Giandomenico Tiepolo - Il levriero, Musei Civici, Venezia
Il levriero di Tiepolo – Derek Walcott
E
un giorno, all’ombra delle acacie sulla spiaggia,
scorsi nella luce di mezzodì la parodia del levriero
scorsi nella luce di mezzodì la parodia del levriero
di
Tiepolo che non esigeva ricerca e lì, a suo agio
sull’erba sbiancata dal sale, non era ancora stato dipinto.
sull’erba sbiancata dal sale, non era ancora stato dipinto.
Avevo
già visto levrieri sgranchirsi al guinzaglio,
le membra tese sugli arazzi della primavera;
le membra tese sugli arazzi della primavera;
ma
ora avevo trovato, nell’azzurro della spiaggia,
questa cosa barcollante, abbandonata, senza casa.
questa cosa barcollante, abbandonata, senza casa.
E
lei pianse, mossa a pietà. Non era
un cagnolino coccolato nella cuccia di raso,
un cagnolino coccolato nella cuccia di raso,
né
il bastardino di Goya che ti scruta
da una crepa dell’abisso infernale del Prado,
da una crepa dell’abisso infernale del Prado,
ma
un cane scosso dal terrore,
insicuro di tutto, anche della sua ombra.
La
pancia gonfia tremava per il bruciore
della fame; lei lo prese in braccio con un gemito;
della fame; lei lo prese in braccio con un gemito;
questa
era l’eredità del bastardino, non l’affresco grandioso,
ma disprezzo, abbandono, e forse abbastanza
ma disprezzo, abbandono, e forse abbastanza
speranza
e amore da aiutarlo a vivere
come tutta la sua specie, e carità, e affetto;
come tutta la sua specie, e carità, e affetto;
l’abbiamo
portato al villaggio perché sopravvivesse
come sopravvissero i miei antenati. Ecco il levriero.
come sopravvissero i miei antenati. Ecco il levriero.
Trad. di Andrea Molesini
da museopoetico.blogspot.it
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