... a Pisticci (MT) ...
da "Le città invisibili - Italo Calvino
...Nuovo arrivato e affatto ignaro
delle lingue del Levante, Marco Polo non poteva esprimersi altrimenti che estraendo
oggetti dalle sue valigie: tamburi, pesci salati, collane di denti di facocero,
e indicandoli con gesti, salti, grida di meraviglia o d’orrore, o imitando il
latrato dello sciacallo e il chiurlio del barbagianni.
Non sempre le connessioni tra un
elemento e l’altro del racconto risultavano evidenti all’imperatore; gli
oggetti potevano voler dire cose diverse: un turcasso pieno di frecce indicava
ora l’approssimarsi d’una guerra, ora abbondanza di cacciagione, oppure la
bottega d’un armaiolo; una clessidra poteva significare il tempo che passa o
che è passato, oppure la sabbia, o un’officina in cui si fabbricano clessidre. Ma
ciò che rendeva prezioso a Kublai ogni fatto o notizia riferito dal suo
inarticolato informatore era lo spazio che restava loro intorno, un vuoto non
riempito di parole. Le descrizioni di città visitate da Marco Polo avevano
questa dote: che ci si poteva girare in mezzo col pensiero, perdercisi, fermarsi
a prendere il fresco, o scappare via di corsa.
Col passare del tempo, nei racconti
di Marco le parole andarono sostituendosi agli oggetti e ai gesti: dapprima esclamazioni,
nomi isolati, secchi verbi, poi giri di frase, discorsi ramificati e frondosi,
metafore e traslati. Lo straniero aveva imparato a parlare la lingua
dell’imperatore, o l’imperatore a capire la lingua dello straniero. Ma si
sarebbe detto che la comunicazione fra loro fosse meno felice d’una volta:
certo le parole servivano meglio degli oggetti e dei gesti per elencare le cose
più importanti d’ogni provincia e città: monumenti, mercati, costumi, fauna e
flora; tuttavia quando Polo cominciava a dire di
come doveva essere la vita in quei
luoghi, giorno per giorno, sera dopo sera, le parole gli venivano meno, e a
poco a poco tornava a ricorrere a gesti, a smorfie, a occhiate.
Così, per ogni città, alle notizie
fondamentali enunciate in vocaboli precisi, egli faceva seguire un commento
muto, alzando le mani di palma, di dorso, o di taglio, in mosse diritte o
oblique, spasmodiche o lente. Una nuova specie di dialogo si stabilì tra loro:
le bianche mani del Gran Kan, cariche di anelli, rispondevano con movimenti
composti a quelle agili e nodose del mercante. Col crescere d’un intesa tra
loro, le mani presero ad assumere atteggiamenti stabili, che corrispondevano
ognuno a un movimento dell’animo, nel loro alternarsi e ripetersi. E mentre il vocabolario
delle cose si rinnovava con i campionari delle
mercanzie, il repertorio dei
commenti muti tendeva a chiudersi e a fissarsi. Anche il piacere a ricorrervi
diminuiva in entrambi; nelle loro conversazioni restavano il più del tempo
zitti e immobili.
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