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17 maggio 2015

Morte di Ermengarda - Alessandro Manzoni

Monaca e fanciulla – miniatura dal mese di maggio dal salterio – miniatura dal cosiddetto “Guta-Sintram codex”, 1154 ca. – Strasburgo, Biblioteca del Seminario.

Morte di Ermengarda - Alessandro Manzoni

Sparsa le trecce morbide
sull’affannoso petto,
lenta le palme, e rorida
di morte il bianco aspetto,
giace la pia, col tremolo
sguardo cercando il ciel.
Cessa il compianto: unanime
s’innalza una preghiera:
calata in su la gelida
fronte, una man leggiera
sulla pupilla cerula
stende l’estremo vel.
Sgombra, o gentil, dall’ansia
mente i terrestri ardori;
leva all’Eterno un candido
pensier d’offerta, e muori:
fuor della vita è il termine
del lungo tuo martir.
Tal della mesta, immobile
era quaggiuso il fato:
sempre un obblio di chiedere
che le saria negato;
e al Dio de’ santi ascendere,
santa del suo patir.
Ahi! nelle insonni tenebre,
pei claustri solitari,
tra il canto delle vergini,
ai supplicati altari,
sempre al pensier tornavano
gl’irrevocati dì;
quando ancor cara, improvida
d’un avvenir mal fido,
ebbra spirò le vivide
aure del Franco lido,
e tra le nuore Saliche
invidiata uscì:
quando da un poggio aereo,
il biondo crin gemmata,
vedea nel pian discorrere
la caccia affaccendata,
e sulle sciolte redini
chino il chiomato sir;
e dietro a lui la furia
de’ corridor fumanti;
e lo sbandarsi, e il rapido
redir dei veltri ansanti;
e dai tentati triboli
l’irto cinghiale uscir;
e la battuta polvere
rigar di sangue, colto
dal regio stral: la tenera
alle donzelle il volto
volgea repente, pallida
d’amabile terror.
Oh Mosa errante! oh tepidi
lavacri d’Aquisgrano!
ove, deposta l’orrida
maglia, il guerrier sovrano
scendea del campo a tergere
il nobile sudor!
Come rugiada al cespite
dell’erba inaridita,
fresca negli arsi calami
fa rifluir la vita,
che verdi ancor risorgono
nel temperato albor;
Tale al pensier, cui l’empia
virtù d’amor fatica,
discende il refrigerio
d’una parola amica,
e il cor diverte ai placidi
gaudii di un altro amor.
Ma come il sol che reduce
l’erta infocata ascende,
e con la vampa assidua
l’immobil aura incende,
risorti appena i gracili
steli riarde al suol;
ratto così dal tenue
obblio torna immortale
l’amor sopito, e l’anima
impaurita assale,
e le sviate immagini
richiama al noto duol.
Sgombra, o gentil, dall’ansia
mente i terrestri ardori;
leva all’Eterno un candido
pensier d’offerta, e muori:
nel suol che dee la tenera
tua spoglia ricoprir,
altre infelici dormono,
che il duol consunse; orbate
spose dal brando, e vergini
indarno fidanzate;
madri che i nati videro
trafitti impallidir.
Te dalla rea progenie
degli oppressor discesa,
cui fu prodezza il numero,
cui fu ragion l’offesa,
e dritto il sangue, e gloria
il non aver pietà,
te collocò la provida
sventura in fra gli oppressi:
muori compianta e placida;
scendi a dormir con essi:
alle incolpate ceneri
nessuno insulterà.
Muori; e la faccia esanime
si ricomponga in pace;
com’era allor che improvida
d’un avvenir fallace,
lievi pensier virginei
solo pingea. Così
dalle squarciate nuvole
si svolge il sol cadente,
e, dietro il monte, imporpora
il trepido occidente:
al pio colono augurio
di più sereno dì.
Alessandro Manzoni, (da ADELCHI - Coro, 1822)

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