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15 maggio 2017

Quattro quartetti DRY SALVAGES II – T. S. Eliot

opera di Andrey Remnev
Quattro quartetti – T. S. Eliot

DRY SALVAGES
II
Quando avrà fine, il lamento senza suono,
Il silenzioso avvizzire dei fiori autunnali
Che perdono i petali e restano immobili;
Quando avrà fine, la deriva dei relitti,
La preghiera dell’osso sulla spiaggia, la non pregabile
Preghiera della calamitosa annunciazione?

Non avrà fine, ma aggiunta: il seguito
Trascinato di altri giorni e altre ore,
Mentre l’emozione si assuefà ad anni senza emozione
Di vita proseguita fra i rottami
Di ciò che si credeva più affidabile –
Pertanto più adatto all’alienazione.

Ci sarà l’ultima aggiunta, l’orgoglio
Languente o il risentimento per le forze languenti,
La fedeltà senza oggetto che può parere infedele,
In una barca alla deriva con una falla che si allarga,
Il silenzioso ascolto dell’innegabile
Clamore della campana dell’ultima annunciazione.

Quando avranno fine, i pescatori che fanno rotta
Nella coda del vento, dove la nebbia si acquatta?
Non possiamo concepire un tempo senza un oceano
O un oceano non cosparso di rifiuti
O un futuro che non sia esposto
Come il passato a non avere alcuna destinazione.

Dobbiamo pensarli sempre all’atto di sgottare,
Ammainare e issare, mentre il grecale minaccia
Sui fondali bassi senza mutamento ed erosione,
O a prendere la paga, asciugare le vele in banchina;
Non nell’atto di compiere un viaggio non ricompensabile
Per una pesca che non merita considerazione.

Non avrà fine, il lamento senza voce,
Non avrà fine l’avvizzire di fiori vizzi,
Il movimento del dolore che è indolore e immobile,
La deriva del mare e dei relitti alla deriva,
La preghiera dell’osso al suo Dio la Morte. Solo, a stento
Pregabile, la preghiera del’unica Annunciazione.

Si ha l’impressione, man mano che invecchiamo,
Che il passato abbia un’altra trama, e cessi di essere mera sequenza,
O persino sviluppo: quest’ultimo in parte un equivoco
Incoraggiato da un’idea superficiale di evoluzione,
Che diviene, nella mente comune, un modo di rinnegare il passato.
I momenti di felicità – non il senso di benessere,
Fruizione, appagamento, sicurezza o affetto,
O persino un’ottima colazione, ma l’illuminazione improvvisa –
Abbiamo vissuto l’esperienza ma mancato il significato,
E avvicinarsi al significato recupera l’esperienza
In una forma diversa, al di là di qualsiasi significato
Possiamo assegnare alla felicità. Ho detto prima
Che l’esperienza passata rianimata nel significato,
Non è l’esperienza di una vita soltanto
Ma di molte generazioni. Senza dimenticare
Qualcosa che è probabilmente quasi indicibile:
Lo sguardo indietro oltre l’assicurazione
Della retorica registrata, l’occhiata dietro
Le spalle, verso il terrore primitivo.
Ora, avviene di scoprire che i momenti di agonia
(Siano o non siano dovuti a fraintendimenti,
Per aver sperato o temuto cose sbagliate,
Non è rilevante) sono anch’essi permanenti,
Della permanenza propria del tempo. Questo lo comprendiamo
Meglio nell’agonia degli altri, vissuta da vicino,
Quando ne siamo coinvolti, che nella nostra.
Poiché il nostro passato è nascosto dalle correnti dell’azione,
Mentre il tormento degli altri rimane un’esperienza
Senza schemi, non consumata da attriti successivi.
Le persone cambiano, e sorridono: ma l’agonia rimane.
Il tempo che distrugge è il tempo che conserva –
Come il fiume con il suo carico di negri morti, mucche e stie –
La mela amara e il morso nella mela.
E lo scoglio frastagliato nelle acque senza posa,
Le onde lo coprono, le nebbie lo nascondono;
Nelle giornate luminose è solo un monumento,
Il tempo navigabile è sempre un punto fermo
Su cui calcolare la rotta: ma nella stagione avversa
O la furia improvvisa, è quello che è sempre stato.

traduzione di Massimo Bacigalupo
da T. S. Eliot,il sermone del fuoco a cura di Massimo Bacigalupo
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

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