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20 novembre 2015

Cesare Pavese – Schiuma d’onda. da Dialoghi con Leucò

opera di Ivo Saliger

Cesare Pavese – Schiuma d’onda. da Dialoghi con Leucò

SAFFO: E’ monotono qui, Britomarti. Il mare è
monotono. Tu che sei qui da tanto tempo, non t’annoi?
BRITOMARTI: Preferivi quand’eri mortale, lo so. Diventare un po’ d’onda che schiuma, non vi basta.
Eppure cercate la morte, questa morte. Tu perché l’hai cercata?
SAFFO: Non sapevo che fosse così. Credevo che tutto finisse con l’ultimo salto. Che il desiderio, l’inquietudine, il tumulto sarebbero spenti. Il mare inghiotte, il mare annienta, mi dicevo.
BRITOMARTI: Tutto muore nel mare, e rivive. Ora lo sai.
SAFFO: E tu perché hai cercato il mare, Britomarti – tu che eri ninfa?
BRITOMARTI: Non l’ho cercato, il mare. Io vivevo sui monti. E fuggivo sotto la luna, inseguita da non so che mortale. Tu, Saffo, non conosci i nostri boschi, altissimi, a strapiombo sul mare. Spiccai il salto, per salvarmi.
SAFFO: E perché poi, salvarti?
BRITOMARTI: Per sfuggirgli, per essere io. Perché dovevo, Saffo.
SAFFO: Dovevi? Tanto ti dispiaceva quel mortale?
BRITOMARTI: Non so, non l’avevo veduto. Sapevo soltanto che dovevo fuggire.
SAFFO: E’ possibile questo? Lasciare i giorni, la montagna, i prati – lasciar la terra e diventare schiuma d’onda – tutto perché dovevi? Dovevi che cosa? Non ne sentivi desiderî, non eri fatta anche di questo?
BRITOMARTI: Non ti capisco, Saffo bella. I desideri e l’inquietudine ti han fatta chi sei; poi ti lagni che anch’io sia fuggita.
SAFFO: Tu non eri mortale e sapevi che a niente si sfugge.
BRITOMARTI: Non ho fuggito i desiderî, Saffo. Quel che desidero ce l’ho. Prima ero ninfa delle rupi, ora del mare. Siamo fatte di questo. La nostra vita è foglia e tronco, polla d’acqua, schiuma d’onda. Noi giochiamo a sfiorare le cose, non fuggiamo. Mutiamo. Questo è il nostro desiderio e il destino. Nostro solo terrore è che un uomo ci possegga, ci fermi. Allora sì che sarebbe la fine. Tu conosci Calipso?
SAFFO: Ne ho sentito.
BRITOMARTI: Calipso si è fatta fermare da un uomo. E più nulla le è valso. Per anni e per anni non uscì più dalla sua grotta. Vennero tutte, Leucotea, Callianira, Cimodoce, Oritía, venne Anfitrìte, e le parlarono, la presero con sé, la salvarono. Ma ci vollero anni, e che quell’uomo se ne andasse.
SAFFO: Io capisco Calipso. Ma non capisco che vi abbia ascoltate. Che cos’è un desiderio che cede?
BRITOMARTI: Oh Saffo, onda mortale, non saprai mai cos’è sorridere?
SAFFO: Lo sapevo da viva. E ho cercato la morte.
BRITOMARTI: Oh Saffo, non è questo il sorridere. Sorridere è vivere come un’onda o una foglia, accettando la sorte. E’ morire a una forma e rinascere a un’altra. E’ accettare, accettare, se stesse e il destino.
SAFFO: Tu l’hai dunque accettato?
BRITOMARTI: Sono fuggita, Saffo. Per noialtre è più facile.
SAFFO: Anch’io, Britomarti, nei giorni, sapevo fuggire. E la mia fuga era guardare nelle cose e nel tumulto, e farne un canto, una parola. Ma il destino è ben altro.
BRITOMARTI: Saffo, perché? Il destino è gioia, e quando tu cantavi il canto eri felice.
SAFFO – Dunque accetti il desiderio?
BRITOMARTI – Non lo accetto, lo sono.
SAFFO: Non sono mai stata felice,
Britomarti. Il desiderio non è canto. Il desiderio schianta e brucia, come il serpe, come il vento.
BRITOMARTI: Non hai mai conosciuto donne mortali che vivessero in pace nel desiderio e nel tumulto?
SAFFO: Nessuna… forse sì… Non le mortali come Saffo. Tu eri ancora la ninfa dei monti, io non ero ancor nata. Una donna varcò questo mare, una mortale, che visse sempre nel tumulto – forse in pace. Una donna che uccise, distrusse, accecò, come una dea – sempre uguale a se stessa. Forse non ebbe da sorridere neppure. Era bella, non sciocca, e intorno a lei tutto moriva e combatteva. Britomarti, combattevano e morivano chiedendo solo che il suo nome fosse un istante unito al loro, desse il nome alla vita e alla morte di tutti. E sorridevano per lei… Tu la conosci – Elena Tindaride, la figlia di Leda.
BRITOMARTI: E costei fu felice?
SAFFO: Non fuggì, questo è certo. Bastava a se stessa. Non si chiese quale fosse il suo destino. Chi volle, e fu forte abbastanza, la prese con sé. Seguì a dieci anni un eroe, la ritolsero a lui, la sposarono a un altro, anche questo la perse, se la contesero oltremare in molti, la riprese il secondo, visse in pace con lui, fu sepolta, e nell’Ade conobbe altri ancora. Non mentì con nessuno, non sorrise a nessuno. Forse fu felice.
BRITOMARTI: E tu invidi costei?
SAFFO: Non invidio nessuno. Io ho voluto morire. Essere un’altra non mi basta. Se non posso esser Saffo, preferisco esser nulla.
BRITOMARTI: Dunque accetti il destino?
SAFFO: Non l’accetto. Lo sono. Nessuno l’accetta.
BRITOMARTI: Tranne noi che sappiamo sorridere.
SAFFO: Bella forza. E’ nel vostro destino. Ma che cosa significa?
BRITOMARTI: Significa accettarsi e accettare.
SAFFO: E che cosa vuol dire? Si può accettare che una forza ti rapisca e tu diventi desiderio, desiderio tremante che si dibatte intorno a un corpo, di compagno o compagna, come la schiuma tra gli scogli? E questo corpo ti respinge e t’infrange, e tu ricadi, e vorresti abbracciare lo scoglio, accettarlo. Altre volte sei scoglio tu stessa, e la schiuma – il tumulto – si dibatte ai tuoi piedi. Nessuno ha mai pace. Si può accettare tutto questo?
BRITOMARTI: Bisogna accettarlo. Hai voluto sfuggire, e sei schiuma anche tu.
SAFFO: Ma tu lo senti questo tedio, quest’inquietudine marina? Qui tutto macera e ribolle senza posa. Anche ciò che è morto si dibatte inquieto.
BRITOMARTI: Dovresti conoscerlo il mare. Anche tu sei da un’isola…
SAFFO: Oh Britomarti, fin da bimba mi atterriva. Questa vita incessante è monotona e triste. Non c’è parola che ne dica il tedio.
BRITOMARTI: Un tempo, nella mia isola, vedevo arrivare e partire i mortali. C’erano donne come te, donne d’amore, Saffo. Non mi parvero mai tristi né stanche.
SAFFO: Lo so, Britomarti, lo so. Ma le hai seguite sul loro cammino? Ci fu quella che in terra straniera s’impiccò con le sue mani alla trave di casa. E quella che si svegliò la mattina sopra uno scoglio, abbandonata. E poi le altre, tante altre, da tutte le isole, da tutte le terre, che discesero in mare e chi fu serva, chi straziata, chi uccise i suoi figli, chi stentò giorno e notte, chi non toccò più terraferma e divenne una cosa, una belva del mare.
BRITOMARTI: Ma la Tindaride, tu hai detto, uscì illesa.
SAFFO: Seminando l’incendio e la strage. Non sorrise a nessuno. Non mentì con nessuno. Ah, fu degna del mare. Britomarti, ricorda chi nacque quaggiù…
BRITOMARTI: Chi vuoi dire?
SAFFO: C’è ancora un’isola che non hai visto. Quando sorge il mattino, è la prima nel sole…
BRITOMARTI: Oh Saffo.
SAFFO: Là balzò dalla schiuma quella che non ha nome, l’inquieta angosciosa, che sorride da sola.
BRITOMARTI: Ma lei non soffre. E’ una gran dea.
SAFFO: E tutto quello che si macera e dibatte nel mare, è sua sostanza e suo respiro. Tu l’hai veduta, Britomarti?
BRITOMARTI: Oh Saffo, non dirlo. Sono soltanto una piccola ninfa.
SAFFO: Tu vedi, dunque…
BRITOMARTI: Davanti a lei, tutte fuggiamo. Non parlarne, bambina.

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