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8 settembre 2014

Terza Elegia – Rainer Maria Rilke

Antonio Balestra -  La Virtù difende il Giudizio dall'Ignoranza e dal Vizio (1690-1710)













Terza Elegia – Rainer Maria Rilke 


Una cosa è cantare l'amata. Tutt'altra,
quel segreto colpevole dio fiume del sangue.
Cosa ne sa il suo giovane, che lei riconosce da lontano,
del signore del piacere, lui che tante volte dalla sua solitudine,
prima ancora che lei lo placasse, e spesso anche come se lei
non ci fosse,
grondante di irriconoscibile, sollevò il capo divino
incitando la notte a infinito tumulto.
Oh Nettuno del sangue, oh suo tridente spaventoso.
Oh il vento scuro del suo petto dalla conchiglia contorta.
Ascolta come la notte sprofonda e s'infossa. Voi stelle,
non viene forse da voi il desiderio dell'innamorato per il volto
della tua amata? E l'intima conoscenza
di quelle pure sembianze, non gli viene forse dalla purezza
degli astri?

Non fosti tu, e neppure sua madre
a tendere l'arco delle sue sopracciglia, in tale anticipazione.
Non su di te, che ne sei innamorata, non su di te
si curvò il suo labbro a più feconda espressione.
Credi veramente che l'avesse scosso il tuo apparire leggero,
tu che ti muovi come il vento mattutino?

E' vero che gli hai spaventato il cuore; eppure terrori più
antichi
si abbattono su di lui al tuo tocco improvviso.
Chiamalo... la tua voce non basta a richiamarlo da quel buio.
Certamente lui vuole, si butta avanti; sollevato, si ritrova
a casa nel tuo cuore, e prende e comincia se stesso.
Ma si è mai dato principio?
Madre, tu lo hai fatto piccolo, cominciarlo:
a te era nuovo, tu hai piegato su quegli occhi nuovi
il mondo antico e li hai difesi da quello estraneo.
Dove sono andati gli anni, quando semplicemente
con la tua forma slanciata placavi per lui il tumulto del caos?
Tante cose gli hai nascosto così; gli rendevi benevola
la stanza ogni notte sospetta, dal tuo cuore pieno di
protezione
mescolavi al suo spazio notturno uno spazio più umano.
Nel buio, no, ma nella tua più vicina presenza
mettesti il lume notturno, e brillava come per amicizia.
Non ci fu mai fruscio che tu non gli chiarissi con un sorriso,
come se tu avessi sempre saputo il quando degli scricchiolii...
E lui ascoltava e si placava. Il tuo levarti
aveva un tale tenero potere; il suo destino alto nel suo
mantello,
si ritirava dietro l'armadio, e il suo inquieto futuro,
muovendosi leggermente, si sistemava tra le pieghe della
tenda.

E lui stesso, con che sollievo aveva coricato, dissolvendo
sotto le palpebre assonnate la dolcezza della tua lieve figura
nell'assaporato principio del sonno -:
sembrava protetto... Ma dentro: chi lottava,
arginando dentro di lui la marea ancestrale?
No, non vi era cautela nel nel dormiente; che dormiva,
però sognando, però febbrile: come si lasciava andare.
Lui, così nuovo, intimorito, come si era impigliato
nei grovigli incalzanti degli eventi interiori
già inviluppato in un disegno, in una crescita soffocante, in
forme
che davano la caccia come animali. Come si abbandonava.
Amava.
Amava il proprio intimo, la sua giungla interiore,
questa foresta vergine dentro di lui, sui cui muti tronchi
caduti
stava ritto, verde chiaro, il suo cuore. Amava. E lo lasciò, si
lanciò
oltre le sue stesse radici dentro origini immense,
dove la sua piccola nascita era già stata vissuta. Amando,
discese in un sangue più antico, nei burroni
ove giaceva l'orrido, ancora sazio dei padri. E ogni cosa
tremenda
lo conobbe, ammiccò, come in un'intesa.
Sì, l'atroce sorrise... Di rado
hai sorriso così teneramente, madre. Come avrebbe potuto
non amarlo, dal momento che gli sorrideva? Prima di te
lo ha amato, poiché già quando tu lo portavi in seno,
esso era disciolto nell'acqua che rende leggero l'embrione.

Vedi, noi non amiamo, come i fiori, per una
stagione sola. Dove amiamo, una linfa immemorabile
ci sale nelle braccia. Questo, fanciulla:
noi amammo dentro di noi, non una cosa sola, un unico
futuro, ma
l'innumerevole fermento; non un singolo figlio,
ma i padri che ci fondano nel terreno
come rovine di montagne; ma il disseccato letto del fiume
delle madri precedenti - ; ma l'intero
muto paesaggio sotto un destino nuvoloso
o sereno -: questo, fanciulla, ti precedette.
E tu stessa, che ne sai -, tu risvegliasti
il passato nell'innamorato. Quali passioni
emersero da esistenze trapassate. Quali
donne ti odiarono laggiù. Che sorta di uomini sinistri
suscitasti nelle vene del giovane? Bambini
morti ti vollero raggiungere... Oh piano, piano,
fa qualcosa di affettuoso davanti a lui, un lavoro
quotidiano fidato -,
guidalo verso il giardino, dagli delle notti
il maggior peso...
Trattienilo...

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