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28 giugno 2017

I cari Morti – Sylvia Plath


Museo di archeologia e antropologia dell'Università di Cambridge
 I cari Morti – Sylvia Plath

Nel Museo Archeologico di Cambrige
si trova un sarcofago di pietra del IV
secolo contenente gli scheletri di una
donna, di un topo e di un toporagno.
L’osso della caviglia della donna è
leggermente rosicchiato.

Impiantata rigida sulla schiena
con una smorfia di granito
questa antica signora da museo
giace: gli sono compagnia e ornamento
i resti di un topo e di un toporagno
che della sua caviglia si rimpinzarono un giorno.

Tutti e tre, adesso smascherati, recano
netta testimonianza
della rozza abbuffata che noi
trascureremmo se non sentissimo
le stelle macinanti granello a granello
alla sua faccia di ossa la nostra stessa semenza.

Come ci afferrano sottili e spessi,
questi morti a ventosa!
Non è una mia parente e tuttavia
parente è questa signora: succhierà
sangue, mi vuoterà tutto il midollo
per dimostrarlo. Io medito sulla sua testa

e ora dal cristallo col fondo di mercurio
madre, nonna e bisnonna
fanno un cerchio di streghe, vogliono prendermi dentro,
e un’immagine appare nell’acqua della peschiera
dove andò giù l’antenato un po’ matto
facendosi vento ai capelli con zampe arancione di papero----

Tutti i cari da tempo scomparsi: ma essi
ben presto ritornano,
presto: per sagre, matrimoni,
battesimi o scampagnate di famiglia:
ogni pizzico, uzzolo, ogni pungolo
quei fuorilegge li fa riaccorgere a casa,

al rifugio: usurpando la poltrona
a braccioli fra il tic
e il tac dell’orologio, finché noi si vada,
ognuno Gulliver teschio-e-ossa-incrociate
crivellato di spettri, a giacere
murati con loro, impiantati, a un dondolìo di culle.

traduzione di Giovanni Giudici

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