Rubens il partigiano e altri
racconti – Enzo Montano
da “La rivista”
[…]
La piazza, nella sua centenaria immobilità faceva da
contrasto alla volatilità dei fatti e delle persone del cui passaggio era stata
testimone incorruttibile. Di tutte le vite passate in quel rettangolo, le
speranze, gli amori, le separazioni, era rimasta una qualche traccia, o tutto
era passato come immagini riflesse in uno specchio quando ci si allontana?
Le lunghe giornate, fatte di vaghi discorsi o da una
bibita al tavolo del bar o dalle partite proiettate su grandi schermi, erano
solo attimi fugaci, anche lo scorrere della vita, dalla nascita sino alla fine,
altro non era che rapida apparizione che si dissolveva contro la solida
staticità dei vecchi edifici intorno al lastricato bianco su cui vegliava la
torre campanaria.
Giuseppe si apprestò ad attraversare la grande piazza per
andare all’edicola.
Osservava il lastricato bianco che catturava i riflessi
del sole per riverberarli addosso alle persone quando le due campane della
torre annunciarono l’ora. Non si girò verso la torre ma vide benissimo il
percussore esterno della campana più grande, quella delle ore, mosso da un
meccanismo che lo faceva alzare per poi farlo abbattere come un martello sull’incudine.
Al terzo rintocco sordo incrociò una conoscente, una signora
bella come la Primavera rappresentata
nei dipinti del Rinascimento, che lo salutò con un elegante movimento
della testa e un accenno di sorriso capace di rapire.
... Quattro, cinque...
Mentre la donna attraversava la piazza nel senso opposto a
quello di Giuseppe, sul suo leggero ancheggiare, avvolto da un abitino blu che
aderiva alla sua prorompenza, erano sincronizzati gli occhi dei presenti di
tutte le età rapiti da quella oscillazione naturalmente sensuale non ostentata,
ma evidente come la luna piena in una notte d’estate. Era come se tutti la
accompagnassero nel suo cammino. E lo fecero finché la bella signora non svolto
dietro l’angolo della chiesa. Ma gli occhi continuarono a guardare in quella
direzione nella speranza che lo svolgersi degli eventi contemplasse un rapido ritorno
della bella donna fasciata dall’aderente vestito blu.
... Sei, sette...
Un signore, forse il più avanti di età, continuò a
seguirla anche quando non era più possibile scorgerla. Dietro l’ancheggiare
delle forme degne di una scultura neoclassica incedeva, forse, il giovane uomo
che era stato, con i desideri pruriginosi ancora non spenti. Nella mente dell’anziano
balenavano pensieri e supposizioni oppure esili ricordi di momenti persi nelle
sedimentazioni del tempo vissuti con una donna che le somigliava. Tracce di
appuntamenti e momenti felici, di gelosie e litigi, di affanni e rimostranze,
di ammiccamenti e complicità. Chissà quanti accadimenti erano custoditi nella memoria
del vecchio dal viso solcato dalle rughe e dagli occhi limpidi come una
sorgente.
... Otto...
Incrociò una ragazzina, figlia di un caro amico,
bellissima come una cascata di petali di rose, dallo sguardo luminoso da far
invidia al sole. Un saluto affettuoso.
«Come stai, Giuseppe?» sapeva dei recenti problemi di
salute «come sta Marta?».
«Va bene, anche Marta sta bene. Una di queste sere
veniamo a trovarvi. Salutami mamma e papà. Ciao Elena.»
«Ciao Giuseppe.»
... Nove.
I rintocchi sembravano stendere una invisibile coperta sotto
la quale scomparivano le voci delle persone e il rumore delle rare automobili
in transito nella strada adiacente alla piazza.
Si chiese se esistevano ancora i campanari e se le
campane delle chiese fossero anch’esse mosse da meccanismi elettronici oppure
se la chiamata a raccolta dei fedeli o l’annuncio delle liturgie non fossero
delle semplici e fredde registrazioni.
Cessati i rintocchi della campana grande, mentre ancora non
si era completamente disperso il suono del nono rintocco, fu la campana più
piccola a esordire con un rintocco meno forte ma sordo, come se la campana su
cui batteva il martello avesse una piccolissima incrinatura, invisibile, che sfuggiva
a chi era incaricato della manutenzione.
Tre colpi sordi delle frazioni delle ore stabilirono che
erano le nove e tre quarti. Il giorno doveva ancora dire molto.
Alzò gli occhi verso il cielo limpido di un azzurro
vivace e uniforme. Che sciocco!
Per un attimo aveva pensato di vedere contro l’azzurro le
onde sonore propagarsi intorno alla torre, allargarsi verso l’orizzonte, fino a
sovrapporsi; quasi come se ogni rintocco fosse stato un sasso lanciato in uno
stagno.
[…]
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