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21 agosto 2017

Andromaca. Da Omero, Iliade - Alessandro Baricco

Da Omero, Iliade - Alessandro Baricco
Andromaca
Si rifugiavano nella città come cerbiatti atterriti. Priamo aveva fatto spalancare le porte Scee, e loro entravano di corsa e di corsa salivano sugli spalti, ancora coperti di sudore, arsi dalla sete, e contro i parapetti si schiacciavano per guardare giù, nella pianura. A migliaia trovarono salvezza nel ventre della città. Solo uno rimase fuori dalle porte, inchiodato dal suo destino. Ed era l'uomo che amavo, e il padre di mio figlio. Da lontano arrivò Achille correndo, davanti ai suoi guerrieri, veloce come un cavallo vittorioso, splendente come una stella, fulgido come un presagio di morte. Lo riconobbe, Priamo, dall'alto della torre, e capì. Non riuscì a trattenersi e si mise a piangere, il vecchio, grande re, davanti a tutti, battendosi le mani sul capo e mormorando "Ettore, figlio mio, vattene via da lì. Achille è troppo forte per te, non affrontarlo da solo. Lo vedi, sta uccidendo i miei figli uno ad uno, quell'uomo, non farti uccidere anche tu, salva la tua vita e, vivo, salva i Troiani. Io non voglio morire trafitto da una lancia, il giorno in cui la nostra città sarà presa. Non voglio vedere i miei figli uccisi, le mie figlie prese come schiave, i letti nuziali devastati, i bambini buttati nella polvere in mezzo al massacro. Io non voglio finire nella polvere, ed essere sbranato dai cani che fino al giorno prima nutrivo con gli avanzi della mia tavola. Tu, Ettore, tu sei giovane, i giovani sono belli nella morte, in qualunque morte, tu non devi vergognarti di morire, ma io... pensa a un vecchio, e a quei cani che si chinano su di lui e gli divorano il cranio, e gli strappano il sesso, e gli bevono il sangue. Pensa ai capelli bianchi, alla pelle bianca, pensa ai cani che poi, sazi, si vanno a sdraiare sotto il portico... Io sono troppo vecchio, Ettore, per morire così. Fammi morire in pace, figlio mio".
Piangeva, il grande re. E piangeva Ecuba, regina e madre. Si era aperta la veste, davanti, e, col seno scoperto, supplicava il figlio di ricordarsi quando a quel seno lui correva per consolare il suo pianto di bambino: voleva che adesso di nuovo lui corresse da lei, come un tempo, invece di farsi ammazzare là, fuori dalle mura, da un uomo crudele che non avrebbe avuto pietà di lui. Ma Ettore non la ascoltava. Rimaneva fermo, appoggiato alle mura, ad aspettare Achille, come un serpente, gonfio di veleno, aspetta l'uomo, davanti alla propria tana. In cuor suo rimpiangeva i tanti eroi morti in quel giorno di guerra, e sapeva di averli uccisi lui quando si era rifiutato di ritirare l'esercito davanti al ritorno di Achille. Li aveva traditi, e adesso l'unica cosa da fare era riconquistare l'amore del suo popolo sfidando quell'uomo. Forse pensò per un attimo di posare le armi e mettere fine alla guerra, restituendo Elena e tutte le sue ricchezze, e altre ancora. Ma sapeva che ormai nulla avrebbe fermato Achille, se non la vendetta. Lo vide arrivare di corsa, splendente nelle sue armi come un sole che sorge. Lo vide fermarsi, di fronte a lui, la lancia sollevata sulla spalla destra, terribile come mai un uomo potrebbe apparire, ma solo un dio, il dio della guerra. E il terrore gli prese il cuore. Si mise a scappare, Ettore, correndo lungo le mura, più veloce che poteva. Come un falco, Achille gli si lanciò dietro, furente. Per tre volte girarono intorno a Troia, come cavalli scatenati in una corsa: ma quella volta, in palio, non c'erano oro, o schiavi, o ricchezze: la vita di Ettore era il premio. E quando ripassavano davanti alle porte Scee, ogni volta Achille si faceva sotto e tagliava la strada a Ettore, spingendolo verso la pianura, per impedirgli di scappare in città. E così ricominciavano a correre: era come nei sogni, quando inseguiamo qualcuno e non riusciamo a raggiungerlo, ma neppure lui riesce a fuggire davvero, e può durare tutta la notte. Durò fino a quando, dalle porte Scee, uscì Deifobo e veloce corse al fianco di Ettore dicendogli "Fratello mio, in questo modo Achille ti sfinirà, fermati, e lo affronteremo insieme". Ettore lo guardò e gli si spalancò il cuore. "Deifobo, amato fratello, tu solo mi hai visto e hai avuto il coraggio di uscire dalle mura e venirmi in aiuto." "Non mi volevano lasciare, il padre e la madre", disse Deifobo. "Ma io non potevo resistere, era troppa l'angoscia, e adesso sono qui, al tuo fianco. Fermiamoci e combattiamo insieme: il destino deciderà se a vincere saremo noi o Achille. "Così quel sogno strano finì. Smise di fuggire, Ettore. Si fermò, Achille. Lentamente andarono uno incontro all'altro. Il primo a parlare fu Ettore: "Non scapperò più davanti a te, Achille. Adesso ho ritrovato il coraggio di starti di fronte. Tu però giurami che se vincerai prenderai le mie armi ma non il mio corpo. Lo stesso io farò con te".
(…)

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