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21 aprile 2018

da “Il talento del cuoco” – Martin Suter

da “Il talento del cuoco” – Martin Suter

(…)
Il mattino dopo si diffuse la notizia che la più grande banca del paese aveva dovuto dire addio a diciannove miliardi e chiederne in prestito altri quindici. Il presidente ci aveva rimesso il posto. Anche per Maravan sarebbe stata una brutta giornata.

Era sgattaiolato fuori dalla camera prima dlle sei e aveva preparato egg hoppers con sothi e chutnei di cocco. Mentre usciva dalla cucina con il vassoio, per poco non andò a sbattere contro Andrea, già vestita di tutto punto.
“Un hopper?” chiese, non trovando niente di meglio da dire.
“No, grazie. Non faccio quasi mai colazione”.
“Ah”. Si guardarono in silenzio per diversi secondi. fu lei a sbloccare la situazione.
“Devo andare”.
“Sì”.
“Grazie per l’ottima cena”.
“Grazie a te per essere venuta. Hai il primo turno?”.
“No, oggi comincio tardi”.
“Allora ci vediamo questo pomeriggio”.
Andrea esitò; voleva aggiungere qualcosa. “Maravan…”.
Ripensandoci, si interruppe subito. Lo baciò sulle guance, chiaramente a disagio, e se ne andò.
Dalla finestra la vide uscire e incamminarsi stancamente verso la fermata del tram, le mani affondate nelle tasche del soprabito. Una mattina buia, ma la strada era asciutta.

Maravan tornò in cucina e si dedicò a quello che faceva anche da Huwler: pulire le padelle, lavare, rassettare.
Era la prima volta che stava con una donna da quando aveva lasciato lo Sri Lanka. E le esperienze precedenti si potevano comunque contare sulle dita di una mano. Tre volte in india, due in patria. Con quattro prostitute e una turista. Un’inglese sulla quarantina che aveva detto di chiamarsi Caroline. Ma il nome sulla targhetta della valigia era Jennifer Hill.
Era anche la prima volta che dopo si sentiva bene. Nessun senso di colpa. Nessun bisogno. Nessuno aveva bisogno di stare sotto la doccia per ore. non ne era sorpreso. Per la prima volta c’era di mezzo l’amore.
Ecco perché era rimasto particolarmente colpito dall’atteggiamento distaccato di Andrea. Gli era forse successo quello che era già capitato ad altri tamil senza famiglia? era stato la piccola distrazione esotica di una notte?
Era talmente buio che per pulire l’evaporatore rotante dovette accendere la luce. Rimise l’apparecchio nel borsone, ben protetto dalla biancheria pulita e dall’asciugamano di spugna.

Quando uscì dal palazzo pioveva di nuovo. Era ancora presto. Voleva arrivare subito dopo la signora Keller, prima di tutti gli altri. lei si occupava dell’amministrazione e faceva un normale orario d’ufficio. apriva la porta della cucina – l’entrata per i fornitori – alle otto e un quarto precise. Maravan avrebbe avuto tutto il tempo di rimettere a posto l’evaporatore.
Purtroppo le cose presero una piega inaspettata. Era fermo in fondo al tram, intendo a riflettere sulla notte precedente e sullo strano comportamento di Andrea, quando si udì un acuto scampanellio e il mezzo si fermò con una brusca frenata.
Maravan non si stava tenendo. cercò di rimanere in piedi, ma urtò una giovane che si era aggrappata a un sedile e la trascinò con sé nella caduta.
alcuni cacciarono d’istinto un urlo, poi sul tram tornò il silenzio. Da fuori giungeva il furioso strombazzare delle auto.
Maravan si rialzò e diede una mano alla ragazza che aveva fatto cadere. Un vecchio seduto non lontano scosse la testa borbottando: “Tipico”.
La giovane aveva un pottu sulla fronte. Sotto la giacca a vento trapuntata indossava un punjabi verde chiaro.
“Tutto a posto?” chiese in tamil.
“Credo di sì” rispose lei, facendo un rapido controllo. La gamba destra dei pantaloni si era sporcata dal ginocchio in giù, laddove era venuta a contatto con il pavimento calpestato dalle scarpe bagnate dei passeggeri. La stoffa leggera con ricami dorati aderiva inopportunamente allo stinco, conferendo un che di volgare al suo aspetto da brava ragazza. Maravan infilò una mano nella tasca della giacca e le porse un pacchetto di fazzolettini.
Mentre la giovane tentava di pulire la viscosa alla bell’e meglio, aprì la zip del borsone per controllare di nascosto il recipiente di vetro avvolto nell’asciugamano. Era intatto. Si sentì talmente sollevato che strappò una pagina dal quaderno delle idee e gliela consegnò con sopra l’indirizzo e numero di telefono. Casomai avesse dovuto portare il punjabi in tintoria.
La ragazza diede un’occhiata al biglietto e lo mise via.
“Sandana” disse. “Mi chiamo Sandana”.
Nessuno dei due aggiunse una parola. Lei teneva la testa bassa. I capelli coperti dal cappuccio. Maravan riusciva a vedere solo l’attacco della scrematura centrale. E la punta delle lunghe ciglia.
I passeggeri divennero irrequieti. Nella parte anteriore del vagone un ragazzo aprì il finestrino e gridò: “Ehi! Qui dentro ci sono persone che devono andare al lavoro!”.
poco dopo arrivò il comunicato ufficiale: “Incidente in Blechstrasse. La linea dodici è interrotta in entrambe le direzioni. Stiamo approntando un servizio sostitutivo con autobus, vi preghiamo di avere pazienza”.
Le porte restarono chiuse, anche quando le sirene della polizia e dell’ambulanza si fecere via via più vicine. Raggiunto il tram, si zittirono di colpo.
Ad agire fu nuovamente il ragazzo che aveva protestato dal finestrino. Prendendo in mano la situazione, girò la manopola d’emergenza sopra la porta e scese. Gli altri lo seguirono, prima esitanti, poi sempre più rapidi. In meno di un minuto il vagone si svuotò.
Maravan e Sandana furono gli ultimi a uscire. Sulla èporta lui la salutò con queste parole: “Devo correre, sono già in ritardo. Arrrivederci”.
“Meedum santhipom” rispose lei.
(…)

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