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21 agosto 2017

Agamennone. Da Omero, Iliade - Alessandro Baricco

Niklai Ge - Achille piange la morte di Patroclo
Da Omero, Iliade - Alessandro Baricco
Agamennone
Piansero su quel corpo tutta la notte. L'avevano lavato dal sangue e dalla polvere, e nelle ferite avevano versato unguento finissimo. perché non perdesse la sua bellezza, avevano fatto colare ambrosia e nettare nelle narici. Poi avevano posato il corpo sul letto funebre, avvolto in un soffice telo di lino, e coperto da un bianco mantello. Patroclo. Era solo un ragazzo, non sono nemmeno sicuro che fosse un eroe. Adesso ne avevano fatto un dio.
Sorse l'alba, sui loro lamenti, e venne il giorno che per sempre avrei ricordato come il giorno della mia fine. Portarono ad Achille le armi che i migliori artigiani achei avevano costruito per lui, quella notte, lavorando con arte divina. Le posarono ai suoi piedi. Lui era abbracciato al corpo di Patroclo, e stava singhiozzando. Voltò lo sguardo verso le armi. E gli occhi gli brillarono di una luce sinistra. Erano armi come nessuno mai ne aveva viste o indossate. Sembravano fatte da un dio per un dio. Erano una tentazione a cui Achille mai avrebbe potuto resistere.
Così si alzò, finalmente, si allontanò da quel corpo, e gridando, e muovendosi a grandi passi tra le navi, chiamò i guerrieri in assemblea. Io capii che la nostra guerra si sarebbe decisa lì quando vidi arrivare, correndo, perfino i timonieri delle navi, o i dispensieri delle cucine, gente che non partecipava mai alle assemblee. Ma quel giorno arrivarono, anche loro, a stringersi intorno agli eroi e ai principi, per conoscere il proprio destino. Io aspettai che fossero tutti seduti. Aspettai che arrivasse Aiace, e che Ulisse prendesse il suo posto, in prima fila. Li vidi arrivare
zoppicanti per le ferite. Poi, ultimo, entrai nell'assemblea.
Achille si alzò. Tutti tacquero. "Agamennone", disse. "Non è stata una grande idea litigare, io e te, per una ragazza. Fosse morta subito, appena salita sulla mia nave, tanti Achei non avrebbero morso la terra infinita mentre io sedevo lontano, prigioniero della mia ira. Comunque sia andata, è ora di dominare il cuore nel petto, e dimenticare il passato. Oggi io abbandono la mia ira e torno a combattere. Tu raduna gli Achei ed esortali a combattere con me, perché i Troiani la finiscano di dormire sotto le nostre navi."
Da ogni parte i guerrieri si misero a esultare. In quel grande clamore io presi la parola. Rimasi seduto al mio posto e chiesi che facessero silenzio. Io, il re dei re, dovetti chiedere che facessero silenzio. Poi dissi: "Molto mi avete rimproverato perché quel giorno ho tolto ad Achille il suo dono d'onore. E oggi io so di aver sbagliato. Ma non sbagliano anche gli dei? La stoltezza ha piedi leggeri e non sfiora la terra, ma cammina nella testa degli uomini per la loro rovina: e se li prende, uno ad uno, quando più le piace. Ha preso me quel giorno, e mi ha tolto il senno. Oggi voglio compensare quell'errore porgendoti doni infiniti, Achille".
Lui mi stette ad ascoltare. Poi disse che accettava i miei doni, ma non quel giorno, quel giorno bisognava scendere in battaglia senza perdere altro tempo, perché una grande impresa lo attendeva. Era così follemente avido di guerra, che neanche un'ora sarebbe stato capace di aspettare.
Allora si alzò Ulisse. "Achille", disse, "Non puoi portare un esercito in battaglia senza prima farlo mangiare. Tutto il giorno dovranno combattere, fino al tramonto: e solo chi ha mangiato e bevuto può sostenere la battaglia con cuore saldo e membra forti. Ascolta me: rimanda i guerrieri alle navi, a prepararsi un pasto. E intanto facciamo portare da Agamennone i suoi doni, qui, in mezzo all'assemblea, perché tutti possano vederli e ammirarli. E poi lascia che davanti a tutti Agamennone giuri in modo solenne di non essersi unito a Briseide, così come fanno uomini e donne. Sarà più sereno il tuo cuore quando scenderai in battaglia. E tu Agamennone organizza un ricco banchetto nella tua tenda, per Achille, in modo che la giustizia che gli è dovuta sia piena. E degno di un re chiedere scusa, se qualcuno ha offeso."
Così parlò. Ma Achille non ne voleva sapere. "La terra è coperta dei morti che Ettore ha seminato dietro di sé, e voi volete mangiare? Mangeremo al tramonto, io voglio che questo esercito combatta affamato. Patroclo giace cadavere e aspetta vendetta: io vi dico che né cibo né bevanda passeranno dalla mia gola prima di avergliela resa. Non mi importa nulla di doni e banchetti, adesso. Io voglio sangue, e stragi, e lamenti."
Così disse. Ma Ulisse non era il tipo da farsi piegare. Un altro avrebbe chinato il capo, io l'avrei fatto, ma non lui. "Achille, migliore fra tutti gli Achei, tu sei più forte di me a manovrare la lancia, questo è sicuro, ma io sono più saggio di te, perché sono vecchio e ho visto molte cose. Accetta il mio consiglio. Sarà una dura battaglia, e tanta fatica ci aspetta prima di vincerla. E giusto che piangiamo i nostri morti: ma dobbiamo farlo con la pancia? Non è nostro diritto anche riprenderci dalla fatica, e col cibo e il vino ritrovare la forza? Colui che muore seppelliamolo con animo forte, e piangiamolo dall'alba al tramonto. Ma poi pensiamo a noi, perché possiamo tornare a inseguire il nemico con vigore, senza tregua, senza respiro, sotto le armi di bronzo. così io ordino che nessuno scenda in battaglia prima di aver mangiato e bevuto: tutti insieme, poi, ci scaglieremo sui Troiani, risvegliando l'atroce battaglia."
Così disse. E gli ubbidirono. E Achille gli ubbidì. Ulisse prese con sé alcuni giovani e andò alla mia tenda. Portò fuori, uno ad uno, i doni che avevo promesso, tripodi, cavalli, donne, oro. E Briseide. Portò tutto in mezzo all'assemblea e poi mi guardò. Io mi alzai. La ferita al braccio mi faceva impazzire, ma mi alzai. Io, il re dei re, sollevai le braccia al cielo e davanti a tutti dovetti dire queste parole: "Io giuro, davanti a Zeus, e alla Terra e al Sole, e alle Erinni, che mai la mia mano ha sfiorato questa ragazza che si chiama Briseide, né mai ho diviso il letto con lei. Nella mia tenda è rimasta, e adesso la restituisco intatta. Che gli dei mi infliggano pene tremende, se
non ho detto il vero".
Non mentivo. Mi ero preso quella ragazza, ma non il suo cuore. La vidi piangere sul corpo di Patroclo e la sentii parlare come mai l'avevo sentita. "Patroclo, che eri tanto caro al mio cuore! Ti ho lasciato che eri vivo, e adesso ti ritrovo morto. Non c'è fine alla mia sventura. Ho visto morire mio marito, sconciato dalla lancia di Achille, e ho visto morire tutti i miei fratelli, sotto le mura della mia città. E quando li piangevo tu mi consolavi e con dolcezza mi dicevi che mi avresti portata a Ftia e che là Achille mi avrebbe presa come sposa, e che tutti insieme avremmo festeggiato le nozze, nella gioia. Quella dolcezza io oggi piango piangendo te, Patroclo." E stringeva quel corpo, singhiozzando, tra i lamenti delle altre donne.
Achille aspettò che l'esercito prendesse il pasto. Lui non volle toccare né cibo né vino. Quando gli uomini iniziarono a riversarsi fuori dalle tende e dalle navi, pronti per la battaglia, lui indossò le sue nuove armi. Le belle gambiere, con i rinforzi d'argento alle caviglie; la corazza, intorno al petto; la spada, appesa alle spalle; l'elmo, sul capo, brillante come una stella. E la lancia, la famosa lancia che il padre gli aveva donato per dar morte agli eroi. Da ultimo imbracciò lo scudo: era enorme e possente, sprigionava un bagliore come di luna. Il cosmo intero vi era inciso: la terra e le acque, gli uomini e le stelle, i vivi e i morti. Noi combattevamo con in mano delle armi: quell'uomo stava scendendo in battaglia stringendo in pugno il mondo. Lo vidi, splendente come il sole, salire sul carro, e urlare ai suoi cavalli immortali di portarlo verso la vendetta. Ce l'aveva con loro perché non erano stati capaci di sottrarre Patroclo alla morte, correndo via dalla battaglia. Così li insultava e gli gridava contro. E dice la leggenda che loro gli risposero, abbassando il muso, e strappando le redini, gli risposero con voce umana: e gli dissero: correremo veloci come il vento, Achille, ma più veloce di noi corre il tuo destino, incontro alla morte.

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