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24 novembre 2017

Da Il fuoco e la cenere. Capricci invernali – Attilio Bertolucci

Parma
Da Il fuoco e la cenere – Attilio Bertolucci
Capricci invernali

L’inverno è qui, l’aria grigia e malinconica per le memorie che debolmente l’accendono lo dice in maniera non equivoca, bisogna esser pronti a tutto. Ora la città si distingue chiaramente oltre gli alberi spogli, un merlo nero sta posato sul ramo, le strade nude e indurite portano tutte allo stesso luogo con soave disperazione. Si curvano come un braccio che vuole nascondere gli occhi, la svolta non ha mai fine, quando si riaprono gli occhi la luce è mutata, e il cuore duole per un’allegra meraviglia. La vita riprende, a destra un canale profondo scorre sotto un mulino cieco; resta per i singhiozzi repressi una specie indolenzimento al petto.
A camminare nell’inverno si incontra il diavolo, specie se si va a ritroso. Oppure si finisce senza accorgersi in un giorno d’estate lunghissimo, nella polvere rosa del tramonto interminabile.
Non è possibile arrivare a casa; e con questa nebbia che improvvisamente circonda essere in giro non è punto piacevole. E tanto lontani che una villa comparsa quasi per sortilegio, sono scherzi della nebbia, non era certo aspettata da queste parti.
Essa non è chiusa come dovrebbe, ma abitata, un cane, i vetri alti riverberano un fuoco interno assai dolce. possibile che io abbia fatto tanto cammino? Sorprendente che lo stupore non duri più di un secondo, che ci si abitui anche al fatto che la vecchia villa è aperta e una voce ne esce a chiamarci, così giovane, da una stanza ancora chiusa nel sonno di pareti nude e invernali. Ma come rispondere se le parole non vanno oltre la gola allo stesso modo che accade nei sogni, seppur senza angoscia? Naturale anche l’esser diventati muti, in un paese come questo.
La città s vede anche ora, ma da sud, con torri e campanili immersi nel mezzogiorno silente. E’ la stagione che le viole nascono ai piedi delle magre gaggie e ci si perde nel calore del sole a raccogliere quei fiorellini freschi e profumati, dai teneri gambi facili a spezzarsi. La schiena fa un po’ male alla fine, e a guardarsi intorno ci si accorge che non c’è proprio più nessuno in giro, il silenzio è diventato dolce e insopportabile

Da “Poesia”  n. 298, novembre 2014. Crocetti Editore

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