opera di Fernando Botero
da "Cent’anni di solitudine" – Gabriel Garcìa Màrquez(...)
Abbagliata da tali e tante meravigliose
invenzioni, la gente di Macondo da dove cominciare a sbalordirsi. Facevano le
ore piccole in contemplazione delle pallide lampadine elettriche alimentate da
un impianto che aveva portato Aureliano
Triste col secondo viaggio del treno, e al cui ossessionante tum-tum
costò tempo e fatica abituarsi. Si indignò per le figure viventi che il
prospero commerciante don Bruno Crespi proiettava nel teatro dai botteghini a
fauci di leone,perché un personaggio morto e sepolto in una pellicola, e per la malasorte del quale si erano sparse
lacrime di afflizione, riappariva vivo e trasformato in arabo nella pellicola
successiva. Il pubblico che pagava due centavos per compartire le vicissitudini
dei personaggi, non poteva sopportare quella burla inaudita, e fece a pezzi
tutta la panchetteria. L'alcalde, su istanza di don Bruno Crespi, spiegò,
mediante un bando, che il cinema era soltanto una macchina d'illusioni e perciò
non meritava le intemperanze passionali del pubblico. Di fronte a quella deludente
spiegazione, molti ritennero di essere stati vittime di una nuova e macchinosa
cosa da zingari, di modo che decisero di non tornare più nel cinema, stimando
di aver già abbastanza guai propri senza bisogno di piangere per soprammercato
a causa delle simulate sventure di esseri immaginari. Qualcosa di simile
successe coi grammofoni a cilindro che avevano portato le allegre matrone francesi
in sostituzione degli antiquati organini, e che tanto profondamente
danneggiarono per qualche tempo gli interessi della banda musicale. Sulle
prime, la curiosità moltiplicò la clientela della strada proibita, e si venne a
sapere anche di signore rispettabili che si travestirono da burini per poter
osservare da vicino la novità del grammofono, ma tanto e da tanto vicino lo
osservarono, che ben presto giunsero alla conclusione non esser quello un
macinino da sortilegio, come tutti pensavano e come le matrone affermavano,
bensì un trucco meccanico che non poteva reggere il confronto con qualcosa di
cosa commovente, di così umano e di così pieno di verità quotidiana come una
banda di musicanti. Fu una delusione tanto dura, che quando i grammofoni si
popolarizzarono fino al punto che ce
n'era uno in ogni casa, non li si considerò affatto passatempi per adulti, ma
aggeggi buoni solo da lasciar sventrare ai bambini. Invece, quando qualcuno del
villaggio ebbe occasione di verificare la cruda realtà del telefono installato
nella stazione della ferrovia, e che a causa della manovella era considerato
una rudimentale versione del grammofono, perfino i più increduli dovettero
arrendersi. Era come se Dio avesse deciso di mettere alla prova ogni loro
capacità di stupore, e tenesse gli abitanti di Macondo in un perenne
andirivieni tra l'entusiasmo e la delusione, tra il dubbio e la rivelazione, al
punto che ormai nessuno poteva sapere con cognizione di causa dove erano i
limiti della realtà. Era un intricato guazzabuglio di verità e di miraggi, che
convulsioni di impazienza lo spettro di José Arcadio Buendìa sotto il castagno e
lo costrinse a girare per tutta la casa anche in pieno giorno. Da quando la
ferrovia era stata inaugurata ufficialmente e il treno cominciò ad arrivare con
regolarità tutti i mercoledì alle undici, e si costruì la primitiva stazione di
legno, con una scrivania, il telefono, e uno sportello per vendere i biglietti,
si videro per le strade di Macondo uomini e donne che fingevano un contegno normale
e corrente, ma che in realtà sembravano gente di circo. In un villaggio già
scottato dalle lezioni di legioni di zingari non c'erano buone possibilità di
avvenire per quegli equilibristi del commercio ambulante che offrivano con
uguale spigliatezza vuoi una pentola a fischio vuoi un regime di vita per
salvar l'anima al settimo giorno; ma, tra quelli che si lasciavano convincere per
inerzia e gli incauti di sempre, costoro facevano ottimi affari. Tra queste
creature da fiera, con pantaloni da cavallerizzo e uose, caschi da esploratore,
occhiali cerchiati di acciaio, occhi di topazio e pelle d'aragosta, uno dei
tanti mercoledì arrivò a Macondo e venne a pranzo in casa il grassoccio e
sorridente Mr. Herbert.
(...)
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