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19 aprile 2017

Unità di misura – Enzo Montano

Quentin Metsys - Il banchiere e sua moglie, dettaglio
Unità di misura – Enzo Montano

Spanne, tommoli, etti o metri cubi
Iarde, sicli e cubiti, servono forse a
calcolare i sentimenti, le persone
e a misurare la memoria.
Piume e fili d’erba al vento
Stabiliscono la leggerezza vacua
della retorica nelle parole
di chi nelle cerimonie di rito
celebra un ricordo atroce
mentre l’indomani o il giorno stesso
innalza muri contro la disperazione.
Come si misura la stupidità di quei muri,
se non in chilometri quadrati
tanti quanto è grande un oceano?

E quanti sono i bicchieri sulle tavole
colmi di indifferenza quando i notiziari
inondano il pranzo di bambini morti?
Quante bottiglie riempie il razzismo
che respinge le loro sofferenze?
E quante brocche servono
per la sofferenza delle madri torturate,
per i loro gridi, per le frustate
e le violenze riservate alle femmine
solo perché femmine?
Basta un baule o due o forse tre
per quella violenza inaudita?
Come dare una grandezza
alle lacrime di un’ottantenne,
unico sopravvissuto allo stermino
della sua famiglia che non avrà discendenza?
Una sola lacrima riempirebbe
milioni di pignatte o di misure!
Come si stila una scala del dolore
senza portare dentro il dubbio della colpevolezza?
Quante migliaia di distanze per un orizzonte
che possa chiamarsi semplice serenità,
prima dell’ultima certezza, dritta al cuore
affilata come la spada di un centurione?

Così, lungo i bordi della coscienza
fluiscono speranze e pentimenti,
le illusioni scorrono ininterrotte
nelle vene assieme al sangue,
senza misura e senza direzione
perché intorno il buio nasconde
ognuno degli orizzonti che io ricordo.

Sofferenza sulla sofferenza,
persecuzione sulle persecuzioni,
promesse di luce su promesse di orizzonti,
rifiuto su rifiuto a chi è sempre rifiutato,
osservatori senza pentimento
e senza penitenza: solo pesce
e magari del formaggio il Venerdì Santo.
poi il lavacro della stazioni della Croce,
e finalmente la spesa per il pranzo della Pasqua,
auguri di felicità e scambio sorridente
ma contrito del segno della pace.

Qual è l’unità di misura dell’ipocrisia?

Esiste un recipiente che si colma,
dopo di che si innalza incontenibile
l’indignazione degli umani
e le nefandezze terminano?
Oppure per trenta denari
tracimeranno i crimini lungo le
vie, tra i giorni e nelle nostre vite,
senza che qualcuno misuri
lo sgomento durante le omelie,
affilate come spade di centurioni?

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