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6 novembre 2017

da “Nel nido della cicogna” di Riccardo De Pietri e Giorgia Righi

da “Nel nido della cicogna” di Riccardo De Pietri e Giorgia Righi

(…)
Il volto di Diana mostrò diversi e opposti sentimenti: una tenerezza che si intuiva sfuggita al suo controllo e una durezza che tracimava nel tono tagliente della voce.
“Questo non è possibile.”
“Quel nuovo Messia”, che lei aveva accuratamente programmato, anziché nel grembo di Elena è entrato nel grembo di Leda.
Un Messia che lei stessa, dottoressa ha messo in croce prima ancora che nascesse. Un comportamento opposto a quello di Maria con Gesù.”
“Lei non sa niente, di niente, di niente.”
era stata una negazione così dolorosa che Irene, sebbene non avesse mutato in nulla il disprezzo che sentiva per quella donna, ebbe la tentazione di allungare una mano che la sostenesse, mentre la vedeva vacillare sotto il peso di verità tragiche e inaspettate che, tuttavia, non erano ancora sufficienti a renderla cosciente di quanto fosse ingenuamente umano quel suo dolore. Reggiani, intanto, consapevole del momento terribile che quella donna stava vivendo, cercò di portarla a comprendere quanto la realtà, a volte, possa rivoltarsi e diventare feroce.
Come fosse in trance, Diana lo guardò e annuì con il capo.
“Dopo aver sostituito gli embrioni, lei chiuse il trolley e uscì dal laboratorio. Leda, rimasta disperatamente sola con il suo segreto, non sapeva che cosa pensare di lei e di se stessa, ma non sapeva, soprattutto, come gestire questo terribile e imprevedibile inganno.
Poi, un’idea luminosissima la sottrasse alle sue angosce”.
“Quale idea?”
“Ora Irene le leggerà l’ultima lettera che Leda le aveva scritto e che si riproponeva di spedirle. Purtroppo, però, non ne ha avuto il tempo.”
Irene estrasse il foglio dalla borsetta, guardò Diana e si predispose a quello che aveva immaginato come gesto riparatore nei confronti di Elena e che stava vivendo, invece, come supplizio.
                                                                                                                           20 luglio 2015
Diana amore mio
ho chiuso la mia seconda lettera con un grido che, ne sono certa, ti ha trasmesso tutta la mia angoscia. Non sapevo più che cosa pesare dopo averi visto sostituire gli embrioni. Ero disperata per il tradimento che stavi mettendo in atto nei confronti miei e di Elena.
Durante le nostre lunghe chiacchierate ti avevo parlato della mia paura di avere un figlio, del mio rifiuto atavico della maternità.
Tu lo sai che non era per timore di una gravidanza che ho smesso di frequentare gli uomini e che il mio averti incontrata equivaleva alla scoperta del fuoco, al miracolo della luce.
E’ stata quella luce a illuminarmi. Da quel momento i miei timori sono scomparsi. Se tu desideravi tanto un figlio, sarei stata io a dartelo.
Da quel momento i miei gesti sono stati rapidi e precisi. Ho recuperato la capsula con gli embrioni di Elena che avevi nascosto e li ho messi nell’incubatore sostituendoli ai tuoi. In quello in cui avevi nascosto la capsula di Elena, ho posto quella di una donna i cui embrioni non si erano formati e che avrebbe dovuto ripetere il tentativo. In questo modo, quando tu l’avresti recuperata per distruggerla non avresti avuto sospetti (il giorno dopo, infatti, era sparita). Ho preso la piastra con il tu materiale e l’ho collocato in un incubatore che tu non usavi.
Naturalmente ho cambiato, o ripristinato, tutte le sigle identificative.
Non puoi immaginare quale piacere abbia provato nel restituire a quella donna il figlio che aveva tanto desiderato.
Sebbene non abbia mai avuto una precisa nozione di destino, quando mi sono accorta che, come a Elena, anche nel tuo caso , si era formato un solo embrione, ho pensato che qualcuno mi stesse assistendo.
Tre giorni dopo, quando ero ormai assolutamente sola ed Elena aveva già nel grembo il suo bambino, mi sono chiusa nell’ambulatorio di ginecologia, ho messo uno specchio davanti al lettino, ho inserito lo speculum e ho iniettato il tuo embrione nel mio grembo.
Dopo un mese ho eseguito il primo test di gravidanza e sono certa, ora, di portare il tuo bambino dentro di me. io e te sappiamo quanto sia difficile che nella fecondazione assistita tutto vada a buon fine: non ti sembra un miracolo che sia il figlio di Elena, sia tuo figlio stiano crescendo nei nostri grembi? Tutte le mie paure riguardo alla gravidanza e al parto sono svanite. Ciò che sto creando per noi vale tutto l’amore che avevamo una per l’altra.
Al terzo mese di gravidanza, prima che il mio corpo comincia a trasformarsi, ti spedirò questa lettera per dirti che stai per diventare madre e trascorreremo assieme i sei mesi che mancheranno alla nascita di nostro figlio. non sono mai stata così felice, Diana, mai così felice.

la reazione di diana Forti, che sempre più alterata aveva ascoltato nei dettagli la demolizione di tutto ciò che credeva di aver costruito, affascinò i due poliziotti.
Alzò le braccia e il capo, verso un cielo visibile solo a lei, ed emise un urlo acuto, prolungato e privo di interruzione, che si dilatò per la durata di un minuto o forse due.
Il dolore e l’angoscia espressi da quell’urlo privo di confini attrasse altre guardie. Attrasse il Direttore del carcere e poi, subito dopo, il medico di guardia che, preoccupato per il volto cianotico della donna, avrebbe voluto aiutarla senza sapere, tuttavia, in quale modo intervenire. Con un gesto Reggiani lo dissuase e attese che anche l’ultima molecola di anidride carbonica uscisse dai suoi potentissimi polmoni.
l’urlo gradualmente si affievolì e cessò, infine, sostituito da un breve ma inquietante silenzio. Sembrava che tutto fosse stato consumato nell’incerta attesa che tutto rinascesse.
(…)

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