opera di Ira Tsantekidou
Gabriel Garcia Marquez - da Cent’anni di solitudine
Rimase immobile per un lungo momento, chiedendosi meravigliato come
aveva fatto ad arrivare in quell’abisso di abbandono, quando una mano
con tutte le dita tese, che tastava nelle tenbre, gli sfiorò il viso.
Non si sorprese, perché senza saperlo se lo aspettava. Allora si affidò a
quella mano, e in un terribile stato di spossatezza si lasciò portare
in un luogo senza forma dove lo svestirono e lo sballottarono come un
sacco di patate e lo girarono per il diritto e per il rovescio, in una
oscurità insondabile dove le braccia gli erano di troppo, dove non si
sentiva più odore di donna, ma di ammoniaca, e dove cercava di
ricordarsi il viso di lei e si trovava davanti il viso di Ursula,
confusamente cosciente che stava facendo qualcosa che da molto tempo
desiderava si potesse fare, senza sapere come lo stava facendo perché
non sapeva dove erano i piedi e dove la testa, né i piedi di chi né la
testa di chi, e sentendo di non poter sopportare oltre il fruscio
glaciale delle sue reni e l’aria delle sue viscere, e la paura, e
l’ansia stupefatta di fuggire e nello stesso tempo di rimanere per
sempre in quel silenzio esasperato e in quella solitudine spaventosa.
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