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18 dicembre 2015

La Madre. Dialoghi con Leucò - Cesare Pavese

Meleagro e Atalanta - Jacob Jordaens
La Madre. Dialoghi con Leucò - Cesare Pavese

La vita di Meleagro era legata a un tizzone che la madre Altea cavò dal fuoco quando le nacque il figlio. Madre imperiosa che, quando Meleagro ebbe ucciso lo zio che pretendeva la sua parte della pelle del cinghiale, in uno scatto d’ira ributtò il tizzone nel fuoco e lo lasciò morire.
(Parlano Meleagro e Ermete)

MELEAGRO Sono bruciato come un tizzo, Ermete.
ERMETE Ma non avrai sofferto molto.
MELEAGRO Era peggio la pena, la passione di prima.
ERMETE E adesso ascolta, Meleagro. Tu sei morto. La fiamma, l’arsione sono cose passate. Tu sei meno del fumo che si è staccato da quel fuoco. Sei quasi nulla. Rassegnati. E per te non sono nulla le cose del mondo, il mattini, la sera, i paesi. Guardati intorno adesso.
MELEAGRONon vedo nulla e non m’importa. Sono ancora una brace… Cos’hai detto dei paesi del mondo? O Ermete, come a dio che tu sei, certo il mondo è bello, e diverso, e sempre dolce. Hai i tuoi occhi, Ermete. Ma io Meleagro fui soltanto cacciatore e figlio di9 cacciatori, non uscii mai dalle mie selve, vissi davanti a un focolare, e quando nacqui il mio destino era già chiuso nel tizzone che mia madre rubò. Non conobbi che qualche compagno, le belve, e mia madre.
ERMETE Tu credi che l’uomo, qualunque uomo, abbia mai conosciuto altro?
MELEAGRO Non so. Ma ho sentito parlare di libere vite di là dai monti e dai fiumi, di traversate, di arcipelaghi, d’incontri con mostri e con dèi. Di uomini più forti anche di me, più giovani, segnati da strani destini.
ERMETE Avevano tutti una madre, Meleagro. E fatiche da compiere e una morte li attendeva, per la passione di qualcuno. Nessuno fu signore de né conobbe mai altro.
MELEAGRO Una madre… nessuno conosce la mia. Nessuna sa cosa significhi saper la propria vita in mano a lei e sentirsi bruciare, e quegli occhi che fissano il fuoco. Perché, il giorno che nacqui, strappò il tizzone dalla fiamma e non lasciò che incenerissi? E dovevo crescere, diventare quel Meleagro, piangere, giocare, andare a caccia, veder l’inverno, veder le stagioni, essere uomo - ma saper l’altra cosa, portare nel cuore quel peso, spiarle in viso la mia sorte quotidiana. Qui è la pena. Non è nulla un nemico.
ERMETE Siete stranezze voi mortali. Vi stupite di ciò che sapete. Che un nemico non pesi, è evidente. Così come ognuno ha una madre. E perché dunque è inaccettabile saper la propria vita in mano a lei?
MELEAGRO Noi cacciatori, Ermete, abbiamo un patto. Quando saliamo la montagna ci aiutiamo a vicenda - ciascuno ha in pugno la vita dell’altro, ma non si tradisce il compagno.
ERMETE O sciocco, non si tradisce il compagno… Ma non è questo. Sempre la vostra vita è nel tizzone, e la madre che vi ha strappati dal fuoco, e voi vivete mezzo riarsi. E la passione che vi finisce è ancora quella della madre. Che altro siete se non carne e sangue suoi?
MELEAGRO Ermete, bisogna aver visto i suoi occhi. Bisogna averli visti dall’infanzia, e saputi familiare e sentirli fissi su ogni tuo passo e gesto, per giorni, per anni, e sapere che invecchiano, che muoiono, e soffrirci, farsene pena, temere di offenderli. Allora si, è inaccettabile che fissino il fuoco vedendo il tizzone.
ERMETE Sai anche questo e ti stupisci, Meleagro? Ma che invecchino e muoiano vuol dire che tu intanto ti sei fatto uomo e sapendo di offenderli li vai cercando altrove vivi e veri. E se trovi questi occhi - si trovano sempre, Meleagro - chi li porta è di nuovo la madre. E tu allora non sai più con chi hai da fare e sei quasi contento, ma sta certo che loro - la vecchia e le giovani - sanno. E nessuno può sfuggire al destino che l’ha segnato dalla nascita col fuoco.
MELEAGRO Qualche altro ha avuto il mio destino, Ermete?
ERMETE Tutti, Meleagro, tutti. Tutti attende una morte, per la passione di qualcuno. Nella carne e nel sangue di ognuno rugge la madre. Vero è che molti sono vili, più di te.
MELEAGRO Non ero vile, Ermete.
ERMETE Ti parlo come a ombra, non come a mortale. Fin che l’uomo non sa, è coraggioso.
MELEAGRO Non sono vile, se mi guardo intorno. So tante cose adesso. Ma non credo che anche lei - la giovane - sapesse quegli occhi.
ERMETE Non li sapeva. Era quegli occhi.
MELEAGRO o Atalanta, io mi domando se anche tu sarai madre, e capace di guardare nel fuoco.
ERMETE Vedi se ti ricordi le parole che disse, la sera che scannaste il cinghiale.
MELEAGRO Quella sera, la sera del patto. Non la dimentico, Ermete. Atalanta era piena di furia perché avevo lasciato sfuggire la belva nella neve. Mi menò un colpo con la scure e mi prese alla spalla. Io da quel colpo mi sentii toccare appena, ma le urlai più furente di lei: “Ritorna a casa. Ritorna con le donne, Atalanta. Qui non è il luogo da capricci di ragazze”. E la sera, quando il cinghiale fu morto, Atalanta camminò con me in mezzo ai compagni e mi diede la scure ch’era cercata a trovare da sola sul nevaio. Facemmo il patto, quella sera, che, andando a caccia, uno dei due sarebbe a turno stato disarmato, perché l’altro non fosse tentato dall’ira.
ERMETE e che cosa ti disse Atalanta?
MELEAGRO Non l’ho scordato, Ermete. “O figlio di Altea, - disse, - la pelle del cinghiale starà sul nostro letto di nozze. Sarà come il prezzo del tuo sangue - e del mio”. E sorrise, così per farsi perdonare.
ERMETE Nessun mortale, Melagro, riesce a pensare sua madre ragazza. Ma non ti pare che dice queste cose sarà capace di guardare il fuoco? Anche la vecchia Altea ti uccise per un prezzo del sangue.
MELEAGRO O Ermete, tutto ciò è il mio destino. Ma son pure esistiti mortali che vissero a sazietà senza che nessuno avesse in pugno il loro giorni…
ERMETE Tu ne conosci, Meleagro? Sarebbero dèi. Qualche vile è riuscito a nascondere il capo, ma anche lui portava sangue di madre, e allora l’odio, la passione, la furia son divampati nel suo cuore solo. In qualche sera della vita anche lui si è sentito riardere. Non tutti - è vero - siete morti di questo. Tutti, quando sapete, conducete una vita di morti. Credimi, Meleagro, tu hai avuto fortuna.
MELEAGRO Ma nemmeno vedere i miei figli… non conoscere quasi il mio letto…
ERMETE Hai avuto fortuna. I tuoi figli non nasceranno. Il tuo letto è deserto. I tuoi compagni vanno a caccia come quando non c’eri. Tu sei un’ombra e il nulla.
MELEAGRO E Atalanta, Atalanta?
ERMETE La casa è vuota come quando annottava e tardavate a ritornare dalla caccia. Atalanta, che ti ha istigato a vendicarti, non è morta. Le due donne convivono senza parole, guardano il focolare, dov’è stramazzato il fratello di tua madre e dove tu sei fatto cenere. Forse non si odiano nemmeno. Si conoscono troppo. Senza l’uomo le donne son nulla.
MELEAGRO Ma allora perché ci hanno ucciso?
ERMETE Chiedi perché vi han fatto, Meleagro.

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