ieratiche scure solitarie mi aspettano

- in fondo tavolo comò e sedie lievitano voci
passi svelti sventolii di risa giovani invisibili -

mi aspettano i bauli che non partono
i sofà verde lisi rimasti solitari
tende tirate in fretta, le mani di lei che solo sfiorano

Lasciate che sia io a scegliere la penombra
- fruscio ansimante di lenzuola bianche
ciabattare di caviglie secche, lento, cauto -

In alto il pendolo col suo andirivieni
gli specchi ironici, seguono l’insensato mio cercare
i tacchi che girano, le mani che porte spalancano

fissano occhi prima di pronunciare il nome che brucia l’anima

da Planare lo sguardo - La Vita Felice Edizioni

Ascolta come - Alexandra Zambà

Marina di Pisticci (Matera) - Fiume Cavone

Ascolta come - Alexandra Zambà
Dodici pensieri shembi

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Ascolta come

la curiosa gioia instabile non si placava mai
nascosta a traboccar versava vino rosso in superficie
il cielo sbilanciato strusciava le risa sulla crosta

- gorgogliante srotolava lenta la curva di un orizzonte viola -

e il verde flessibile germoglio di vecchia vigna
convinto andava a caccia del centro alla cieca

pigliava la linea madre
e con la figlia virgulto scapigliato correva
il fiume in piena risalendo

- giocava stirato sulla luce appesa -

pigliava nel cielo solitario
il giorno dalla vita

da Planare lo sguardo - La Vita Felice Edizioni

Piantana svettante - Alexandra Zambà

Presso Pisticci - Matera

Piantana svettante - Alexandra Zambà
Dodici pensieri sghembi

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Piantana svettante
sei apparso come ogni giorno

con leggero movimento indietreggiavi
provavi a spazzar via le foglie
con lo sguardo via l’ultima bassa luce tremolante

- improvviso si è visto il tuo salto diagonale tra le ombre -

e ridevi-ridevi alzavi le mani schioccavi le dita
e i polsi, la nuca, le braccia aperte chiamavano

Isolato negli occhi asciutti fissavi il ricordo primaverile
- instabile luminoso ricordo di spensierate ginestre gialle -

da Planare lo sguardo - La Vita Felice Edizioni

Quell’onda di mare biondo - Alexandra Zambà

Gustave Courbet - The Mediterranean
Quell’onda di mare biondo - Alexandra Zambà

dodici pensieri sghembi

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Quell’onda di mare biondo
l’ho vista solo per un attimo
da ladra vissuta di corsa

- girovaga curva del mio tempo -

Quello scoppio bagnato nel cielo basso
confuso con l’acqua morbida e nello svettare

- filari carboni struggenti di minacciosi cipressi –

Quell’attimo di onda eterna visse
a cavallo di un baleno
persa tra colori di luce stirati a migliaia
frammisti di tegole, brevi giardini fiori carnosi

- eccola ancora lamella dei tuoi occhi -

salta dall’ombra grassa e ferma
taglia e spia l’orizzonte di un pianeta

- irraggiungibile terreno tuo e mio –

da Planare lo sguardo - La Vita Felice Edizioni

Dalla Fortuna - Jacopo da Bientina

Guido Reni - Fortuna, 1623 (Roma, Pinacoteca Vaticana)
Dalla Fortuna - Jacopo da Bientina

Fortuna: A udirti parlar, Bartolin, godo;
ma i’ vo’ che tu sappi, io son Fortuna,
e sì ti vo’ far ricco in ogni modo.
Villano: Oh, i’ non ho più mai veduto ignuna
delle fortune! Vo’ sète pur bella,
da comparir dove fosse ciascuna.
I’ ve sento chiamar malvagia e fella,
i’ mi credeva che vo’ fussi el vento,
quando la casa e ’l tetto mi tempella.
Voletemi far ricco? I’ nol consento,
ch’io non vo’ ir più su ch’ito mi sia
per non entrar in qualche strano stento.
E’ mi dà alle volte ricadia
se le pecore mie vanno a far danno
e di non perder quelle ho gelosia.
Per questo io penso come i ricchi fanno,
che hanno spesso la robba in sul mare
e credo che gli stien mal tutto l’anno,
o almen quanto ella pena a tornare;
ché pena pur avran, se la si perde;
oh, non si den poter mai rallegrare.
Di me non è così: s’i’ veggo verde
la campagna talor, me riconsiglio
d’aver del bene e l’animo rinverde.
Se manca un po’ di gran, tolgo del miglio;
e se gli è poco vin, l’acqua mi basta
per la sete, e non ho ignun scompiglio.
I’ metto su due ceppi una catasta
e stommi al fuoco a far gabbie e céstole,
la sera al verno o i’ drizzo qualche asta
e se v’è cose rotte in casa annestole.
La donna fila e riconciasi i panni,
chi rattaccona scarpe e chi fa mestole.
Sì ch’io mi sto senza pena o affanni,
e l’ir cercando miglior pan che ’l grano
potre’ tornar a casa con malanni.
Ma se Dio mi dà grazia di star sano,
i’ non vo’ più ricchezze o più tesori:
ha egli altro che vivere ’l cristiano
sì che Dio in paradiso lo ristori?

25 dicembre 2016

Ludovico Ariosto - da Orlando furioso. Canto XI, LXVII-LXXI

Giulio Romano - Giove e Olimpia. Mantova, Palazzo Te

da Orlando furioso – Ludovico Ariosto

Canto XI, LXVII-LXXI

Le bellezze d' Olimpia eran di quelle  
che son più rare: e non la fronte sola,  
gli occhi e le guancie e le chiome avea belle,  
la bocca, il naso, gli omeri e la gola; 
ma discendendo giù da le mammelle,  
le parti che solea coprir la stola,  
fur di tanta eccellenza, ch' anteporse  
a quante n' avea il mondo potean forse.  
Vinceano di candor le nievi intatte,  
et eran più ch' avorio a toccar molli:  
le poppe ritondette parean latte  
che fuor dei giunchi allora allora tolli.  
Spazio fra lor tal discendea, qual fatte  
esser veggiàn fra piccolini colli  
l'ombrose valli, in sua stagione amene,  
che 'l verno abbia di nieve allora piene.  
I rilevati fianchi e le belle anche, 
e netto più che specchio il ventre piano,  
pareano fatti, e quelle coscie bianche,  
da Fidia a torno, o da più dotta mano.  
Di quelle parti debbovi dir anche,  
che pur celare ella bramava invano?  
Dirò insomma, ch' in lei dal capo al piede,  
quant' esser può beltà, tutta si vede.  
Se fosse stata ne le valli Idee  
vista dal pastor frigio, io non so quanto  
Vener, se ben vincea quell' altre dee, 
portato avesse di bellezza il vanto:  
Né forse ito saria ne le Amiclee 
contrade esso a violar l'ospizio santo;  
ma detto avria: - Con Menelao ti resta,  
Elena pur; ch' altra io non vo' che questa. -  
E se fosse costei stata a Crotone, 
quando Zeusi l'imagine far volse,  
che por dovea nel tempio di Iunone,  
e tante belle nude insieme accolse;  
e che, per una farne in perfezione,  
da chi una parte e da chi un'altra tolse:  
Non avea da torre altra che costei;  
che tutte le bellezze erano in lei.