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1 luglio 2017

L’ingessatura – Sylvia Plath

opera di Juan Medina


L’ingessatura – Sylvia Plath

Non ne uscirò mai! Siamo ora in due me stesse:
questa, nuova di zecca, bianchissima e l’altra,
vecchia e gialla. E la bianca è senz’altro superiore.
Non ha bisogno di cibo, è proprio una santa.
In principio la odiavo, era troppo impersonale----
un corpo inerte steso con me sul letto,
mi spaventava, uguale così a me nella forma,

solo molto più bianca e dura senza lamenti.
E cosi fredda che per una settimana non dormivo.
Gli davo colpa di tutto, ma lei non rispondeva.
Non riuscivo a spiegarmi il suo stupito contegno!
Se la picchiavo non reagiva, da vera pacifista.
Poi capii che voleva che io l’amassi:
lei comincio ad animarsi, e io ne vidi i vantaggi.

E mi era grata, non sarebbe esistita senza di me.
Io gli davo un anima, sbocciavo da lei come una rosa
sboccia da un vaso di non molto pregiata porcellana,
ed ero io ad attirare l’attenzione di tutti,
non il suo esser bianca, il suo esser bella, come credevo lì per lì.
Un po’ la proteggevo, e lei ci si adagiava----
con una tipica quasi mentalità da schiava.

Io non badavo al suo servirmi, ma lei ne era felice.
Di buon’ora mi dava la sveglia col suo candidissimo
torso specchiando il sole, e non potevo non notare
il suo lindore, la sua calma e pazienza:
perfetta infermiera, indulgeva alla mia debolezza,
tenendomi in sesto le ossa perché s’aggiustassero.
cresceva d’intensità col tempo il nostro rapporto.

Non m’era più così stretta, sembrava un po’ sulle sue.
Sentivo che suo malgrado mi trovava da ridire
quasi che i miei modi la disturbassero.
Lasciava spifferi aperti, era sempre più distratta.
E la mia pelle mi prudeva e si squamava tutta
appunto perché lei mi accudiva così male.
Poi scoprii il punto si sentiva immortale.

Voleva lasciarmi, si credeva superiore,
l’avevo tenuta nell’ombra e ce l’aveva con me----
sprecare il tempo al servizio di un mezzo-cadavere!
E cominciò in segreto a sperare che io morissi.
Mi avrebbe così coperto occhi e bocca, coperto tutta intera,
assunto la mia faccia dipinta, come un sarcofago
benché di vile argilla ha il volto di un faraone.

Non ero proprio in grado di liberarmene.
Mi sosteneva da tanto che ormai mi sentivo afflosciata----
non sapevo nemmeno camminare o sedermi,
e così stavo attenta a non turbarla in nulla
o a proclamare anzi tempo la mia futura vendetta.
Stare con lei era come stare con la mia bara:
eppure ne dipendevo, benché mio malgrado.

Credevo una volta che avremmo potuto convivere----
in fondo, così unite, era quasi un matrimonio.
Ma adesso capisco che o fuori io o fuori lei.
Magari lei è una santa ed io sarò brutta e pelosa,
ma lei vedrà ben presto che tutto ciò non conta niente.
Raccolgo le mie forze; un giorno potrò farne a meno
e lei morirà di vuoto, sentirà la mia mancanza.

traduzione di Giovanni Giudici

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