Maurits Cornelis Escher - Stelle
da “La nausea” – Jean Paul Sartre(...)
Non posso dire di sentirmi sollevato
né contento: al contrario, è una cosa che m’accascia. Soltanto, il mio scopo è
raggiunto: so quello che volevo sapere; tutto quello che m’è accaduto dal mese
di gennaio l’ho capito ora. La Nausea non m’ha lasciato e non credo che mi
lascerà tanto presto; ma non la subisco più, non è più una malattia né un
accesso passeggero: sono io stesso.
Dunque, poco fa ero al giardino
pubblico. La radice del castagno s’affondava nella terra, proprio sotto la mia
panchina. Non mi ricordavo più che era una radice. Le parole erano scomparse, e
con esse, il significato delle cose,modi del loro uso, i tenui segni di
riconoscimento che gli uomini han tracciato sulla loro superficie. Ero seduto,
un po’chino, a testa bassa, solo, di fronte a quella massa nera e nodosa, del
tutto bruta, che mi faceva paura. E poi ho avuto questo lampo d’illuminazione.
Ne ho avuto il fiato mozzo. Mai, prima
di questi ultimi giorni, avevo presentito ciò che vuol dire «esistere». Ero
come gli altri, come quelli che passeggiano in riva al mare nei loro abiti
primaverili. Dicevo come loro «il mare è verde; quel punto bianco, lassù, è un
gabbiano» ma non sentivo che ciò esisteva, che il gabbiano era un «gabbiano
esistente»; di solito l’esistenza si nasconde. È lì, attorno a noi, è noi, non
si può dire due parole senza parlare di essa e, infine, non la si tocca. Quando
credevo di pensare ad essa, evidentemente non pensavo nulla, avevo la testa
vuota, o soltanto una parola, in testa, la parola «essere». Oppure pensavo…
come dire? Pensavo all’appartenenza, mi dicevo che il mare apparteneva alla
classe degli oggetti verdi o che il verde faceva parte delle qualità del mare.
Anche quando guardavo le cose, ero a cento miglia dal pensare che esistevano:
m’apparivano come un ornamento. Le prendevo in mano, mi servivano come
utensili, prevedevo la loro resistenza ma tutto ciò accadeva alla superficie.
Se
mi avessero domandato che cosa era
l’esistenza, avrei risposto in buona fede che non era niente, semplicemente una
forma vuota che veniva ad aggiungersi alle cose dal di fuori, senza nulla
cambiare alla loro natura. E poi, ecco: d’un tratto, era lì, chiaro come il
giorno: l’esistenza s’era improvvisamente svelata. Aveva perduto il suo aspetto
inoffensivo di categoria astratta, era la materia stessa delle cose, quella
radice era impastata nell’esistenza. O piuttosto, la radice, le cancellate del
giardino, la panchina, la
rada erbetta del prato, tutto era
scomparso; la diversità delle cose e la
loro individualità non erano che apparenza, una vernice. Questa vernice s’era
dissolta, restavano delle masse mostruose e molli in disordine - nude, d’una
spaventosa e oscena nudità.
(...)
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