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10 gennaio 2016

Dialoghi con Leucò 14 - L’ospite - Cesare Pavese

particolare dell'Eracle Farnese, III sec d.C.

Dialoghi con Leucò 14 - L’ospite - Cesare Pavese
 
La Frigia e la Lidia furon sempre paesi di cui i Greci amarono raccontare atrocità. Beninteso, era tutto accaduto a casa loro, ma in tempi più antichi.
Inutile dire chi perse la gara della mietitura.
(Parlano Litierse e Eracle)

LITIERSE Ecco il campo, straniero. Anche noi siamo ospitali come voialtri a casa vostra. Di qua non ti è possibile scampare, e come hai mangiato e bevuto con noi, la nostra terra si berrà il tuo sangue. Qust’altr’anno il Meandro vedrà un grano fitto e spesso più di questo.
ERACLE Molti ne avete ucciso in passato sul campo?
LITIERSE Abbastanza. Ma nessuno che avesse la tua forza o bastasse da solo. E sei rosso di pelo, hai le pupille come fiori - darai vigore a questa terra.
ERACLE Chi vi ha insegnato quest’usanza?
LITIERSE Si è sempre fatto. Se non nutri la terra, come puoi chiederle che nutra te?
ERACLE Già quest’anno il tuo grano mi sembra in rigoglio. Giunge alla spalla di chi miete. Chi avevate scannato?
LITIERSE Non ci venne nessun forestiero. Uccidemmo un vecchio servo e un caprone. Fu un sangue molle che la terra sentì appena. Vedi la spiga, com’è vana. Il corpo che noi laceriamo deve prima sudare, schiumare nel sole. Per questo ti faremo mietere, portare i covoni, grondare fatica, e soltanto alla fine, quando il tuo sangue ferverà fiero e schietto, sarà il momento di aprirti la gola. Tu sei giovane e forte.
ERACLE I vostri dèi che cosa dicono?
LITIERSE Non c’è dèi sopra il campo. C’è soltanto la terra, la Madre, la Grotta, che attende sempre e si riscuote soltanto sotto il fiotto del sangue. Questa sera, straniero, sarai tu stesso nella grotta.
ERACLE Voialtri Frigi non scendete nella grotta?
LITIERSE Noi ne usciamo nascendo, e non c’è fretta di tornarci.
ERACLE Ho capito. E così l’escremento del sangue è necessario ai vostri dèi.
LITIERSE Non dèi ma la terra, straniero. Voi non vivete su una terra?
ERACLE i nostri dèi non sono in terra, ma reggono il mare e la terra, la selva e la nuvola, come il pastore tiene il gregge e il padrone comanda ai suoi servi. Se ne stanno appartati, sul monte, come i pensieri dentro gli occhi di chi parla o come le nuvole in cielo. Non hanno bisogno di sangue.
LITIERSE Non ti capisco, ospite straniero. La nuvola la rupe la grotta hanno per noi lo stesso nome e non si appartano. Il sangue che la madri ci ha dato glielo rendiamo in sudore, in escremento, in morte. È proprio vero che tu vieni da lontano. Quei vostri dèi non sono nulla.
ERACLE Sono una stirpe d’immortali. Hanno vinto la selva, la terra e i suoi mostri. Hanno cacciato nella grotta tutti quelli come te che spargevano il sangue per nutrire la terra.
LITIERSE Oh vedi, i tuoi dèi sanno quel che si fanno. Anche loro han dovuto saziare la terra. E del resto tu sei troppo robusto per essere nato da una terra non sazia.
ERACLE Su dunque, Litierse, si miete?
LITIERSE Ospite, sei strano. Ma nessuno sinora ha detto questo di fronte al campo. Non la temi la morte sul covone? Speri forse di fuggire tra i solchi come una quaglia o uno scoiattolo?
ERACLE Se ho ben capito, non è morte ma ritorno alla Madre e come un dono ospitale. Tutti questi villani che s’affaticano sul campo, saluteranno con preghiere e con canti chi darà il sangue per loro. È un grande onore.
LITIERSE Ospite, grazie. Ti assicuro che il servo che abbiamo scannato l’altr’anno non diceva così. Era vecchio e sfinito eppure si dovette legarlo con ritorte di scorza e a lungo si dibattè sotto le falci, tanto che prima di cadere s’era già tutto dissanguato.
ERACLE Questa volta, Litierse, andrà meglio. E dimmi, ucciso l’infelice, che ne fate?
LITIERSE Lo si lacera ancor semivivo, e i brani li spargiamo nei campi a toccare la Madre. Conserviamo la testa sanguinosa avvolgendola in spighe e fiori, e tra canti e allegrie la gettiamo nel Meandro. Perché la madre non è terra soltanto ma, come ti ho detto, anche nuvola e acqua.
ERACLE Sai molte cose, tu Litierse, non per nulla sei signore dei campi in Celene. E a Pessino, dimmi, ne uccidono molti?
LITIERSE Dappertutto, straniero, si uccide sotto il sole. Il nostro grano non germoglia che da zolle toccate. La terra è viva, e deve pur esser nutrita.
ERACLE Ma perché chi uccidete dev’esser straniero? La terra, la grotta che vi ha fatti, dovrà pur preferire di riprendersi i succhi che più le somigliano. Anche tu, quando mangi, non preferisci il pane e il vino del tuo campo?
LITIERSE Tu mi piaci, straniero, ti prendi a cuore il nostro bene come se fossi figlio nostro. Ma rifletti un momento perché duriamo la fatica e l’affanno di questi lavori. Per vivere, no? E dunque è giusto che noi restiamo in vita a goderci la messe, e che muoiano gli altri. Tu non sei contadino.
ERACLE Ma non sarebbe anche più giusto trovare il modo di por fine alle uccisioni e che tutti, stranieri e paesani, mangiassero il grano? Uccidere un’ultima volta chi da solo fecondasse per sempre la terra e le nubi e la forza del sole su questa piana?
LITIERSE Tu non sei contadino, lo vedo. Non sai nemmeno che la terra ricomincia a ogni solstizio e che il giro dell’anno esaurisce ogni cosa.
ERACLE Ma ci sarà su questa piana chi si è nutrito, risalendo i suoi padri, di tutti i succhi delle stagioni, chi è tanto ricco e tanto forte e di sangue così generoso, da bastare una volta per tutte a rifare la terra delle stagioni passate?
LITIERSE Tu mi fai ridere, straniero. Sembra quasi che parli di me. Sono il solo in Celene che, attraverso i miei padri, sono sempre vissuto quaggiù. Sono il signore, e tu lo sai.
ERACLE Parlo infatti di te. Mieteremo, Litierse. Sono venuto dalla Grecia per quest’opera di sangue. Mieteremo. E stasera rientrerai nella porta.
LITIERSE Vuoi uccidere me, sul mio campo?
ERACLE Voglio combatter con te fino alla morte.
LITIERSE Sai almeno menarla la falce, straniero?
ERACLE Stai tranquillo, Litierse. Fatti sotto.
LITIERSE Certo, le braccia le hai robuste
ERACLE Fatti sotto.

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