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31 agosto 2017

da Afrodita - Isabel Allende

opera di Fernando Botero
da Afrodita - Isabel Allende
(…)
Lola Montez (1821-18619), la celebre cortigiana ai cui piedi teste coronate e banchieri lasciarono immense fortune, inventò una danza della tarantola sui generis grazie alla quale poteva far impazzire di smania e di desiderio gli spettatori. Si faceva passare per un’aristocratica ballerina spagnola, anche se di danza non sapeva nulla e di spagnolo non aveva niente, ma quello che le mancava in talento e in sangue lo compensava con la spigliatezza. Grazie alla furia delle sue nacchere, alla veemenza dei suoi tacchi e alla malia delle sue bugie si costruì la propria leggenda. (Perché mi identifico con questa signora?) In privato, Lola Montez generalmente utilizzava i furori della tarantola come pretesto per spogliarsi dei veli, e tuttavia non commetteva mai l’errore di rimanere completamente nuda; preferiva far brillare le sue bellezze tra nubi di pizzo che esaltassero la sua pelle e dissimulasse le imperfezioni del suo corpo. Nelle rappresentazioni erotiche giapponesi, i personaggi appaiono sempre splendidamente abbigliati con vestiti di gala per fare l’amore. Nel linguaggio simbolico di quei quadri le pieghe voluttuose delle tuniche indicano passione, i fiori e i frutti rappresentano gli organi sessuali e le dita dei piedi rivolte all’insù l’orgasmo. In India le donne non si levano mai i gioielli e non si tolgono il kohl dalle palpebre, perché il tintinnare dei braccialetti e l’oscuro richiamo dello sguardo irretiscono l’uomo nell’attrazione ineffabile del mistero. Mio nonno, che nacque quando per le strade di Santiago non c’era ancora la luce elettrica e i trasporti pubblici erano costituiti da tram trainati da cavalli – carri di sangue erano chiamati –, non venne minimamente turbato dalla moda della minigonna, mentre già anziano, all’epoca degli hippy, era disposto a prodursi in agili capriole pur di intravedere una caviglia femminile che facesse capolino da una lunga gonna. Più che dalla nudità, sosteneva, la tentazione è provocata dalla trasparenza e da ciò che si può intuire. E’ questa la chiave del successo della lingerie provocante che non passerà mai di moda (…)
Anche il cibo entra dagli occhi. La freschezza degli ingredienti naturali dovrebbe essere sufficiente, ma l’instancabile inventiva umana cucina, mescola, trasforma e decora gli alimenti con la stessa passione con cui cura la persona. L’associazione tra forme e colori dei cibi e del corpo è inevitabile. Un affiche francese d’inizio secolo che adornava quasi tutti i bagni maschili mostrava una ragazza intenta a succhiare asparagi con una tale sensualità che solo a un ingenuo poteva sfuggire l’esplicita allusione. Panchita, che decora la tavola con la stessa civetteria che caratterizza il suo abbigliamento, sostiene che il colore della cena è importante: a meno che non si cerchi un effetto determinato, non si può servire una zuppa di piselli se anche il secondo è verde. Una volta, a Milano, fui invitata a cena da una famosa stilista. Sulle pareti della sala da pranzo rivestite da specchi scuri si riflettevano le sedie e la tovaglia nere; su quello sfondo cupo risaltavano magistralmente e con grande luminosità i fiori e i tovaglioli gialli. Venne servito un buffet di riso con diverse varietà di curry su tonalità zafferano; perfino il dolce – un delizioso mango flambé – era dello stesso colore (…)

preferisco alimenti allo stato naturale ed è così che mi piacciono anche gli uomini. Diffido degli ornamenti inutili, degli uomini con catene d’oro, baffi leziosi e unghie smaltate come pure il pollo da una salsa impenetrabile o dei petali di fiori che navigano in una zuppa, ma ogni tanto inventare è divertente: asparagi lunghi e forti con due patate novelle alla base, due mezze pesche con capezzoli di lampone su un letto di crema chantilly. Agli innamorati disposti a perdere tempo su questi dettagli raccomando di munirsi di candele a forma di mele, cuore o Cupido, di una lunga tovaglia di sontuoso satin, di stoviglie evocative (ne ho un servizio che riproduce gli affreschi erotici di Pompei)
(…)
E dato che si parla di gelatina, non so resistere alla tentazione di citare i seguenti versi:

Oh incanto della cicciona
Gamba di grandezza elefantina
Che al grasso si abbandona
Oh maestà divina
Della coscia avvolta in gelatina
Evviva le adipose adoratrici
dello sforzo nullo
che lasciano le odiose fatiche al mulo
e mangiano tutto ciò che ingrossa il culo.
 dall’Inno alla cellulite di Enrique Serna

Chiedo scusa, sto di nuovo delirando. L’aspetto della tavola, il sapore del cibo e l’abbondanza e la qualità dei liquori determinano l’animo dei commensali. Nel Pranzo di Babette, quel commovente film tratto da un racconto di Karen Blixen, la cinepresa va e viene per la cucina, in cui si preparano amorevolmente i piatti, e la sala da pranzo, là dove i visi severi degli spartani abitanti di un mondo distante e gelato si trasformano a mano a mano che il vino e le pietanze si impadroniscono dei loro sensi. Nel Fascino discreto della borghesia, Luis Bunuel crea un’atmosfera di ansia crescente mostrando tavoli apparecchiati con splendide stoviglie e cristalleria che gli attori non riescono mai a toccare perché vengono sempre interrotti.


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