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30 aprile 2018

Certi giorni - Billy Collins

dipinto di Michael e Inessa Garmash
Certi giorni - Billy Collins

Certi giorni
metto la gente
al loro posto a tavola,
piego loro le gambe alle ginocchia,
se le ginocchia sono snodate,
li sistemo nelle loro sedie di legno piccoline.

Tutto il pomeriggio si guardano fisso
l’uomo col vestito marrone,
la donna col vestito blu,
perfettamente immobili,
perfettamente composti.

Ma in altri giorni sono io quello
che viene preso per le costole
e sistemato nel soggiorno di una casa delle bambole
a sedere insieme agli altri al tavolo da pranzo.

Molto divertente,
ma a te piacerebbe
non sapere se il giorno dopo
lo passerai camminando a grandi passi, come un dio vigoroso
con le spalle tra le nuvole,
o seduto laggiù tra la carta da parati
a fissare dritto avanti a te
con la tua piccola faccia di plastica?

Aubade - Billy Collins

Carl Vilhelm Holsoe - Girl Standing on a Balcony
Aubade - Billy Collins

Se vivessi nella casa di fronte a me
e se fossi seduto al buio
sul bordo del letto
alle cinque del mattino,
mi potrei chiedere che cosa ci fa
la luce accesa nel mio studio a quest’ora,
eppure eccomi alla mia scrivania
nel mio studio a chiedermi la stessa identica cosa.
So che non dovevo alzarmi così presto
per aprire con un coltellino
i pacchi di giornali all’edicola
come potrebbe pensare l’uomo della casa di fronte.
È ovvio che non sono un agricoltore o un lattaio.
E non sono l’uomo della casa di fronte
che siede al buio perché sonno
è sua madre e lui è uno dei suoi tanti orfani.
Forse sono sveglio solo per ascoltare
il tenue stridulo tintinnio,
del tungsteno nell’unica lampadina
che ha lo stesso suono del fruscio degli alberi.
O il mio compito è solo quello di stare seduto immobile
come il bicchiere d’acqua sul comodino
dell’uomo della casa di fronte,
immobile con la fotografia di mia moglie in cornice?
Ma ecco il primo uccello che consegna il suo canto,
ed ecco il motivo del mio essere in piedi:
per catturare la canzone di tre note di quell’uccello
e aspettare ora assieme a lui una risposta.

Ieri - Ángel González

dipinto di Marc Chalmé
Ieri - Ángel González

Ieri è stato mercoledì tutta la mattina.
Nel pomeriggio è cambiato:
era quasi un lunedì,
la tristezza ha invaso i cuori
e c’è stato un chiaro
moto di panico verso i
tram
che portano i bagnanti al fiume.

Intorno alle sette ha attraversato il cielo
un lento aeroplanino, e neppure i bambini
sono rimasti a guardarlo.
Si è spaccato
il freddo,
qualcuno è sceso in strada con il cappello,
ieri, e tutto il giorno
è stato uguale,
vedi,
che divertimento,
ieri e ancora ieri e così fino ad ora,
mentre andava di continuo per le vie
gente sconosciuta,
o dentro casa a fare merenda
pane e caffelatte, che
allegria!
La sera è scesa prontamente e si sono incendiate
calde luci gialle,
e nulla ha potuto
impedire che infine albeggiasse
il giorno di oggi,
così simile
ma
così diverso per luce e profumo!

Per questo,
perché è come dico io,
lasciatemi parlare
di ieri, una volta ancora
di ieri: il giorno
unico che nessuno mai
tornerà a vedere sopra la terra.

Lo specchio - Kikuo Takano

dipinto di Nelina Trubach-Moshnikova
Lo specchio - Kikuo Takano

Che oggetto triste
hanno inventato gli uomini!
Chiunque si specchia
sta di fronte a se stesso
e chi pone la domanda
è, al tempo stesso, l’interrogato.
Per entrare più a fondo
l’uomo deve fare il contrario,
allontanarsi.

Scacchi – Martin Lopez-Vega

dipinto di Aldo Balding
Scacchi – Martin Lopez-Vega

Dice: – Gli scacchi hanno regole certe.
Il re è legato mani e piedi,
è la regina che fa e disfà a suo piacimento.
Io preferisco la vita diagonale del pedone.
Negli scacchi non muore di rabbia il cavallo,
non c’è una rivolta di pedoni
né è possibile la follia passeggera
di un alfiere che uccide i suoi o se stesso
per disperazione o per amore.
E così accade che i pezzi rispondono
a un disegno esterno, alla mano che li muove.
Umano è soltanto l’arrocco,
il nascondersi quando fuggire non è possibile.
Che sarebbe dei pezzi, se fossero liberi?

Cencio - Antonia Pozzi

dipinto di Marc Chalmé
Cencio - Antonia Pozzi

C’era uno straccetto celestino
sopra il muro
tutto sgualcito di ditate rosa
tenuto su da due borchie di stelle
ed io lì sotto
come un cencio cinerino
in cui la mente incespica
ma che non val la pena di raccogliere
- lo si stiracchia un po’ di qua e di là
e poi
a calci
lo si butta via –

Un attimo fa ho dato un'occhiata nella stanza - Raymond Carver

Dipinto di Aldo Balding
Un attimo fa ho dato un'occhiata nella stanza - Raymond Carver

Un attimo fa ho dato un'occhiata nella stanza
ed ecco quel che ho visto:
la mia sedia al suo posto, accanto alla finestra,
il libro appoggiato faccia in giù sul tavolo.
E sul davanzale, la sigaretta
lasciata accesa nel posacenere.
Lavativo!, mi urlava sempre dietro mio zio,
tanto tempo fa. Aveva proprio ragione.
Anche oggi, come ogni giorno,
ho messo da parte un po' di tempo
per fare un bel niente.

Diverse cose - Irving Layton

opera di Catherine Abel
Diverse cose - Irving Layton

Diverse cose potrebbero trovarsi in questa filastrocca
dei limoni in un cestino
erba menta odorosa in una terracotta sul davanzale
un’orchidea “imperiale” sulla mensola del bagno
tre bulbi di scalogno, un vaso di fiori fresie bianche e una rosa gialla
ci potrebbe essere un violinista disegnato sul marciapiede e
una gallina sul tetto,
un uomo potrebbe cantare in questa filastrocca
mentre si rade dopo la doccia, l’asciugamano legato al fianco
qualcuno potrebbe slegare il nodo
una donna potrebbe lanciare in aria una moneta d’oro

uno sconosciuto potrebbe arrivare in questa filastrocca
offrire delle mele colte prima della pioggia

la donna potrebbe tagliare le mele in una ciotola blu

potrebbe piovere in questa filastrocca
ma se piovesse l’uomo continuerebbe a cantare
mentre l’asciugamano cadrebbe sul lucido parquet

la donna potrebbe cercare una poesia di Irving Layton
nella libreria del soggiorno o fra le carte dello scrittoio
senza trovarla, ma si sa scoverebbe dell’altra poesia

potrebbe inforcare la bicicletta e veloce pedalare
fino alla libreria Utopia [è sempre aperta!]
e dire la prossima frase: “vorrei una poesia erotica è questo
che ho tanto aspettato” – neppure lì potrebbero sapere

potrebbe esserci un computer in questa filastrocca
e anche un blog dove affidare queste parole sconclusionate
prima che potresti apparire tu
potresti fermarti a cena, però devi spennare la gallina
una ricetta provenzale: scalogno e mele, brandy, pepe e sale

dopo cena si potrebbe leggere una poesia breve di Irving Layton
in questa filastrocca.

“Mentre camminavo ho scoperto dove stavo andando
Mentre odiavo intensamente ho imparato ad amare.
Ora ho quasi capito chi sono. Un altro passo ancora e sarò di nuovo
Nel posto da dove sono partito."

Mattino alla finestra - Thomas Stearns Eliot

Carl Vilhelm Holsøe
Mattino alla finestra - Thomas Stearns Eliot

Sbattono piatti da colazione nelle cucine del seminterrato,
E lungo i marciapiedi che risuonano di passi
Scorgo anime umide di donne di servizio
Sbucare sconsolate dai cancelli che danno sulla strada.

Ondate brune di nebbia levano contro di me
Volti contorti dal fondo della strada,
Strappano a una passante con la gonna inzaccherata
Un vacuo sorriso che s'alza leggero nell'aria
E lungo il filo dei tetti svanisce.

Fine – Ada Negri

dipinto di Marc Chalmé
Fine – Ada Negri

La rosa bianca, sola in una coppa
di vetro, nel silenzio si di sfoglia
e non sa di morire e anch’io la guardo
morire. Un dopo l’altro si distaccano
i petali; ma intatti: immacolati:
un presso l’altro con un tocco lieve
posano, e stanno: attenti, se un prodigio
li risollevi e li ridoni, ancora
vivi, candidi ancora, al gambo spoglio.
Tal mi sento cader sul cuore i giorni
del mio tempo fugace: intatti; e il cuore
vorrebbe, ma non può, comporli in una
rosa novella, su più alto stelo.

29 aprile 2018

Zareh Yaltëzcian - La donna che pulisce le lenticchie

Carl Vilhelm Holsoe - Interior
Zareh Yaltëzcian - La donna che pulisce le lenticchie

Una lenticchia – una lenticchia – delle lenticchie – una lenticchia – un sasso – una lenticchia – una lenticchia – un sasso
Una verde – uno nero – una verde – uno nero – un sasso – una lenticchia verde
Una lenticchia accanto all’altra – un sasso accanto alla lenticchia – d’un colpo una parola – una parola accanto ad una lenticchia

Poi delle parole – una lenticchia – una parola – una parola accanto a un’altra – poi una favella
E parola dopo parola un folle discorso – un canto invecchiato – un vecchio sogno
Poi una vita – una vita diversa – una vita accanto a un’altra – una lenticchia – una vita
Una vita facile – una vita difficile – perché facile – perché difficile
Ma le une accanto alle altre delle vite – una vita – poi una parola – poi una lenticchia Una verde – uno nero – una verde – uno nero –un dolore – un canto verde
Una lenticchia verde – uno nero – un sasso – una lenticchia – un sasso – un sasso – una lenticchia


Traduzione di Claudio Gugerotti

L'abbiamo rimpianto a lungo l'infilascarpe - Eugenio Montale

Sunlight In Livingroom de Carl Vilhelm Holsøe
L'abbiamo rimpianto a lungo l'infilascarpe - Eugenio Montale

L'abbiamo rimpianto a lungo l'infilascarpe,
il cornetto di latta arrugginito ch'era
sempre con noi. Pareva un'indecenza portare
tra i similori e gli stucchi un tale orrore.
Dev'essere al Danieli che ho scordato
di riporlo in valigia o nel sacchetto.
Hedia la cameriera lo buttò certo
nel Canalazzo. E come avrei potuto
scrivere che cercassero quel pezzaccio di latta?
C'era un prestigio (il nostro) da salvare
e Hedia, la fedele, l'aveva fatto.

da Dolce come il cioccolato - Laura Esquivel

Maid seated by window; holding a vessel into which she cracks an egg, a chicken hanging up-side down from a metal frame attached to a pulley-system on the beamed ceiling, a dog lapping milk near her feet. 1798 Watercolour
da Dolce come il cioccolato - Laura Esquivel

(…)
«Questa poi! Vostra mamma dice così che siete pronte per il matrimonio, neanche fosse un piatto di enchiladas! Sta fresca che è lo stesso, non è mica lo stesso! La gente non può trasformare i tacos in enchiladas in quattro e quattr’otto!».
Chencha non smetteva di fare questo genere di commenti mentre raccontava, a modo suo, la scena di cui era appena stata testimone. Tita sapeva quanto Chencha potesse essere esagerata e bugiarda, e dunque non si lasciò prendere dal panico. Si rifiutava di credere a quello che aveva appena udito. Fingendo serenità, continuò a tagliare le focaccine che le sue sorelle e Nacha dovevano farcire.
La pasta è sempre meglio prepararla in casa. Tuttavia se questo non è possibile, conviene ordinare in panetteria delle focacce piccole, perché le grandi a questa ricetta non si adattano bene. Dopo averle riempite, si mettono in forno per dieci minuti e si servono calde. L’ideale è lasciarle fuori tutta la notte, avvolte in un panno, affinché il pane s’impregni del grasso della salsiccia.
Mentre Tita stava finendo di arrotolare le torte che avrebbero mangiato il giorno dopo, Mamma Elena entrò in cucina dicendo che aveva acconsentito che Pedro si sposasse, ma con Rosaura.
Quando udì la notizia, Tita sentì come se l’inverno le fosse entrato violentemente in corpo: il freddo era così secco e pungente da bruciarle le guance che si arrossarono come le mele che aveva di fronte. Questo freddo repentino l’avrebbe accompagnata a lungo, senza che nulla potesse attenuarlo, e non diminuì neppure quando Nacha le raccontò ciò che aveva sentito accompagnando don Pascual Muzquiz e suo figlio alla porta di casa. Nacha camminava davanti, cercando di accorciare il passo per ascoltare meglio la conversazione tra padre e figlio. Don Pascual e Pedro camminavano lentamente e parlavano a voce bassa, soffocata dalla rabbia.
«Perché hai fatto questo Pedro? Ci siamo messi in ridicolo accettando le nozze con Rosaura. Dov’è finito l’amore che avevi giurato a Tita? Sei forse uno che non mantiene la parola?».
«Certo che la mantengo, ma se a lei negassero tassativamente di sposare la donna amata e l’unica via d’uscita per restare vicino alla sua donna fosse quella di sposare la sorella, non prenderebbe la mia stessa decisione?».
Nacha non era riuscita a sentire la risposta perché Pulque, il cane della fattoria, abbaiando, si era messo a inseguire un coniglio che aveva scambiato per un gatto.
«Allora ti sposi senz’amore?».
«No, papà, mi sposo provando un immenso e imperituro amore per Tita».
Le voci si facevano sempre più impercettibili, spente dal rumore delle scarpe sulle foglie secche. Era strano che Nacha, ogni giorno più sorda, fosse riuscita ad ascoltare la conversazione. Tita le fu ugualmente grata per avergliela riferita, ma questo non modificò l’atteggiamento di freddo rispetto che da allora assunse verso Pedro. Dicono che il sordo non sente, ma capisce tutto. Forse Nacha aveva sentito le parole che tutti avevano taciuto. Quella notte Tita non riuscì a prender sonno; non sapeva spiegare ciò che provava. Peccato che a quell’epoca non fossero ancora stati scoperti i buchi neri dello spazio, perché in quel caso le sarebbe stato molto facile capire che sentiva un buco nero in mezzo al petto, dentro il quale s’insinuava un freddo infinito.
(…)

Sonetto XLII – Pablo Neruda

VanGogh - Vegetable Gardens 
Sonetto XLII – Pablo Neruda

Radianti giorni cullati dall'acqua marina,
concentrati come l'interno di una pietra gialla
il cui splendore di miele non abbatté il disordine;
preservò la purezza di rettangolo.

Crepita, sì, l'ora come fuoco o api
e verde è il compito di sommergersi nelle foglie,
finché verso l'alto il fogliame
è un mondo scintillante che si spegne e sussurra.

Sete del fuoco, bruciante moltitudine dell'estate
che costruisce un eden con alcune foglie,
perché la terra dal volto oscuro non vuole sofferenze,

ma freschezza o fuoco, acqua o pane per tutti,
e nulla dovrà dividere gli uomini,
altro che il sole o la notte, la luna o le spighe.

Per Rita - Paul Verlaine

opera di Steve - Hanks
Per Rita - Paul Verlaine

Detesto una donna magra,
Tuttavia ti adoro, o Rita,
Colle tue labbra un po' negre,
Dove la lussuria prese corpo.

Coi tuoi neri, osceni capelli,
A forza di essere così belli,
E gli occhi dove vi son scene,
Parola mia, che san di bruciato

Tanto il loro fuoco scuro e allegro insieme
D'una così lubrica allegria
Illumina di suprema grazia,
Nella peggiore impudicizia,

Sguardo che suona di virtuoso
Le pratiche di cui si tace:
"Osa qualunque cosa proponga,
Tutto ciò che il culo ti detta";

E sulla sua taglia come d'uomo
Sottile molto sottile tuttavia,
Il tuo busto, perplessa Sodoma
Intraprendente poi esitante,

Perché nella stoffa troppo tesa
Dei tuoi corpetti corruttori
I duri piccoli seni di statua
Dicono: "Uomo o Donna?" agli eccitati.

Ma quanto femminile le tue gambe,
La loro grazia grassa verso l'alto
Fino alle natiche che indovina
Il mio desiderio mai in difetto,

Nelle pieghe oscene dell'abito
Che un'arte audace ha saputo disporre
Per mostrare più di quanto nasconda
Un ventre dove posare il mio!

In breve, tutto il suo essere respira
Soltanto fame e sete e passioni..
Ora, io credo di stare ancor peggio:
Bisognerebbe mettere a confronto.

Su, a letto in fretta, ragazza mia,
Diamoci dentro sino al mattino,
Sarà una battaglia trionfante
A chi sarà più puttana.

Sonetto XXVI – Pablo Neruda

opera di Aldo Balding
Sonetto XXVI – Pablo Neruda

Né il colore delle dune terribili a Iquique,
né l'estuario del Rìo Dolce di Guatemala,
cambiarono il tuo profilo conquistato dal grano,
il tuo stile d'uva grande, la tua bocca di chitarra.

Oh cuore, oh mia da tutto il silenzio,
dalle cime dove regnò il rampicante
alle desolate pianure del platino,
in ogni patria pure ti ripeté la terra.

Ma né mano scontrosa di monti minerali,
né neve tibetana, né pietra di Polonia,
nulla alterò la tua forma di cereale viandante,

come se creta o frumento, chitarre o grappoli
di Chillàn difendessero in te il loro territorio
imponendo il mandato della luna silvestre.

da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

Egon Schiele - Fiori
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

435. Un azzurro sfumato di verde notturno conferiva un profilo marrone scuro, vagamente aureolato di grigio ingiallito, alla fredda irregolarità degli edifici che si trovavano di fronte all’orizzonte dell’estate. Un tempo abbiamo dominato il mare fisico, creando la civiltà universale; adesso domineremo il mare psichico, l’emozione, la madre-temperamento, creando la civiltà intellettuale.

Inno di Vahagn – Elise Ciarenz

Vincent Van Gogh - Wheatfield with cypresses
Inno di Vahagn – Elise Ciarenz

In doglie era il cielo, in doglie era la terra,
in doglie era anche il mare purpureo,
da doglie in mezzo al mare era presa la piccola canna rossa.
Usciva fumo dalla gola della canna,
usciva fiamma dalla gola della canna,
e dalla fiamma balzava un giovinetto biondo.
Di fuoco aveva i capelli,
di fiamma aveva la barba,
e i piccoli occhi erano due soli.

Traduzione di Boghos Levon Zekiyan

Dante Alighieri - Divina Commedia - Purgatorio, Canto XXV, 1304/1321

Toth Gabor wine bottle still life
Dante Alighieri - Divina Commedia - Purgatorio, Canto XXV, 1304/1321

Apri alla verità che viene, il petto,
E sappi che, sì tosto come al feto
L’articular del cerebro è perfetto,
Lo motor primo a lui si volge lieto
Sovra tant’arte di natura, e spira
Spirito novo, di virtù repleto,
Che ciò che trova attivo quivi, tira
In sua sustanzia, e fassi un’alma sola,
Che vive e sente, e sè in sè rigira.
E perché meno ammiri la parola
Guarda il calor del sol che si fa vino,
Giunto a l’omor che della vite cola!
... Faccio un brindisi e me ne vado subito.

Prende l’ombretto blu - Chaïm Guri


 dipinto di Michael and Inessa
Prende l’ombretto blu - Chaïm Guri

Prende dell’ombretto blu per darselo intorno agli occhi
per essere un’altra
e la sua mano si calma
e poi sale si muove lungo il viso, lentamente
come volendo qualcosa e si rammenta
del pettine e i suoi capelli si sentono, si sentono
continuano a fluire sulla spalla nuda
e poi si spalma le labbra di una porpora
presa in prestito da qualche festa lontana, tacitamente conclude
e mi ricorda un’antica assorta
regina egizia

Sonetto XXXII – Pablo Neruda

Francesco Netti - Ragazza assopita
Sonetto XXXII – Pablo Neruda

La casa nel mattino con la verità sossopra
di lenzuola e di penne, l'origine del giorno
senza rotta, errante come una povera barca,
tra gli orizzonti dell'ordine e del sonno.

Le cose vogliono trascinare vestigia,
aderenze senza rotta, eredità fredde,
le carte nascondono vocali grinzose,
nella bottiglia il vino vuol seguire il suo ieri.

Ordinatrice, passi vibrando come ape
toccando le ragioni perdute dall'ombra
conquistando la luce con la tua bianca energia.

Allora di nuovo si costruisce la chiarezza:
le cose ubbidiscono al vento della vita
e l'ordine stabilisce il suo pane e la sua colomba.

da Dona Flor e i suoi due mariti – Jorge Amado

da Dona Flor e i suoi due mariti – Jorge Amado

Scuola di culinaria sapore e arte
Quando e cosa si serve per una veglia funebre.

(risposta di dona Flor ad una alunna)

Non perché avviene in un giorno disordinato di lamentazioni e tristezza, non per questo si deve permettere che la veglia funebre vada alla bell’e meglio. Se la padrona di casa, fra singhiozzi e svenimenti fuori di sé, immersa nel suo dolore, o giacente morta nella bara, non potrà farlo, un parente o una persona amica si assumerà l’incarico di occuparsi della veglia, poiché non si possono abbandonare, senza niente da bere né da mangiare, i poveretti, solidali per tutta la notte, a volte in inverno e col freddo.
Acciocché una veglia funebre sia animata ed onori effettivamente il defunto che la presiede, rendendogli meno grave la prima confusa notte della sua morte, è necessario dedicarvi cure sollecite, occupandosi del morale e dell’appetito.
Quando, e cosa si serve?
Ebbene, si serve per tutta la notte, dal principio alla fine. Il caffè è indispensabile, e va servito in continuazione, naturalmente in tazze piccole. Il caffè e latte, con pane, burro, formaggio, qualche biscottino, qualche polpettina di aipim o carimã, fette di cuscus con uova fritte, quello solo al mattino e solo per chi ha passato lì la notte, fino all’alba.
La cosa migliore è tenere sempre al fuoco un bollitore perché non manchi mai il caffè, visto che arrivano continuamente nuovi visitatori. Il caffè in tazzina è accompagnato da biscotti o crackers; qualche volta si può servire un vassoio di roba salata, panini con formaggio, prosciutto, mortadella, cose semplici, visto che complicazioni ce ne sono già abbastanza col defunto.
Se però la veglia dovesse essere una veglia di lusso, di quelle dove il denaro corre a fiumi, allora è di prammatica una tazza di cioccolata a mezzanotte, spessa e bollente, oppure un brodo grasso di gallina. E per completare, polpettine di baccalà, fritto misto, crocchette, dolci assortiti, frutta secca.
Da bere, trattandosi di una casa ricca, oltre al caffè ci può essere della birra o del vino: solo un bicchiere per accompagnare il brodo e il fritto. Champagne mai, non è considerato di buon gusto.
Sia in una veglia ricca, sia in una veglia povera, si esige però la presenza, costante e necessaria, di una buona cachaçina; tutto può mancare, perfino il caffè, lei sola è indispensabile; senza il suo conforto non c’è veglia funebre che si rispetti.
Una veglia funebre senza cachaça significa mancanza di considerazione per lo scomparso, indica indifferenza e disamore.

O rraù – Eduardo De Filippo

Peter Jakob Horemans - Kitchen Still Life with Parrot and Female Figure 1760
O rraù – Eduardo De Filippo

O rraù ca me piace a me m’ ’o ffaceva sulo mammà.
A che n’aggio spusato a te, ne parlammo pè ne parlà.

Io nun songo difficultuso, ma luvàmmel’ ‘a miezo st’uso.
Sì, va buono: cumme vuò tu. Mò ce avéssem’ appiccecà?

Tu che dice? Chest’ ‘è rraù? E io m’ ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià…
M’ ‘a faja dicere na parola?
Chesta è carne c’ ‘a pummarola.

da Il talento del cuoco – Martin Suter

opera di Joseph Zbukvic
da Il talento del cuoco – Martin Suter

(…)
Grazie agli Europei di calcio Maravan poté respirare un po’. Nella ristorazione c’era un gran bisogno di personale, tanto che perfino la faccenda della Huwyler non fu più un ostacolo. Almeno non per il gestore di un punto di ristoro situato in una delle zone più frequentate dai tifosi.
Maravan faceva lo sguattero. Lavorava sotto una grande tenda, in un calore asfissiante, separato dalla cucina e dalla zona dove venivano serviti i clienti. pentole e recipienti termici dovevano essere sfregati a mano; per piatti e posate aveva invece una lavastoviglie, di cui doveva spesso fare a meno perché nera talmente malandata da bloccarsi in continuazione.
Era un lavoro monotono. C’erano momenti – anche ore – di completa inattività, poi di colpo arrivavano decine e decine di tifosi affamati e diventava impossibile tenere il ritmo. Entrambe le cose – l’inattività e i ritardi dovuti al carico eccessivo – facevano arrabbiare il capo. in realtà l’uomo se la prendeva con chiunque e per qualunque cosa. L’atmosfera sotto la tenda era piuttosto pesante. Il capo aveva acquistato la licenza a caro prezzi, sicuro che fosse un ottimo investimento, ma si era trovato ad affrontare una realtà fatta per lo più di calma piatta. La Svizzera era stata eliminata, faceva freddo e pioveva. Maravan non vedeva l’ora che gli Europei finissero.
Non nera solo per il lavoro, era tutto clamore dell’evento a dargli sui nervi. Non era un patito del calcio. Preferiva decisamente il nuoto. Da giovane aveva coltivato un certo interesse anche per il cricket, prima che la passione per la cucina prendesse il sopravvento.
L’unico aspetto positivo era che la cassa di disoccupazione non sapeva niente. Aveva avuto il posto tramite un’agenzia di collocamento temporaneo non molto affidabile che lavorava principalmente con le persone nella sua situazione. La paga era bassa, venti franchi all’ora, ma andava comunque ad aggiungersi al sussidio.
Aveva inviato alla sorella altri soldi per le medicine di Nangay, ma aveva dovuto indebitarsi. Tremila franchi. Naturalmente non li aveva avuti da una bancca. Quale istituto avrebbe fatto credito a un rifugiato senza lavoro? Si era rivolto a Ori, un commerciante tamil che concedeva prestiti privati. Quindici per cento di interesse. Sull’intera somma fino all’estinzione del debito.
All’inizio aveva cercato di non indebitarsi . dopo aver saputo che Nangay non poteva più curarsi, aveva accettato di lavorare in nero presso un deposito di gomme usate. Si trattava di smistare pesanti pneumatici da mattina a sera.
Non aveva resistito. Non perché il lavoro era troppo duro, ma perché era troppo sporco. non c’erano docce a disposizione e il lavandino non bastava per eliminare la patina nera e la puzza di gomma che si sentiva addosso a fine giornata. Poteva sopportare di essere sull’ultimo gradino della scala sociale, ma non voleva l’aspetto e l’odore di una persona finita così in basso. Era questione d’orgoglio.
poi aveva provato con l’edilizia, lavorando in un grande cantiere per il subappaltatore di un subappaltatore. il secondo giorno, però, era arrivato un ispettore del comune per verificare che non ci fossero operai irregolari. Maravan e altri due erano scappati appena in tempo. Il sub-subappaltatore doveva ancora pagargli il dovuto.
Sotto la tenda non ci si accorgeva che fuori faceva quasi freddo. Maravan sfregò un contenitore per eliminare gli ostinati residui di gulash. non aveva nient’altro da fare. Dall’altra parte della tenda giungeva la voce di un cronista. Il piccolo televisore era sintonizzato sulla partita Italia-Romania. Tutti i ristoranti della zona speravano nella vittoria prima perché i tifosi italiani erano molti più numerosi dei romeni ed erano anche i più spendaccioni.
Al cinquantacinquesimo minuto ci fu finalmente il gol del vantaggio: uno a zero. le grida di giubilo colsero Maravan di sorpresa e lo fecero sobbalzare. Sbirciando oltre il divisorio vide il capo esultare più forte degli altri. Saltava con le braccia alzate e gridava: “Itali! Italia!”.
Maravan si finse contento, ma questa decisione gli fu fatale. mentre sorrideva, infatti, la Romania pareggiò e il capo distolse improvvisamente lo sguardo dal televisore. Giusto in tempo per vedere l’espressione di gioia del suo viso. lì per l’ non disse niente, ma dopo la partita – finita uno a uno, cosa che impedì il tanto desiderato afflusso di tifosi italliani – Maravan ricevette la paga e venne informato che il giorno seguente non doveva disturbarsi a tornare.
(…)

da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

  dipinto di Rémi LaBarre
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

5. Ho chiesto tanto poco alla vita e anche questo poco la vita me l’ha negato. Un raggio di sole, un campo, un sorso di quiete con un morso di pane: che non mi angosci molto sapere che esisto, e che non esiga niente dagli altri né che gli altri lo esigano da me. Pure questo mi è stato negato, come chi nega l’elemosina non per mancanza di bontà d’animo, ma per non doversi sbottonare la giacca. Scrivo, triste, nella mia stanza quieta, solo come sempre sono stato, solo come sempre sarò. E penso se la mia voce, apparentemente così poca cosa, non incarni la sostanza di migliaia di voci, la fame di dirsi di migliaia di vite, la pazienza di milioni d’anime sottomesse come la mia al destino quotidiano, al sogno inutile, alla speranza senza fondamento. In questi momenti il mio cuore palpita più forte per la coscienza che ho di esso. Vivo più, perché vivo più grande. Sento nella mia persona una forza religiosa, una specie di orazione, una somiglianza di clamore. Ma la reazione contro me proviene dalla mia intelligenza… Mi vedo al quarto piano in Rua dos Douradores, mi assisto con sonno; guardo, sul foglio mezzo scritto, la vita vana senza bellezza e la sigaretta economica che, nel fumarla, appoggio sul vecchio tampone della carta assorbente. Io qui, in questo quarto piano, a interrogare la vita! A dire ciò che le anime sentono! A fare prosa come i geni e le celebrità! Qui, io, così…

da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

Carl Holsoe - Interior 
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

27. Riconosco, non so se con tristezza, l’aridità umana del mio cuore. Vale di più per me un aggettivo di un reale pianto dell’anima. Il mio maestro Vieira […] Ma a volte sono diverso, e ho lacrime, quelle calde lacrime di coloro che non hanno, né hanno mai avuto, una madre; e i miei occhi che ardono di tali lacrime morte ardono dentro al mio cuore. Non mi ricordo di mia madre. È morta che avevo un anno. Tutto ciò che c’è di disperso e duro nella mia sensibilità viene dall’assenza di questo calore e dalla nostalgia inutile dei baci che non ricordo. Sono posticcio. Mi sono sempre svegliato al seno altrui, coccolato per errore. Ah! È la nostalgia dell’altro che io avrei potuto essere che mi smarrisce e spaventa! Chi altri sarei io, se mi avessero dato quella tenerezza che, partendo dal grembo, giunge a ricoprire di baci il viso del bambino? Forse la nostalgia di non essere figlio ha un grande rilievo nella mia indifferenza sentimentale! Chi, nell’infanzia, mi ha cinto al proprio viso non mi poteva cingere al cuore. Lei era lontana, in una bara – lei che mi sarebbe appartenuta, se il Destino avesse voluto che mi appartenesse. Mi hanno detto, più tardi, che mia madre era bella, e dicono che, quando me lo hanno detto, non ho detto niente. Ero già maturo di corpo e di anima, ignorante di emozioni, e il loro parlare ancora non era una notizia di altre pagine difficili da immaginare. Mio padre, che viveva lontano, si è ucciso quando avevo tre anni e non l’ho mai conosciuto. Non so ancora perché vivesse lontano. Non mi è mai importato saperlo. Ricordo la notizia della sua morte come momenti di grande serietà a tavola (mentre mangiavo) le prime volte dopo che si era saputo. Guardavano, ricordo, di tanto in tanto verso di me. E io contraccambiavo lo sguardo, comprendendo stupidamente. Poi mangiavo più correttamente, pensando, senza vederli, che continuassero a guardarmi. Io sono tutte queste cose, sebbene non lo voglia, nel fondo confuso della mia sensibilità fatale.

A volte – Fernando Pessoa

Vincent Van Gogh - La spiaggia di Scheveningen
A volte – Fernando Pessoa

A volte in spiaggia lancio
sassi in mare
e dal mio vano gesto ricavo
un gusto di errare,
un sapore di Impero lasciato
da chi poteva
centrare il suo regno
ma tutto lasciò per il solo piacere
di vedere attraverso sé il cielo e il giorno

Guardando il Tago – Fernando Pessoa

Vincent Van Gogh - Wheat Field with a Lark (detail)
Guardando il Tago – Fernando Pessoa

Ella guidò il suo gregge al di là delle colline,
la sua voce riecheggia verso di me nel vento,
e una sete per il suo dolore colma
in me quanto è indefinito.

Laghi spirituali cinti di rocce
dormono nel vuoto della sua canzone.
Lì la sua astersa nudità indugia
e guarda a lungo la sua ombra ristagnata.

Ma, di tutto questo, è reale
solo la mia anima, la sera, il molo
e, ombra del mio sogno di tutto,
il dolore di un nuovo dolore in me.

Sonetto XXXIII – Pablo Neruda

opera di Hans Zatzka
Sonetto XXXIII – Pablo Neruda

Amore, ora andiamo alla casa
dove il rampicante sale per le scale:
prima che tu arrivi è giunta alla tua stanza
l'estate nuda con piedi di caprifoglio.

I nostri baci erranti percorsero il mondo:
Armenia, densa goccia di miele dissotterrato,
Ceylon, colomba verde e lo Yang Tsè che separa
con antica pazienza i giorni dalle notti.

E ora, beneamata, per il mar crepitante
torniamo come due uccelli ciechi al muro,
al nido della lontana primavera,

perché l'amore non può volar senza fermarsi:
al muro o alle pietre del mare van le nostre vite,
al nostro territorio son tornati i baci.

Dimmi - Pierangelo Bertoli

opera di Eric Bowman
Dimmi - Pierangelo Bertoli

Dimmi come vivi, chi sei
Dove ti rifugi quando tutto è contro di noi
A che cosa pensi?
Dimmi come vivi con te
E mi senti bene?
Se il mondo non è quello che tu vuoi, ti affidi a quali venti?
Che musiche ti spingono, che forze ti sorreggono, che limiti
Ma dimmi come vivi, se vuoi
Come posso entrare nel tuo cuore, dentro gli occhi tuoi, proprio fino in fondo
Che muri debbo abbattere, che scale posso prendere, pericoli
Nelle notti del tuo navigare quando i fuochi si spengono
Quando intorno non trovi che il mare e le rive ti mancano
Chissà se c'è un porto che ti attende, se una luce spunterà
Se il tuo regno solitario prima o poi mi attraccherà
Non so niente di quello che vuoi
Ma so che tu puoi, puoi permettermi di entrare dentro ai muri e ai sogni tuoi
Abbandona la paura, sai che il mondo siamo noi
Non c'è niente che valga per te se tu non ci sei
Dimmi se la vita è follia, se rimani sola
Cercando amore nella fantasia senza spaventarti
Dimmi sei infelice con te, quando d'improvviso germoglia qualche forse, qualche se
Dentro a quei momenti
Che dubbi ti rincorrono, che nuvole ti sfuggono negli angoli
Nelle notti del tuo navigare quando i fuochi si spengono
Quando intorno non trovi che il mare e le rive ti mancano
Chissà se c'è un porto che ti attende, se una luce brillerà
Se il tuo regno solitario prima o poi mi attraccherà
Non so niente di quello che vuoi
Ma so che vorrei forse un attimo innocente che col tempo passerà
Una specie di rivolta contro questa società che ti toglie la vita che è in te
E tu…non lo sai.