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6 aprile 2018

Io sono la mia terra - Enzo Montano

Marina di Pisticci - Matera

Io sono la mia terra - Enzo Montano

Io sono i calanchi che disegnano milioni di profili
fino all’orizzonte, moltiplicato dai riverberi del sole,
sono l’argilla che avvolge il tempo e lo trasforma in fossili.
Io  sono l’alba luminosa sullo ionio di Nestore e di Ulisse
e sono il sole immobile appeso al cielo di cristallo
con i suoi dardi perpendicolari  che raggiungono le spighe d’oro
come nelle incisioni a punta secca che realizzava Mario.
Io sono la striscia del mare in lontananza verso est,
riflesso argenteo della luna del Dirupo.
Io sono i cocci delle anfore greche,
costellazioni tra le brune zolle,
frantumati dalla punta del vomere,
sono le schegge colorate di un lekythos  di una tomba greca,
tracce della storia immensa dissepolte da un’aratura profonda.
Sono le colonne doriche del tempio di Hera
testimoni del sedimentarsi lento dei veli del tempo
e del lungo cammino degli uomini e le donne verso
i tanti nomi che assumono i sogni. 
Io sono i briganti negli sterminati boschi
in lotta con il freddo e la falsa unità d’Italia.
Io sono le teste dei raccoglitori di tabacco
che emergono dopo l’alba dal verde intenso
delle foglie appiccicose e dal viola tenue dei fiori.
Io sono le classi strapiene di bambini
di una scuola di campagna in primavera.
Sono i bambini che rubano le ciliegie
e sono l’ortolano buono che finge di arrabbiarsi.
Io sono coloro che hanno abbandonato le loro case
verso l’ignoto sconosciuto oltre l’oceano che sfuggivano alla fame.
Io sono le lacrime di gioia di zio Generoso
che rivede i boschi della sua fanciullezza
dopo sessant’anni di Argentina,
sono il vino rosso di un altro brindisi che inonda l’anima 
e ci accompagna fino all’orizzonte rosa dove
accenniamo passi di un tango sulle note di Piazzolla
mentre il sole attendi il momento del suo tuffo.
Io sono tutti gli Hamed e le Jala che arrivano dal mare
e sono le loro sorelle e i loro fratelli e figli che non ce l’hanno fatta.
Sono la luna piena che trasforma le paure in lupi mannari.
Io sono il funambolo ebbro che cammina su un filo teso
tra la falce della luna e Cassiopea fin sulla punte delle stelle
immerso nel profumo intenso di un aranceto in fiore.
Io sono l’olivo secolare dal grande tronco rugoso, alieno al tempo,
che sventola foglie argentee in danza con il sole
meraviglioso preludio al liquido tesoro dell’autunno.
Io sono l’uva dagli acini d’oro dolci come il miele
che segnano la fine dell’estate e colmano i tini di allegria.
Io sono lo scintillio degli aculei trasparenti
delle imponenti siepi del ficodindia.
Io sono il giallo arrogante delle ginestre
che al pari di un oceano copre la primavera.
Io sono in quello scorcio che si apre sulla valle
in aprile, sempre alla stessa ora, così bello che strozza la gola,
e sono tutti i colori dei fiori in esplosione
come i fuochi nelle notti di San Rocco.
Io sono la tenerezza della malvarosa
e la prepotenza del rosso sconfinato dei papaveri,
e la tristezza di un’acacia che muore lungo la via.
Io sono l’estate rovente densa di mirto rosmarino e finocchietto
che  infuoca le narici e brucia i polmoni.
Io sono l’incessante canto della cicala incurante della morte prossima.
Io sono il mistero della controra
quando tutto sembra fermo col sole unico signore
e i pochi temerari che lo sfidano hanno un motivo inconfessabile.
Io sono il falco che pondera il suo volo
contro l’intenso azzurro doloroso
che come un dardo trafigge la lucertola.
Ma sono anche la lucertola che muore in un attimo
e il ramarro dai cento verdi spiaccicato sull’asfalto.
Sono la civetta che squittisce nelle notti incantate e silenziose,
e sono una delle stanche pecore di Rocco Scotellaro
incapace di scalfire l’indolenza atavica
di chi punta il dito senza vedere se stesso
né la bellezza irresistibile delle evoluzioni della luna.
Io sono il volto bruno dei nostri padri
con rughe profonde scavate dal vento e dalla fatica.
Io sono il sorriso di mio figlio e i suoi occhi colmi di sogni.
Io sono una vecchia fontana abbandonata.
Io sono una chiesa rurale invasa dalle erbacce.
Io sono il basilico la menta e mille altri profumi.
Io sono l’eucalipto gigante il gelso maestoso e il vecchio carrubo.
Io sono l’alloro il corbezzolo e l’oleandro.
Io sono la terra del silenzio e della luce che cantano inni
alla Bellezza come un coro in una cattedrale.
Io sono la cenere dell’urna che si disperde
tra l’erba rugiadosa di un mattino colmo di promesse.
Io sono la mia terra ed è quello che Voglio. Urlo. Desidero.

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