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14 aprile 2018

Ragazzo di Taino - Giovanni Testori

Ragazzo di Taino - Giovanni Testori

I
E poi bisognerà un giorno,
ragazzo di Taino, scendere giù
ben oltre la riva dorata di Luino
e sulla sponda giungere
dove non appaiono più barche
se non stipate d’ombre e vane;
bisognerà, cespo di pavone,
non avere più amore, non avere più pane;
stendersi insieme o soli
nell’impossibile gelo della Città di rame
o traghettare l’antica mestizia dello Stige
a una tomba attraccare
e sentirsi staccare, ora per ora,
in piccolissima dimora,
la carne amata e disperata,
la baciata, adorata carne
ed i capelli, l’ossa…
Nessuno riaprirà mai la porta,
- a noi che importa?-
chiusa su te, su me.
Ma quando? Un giorno,
ragazzo dagli occhi assediati dal carbone,
volo e luce d’ultima rondine,
tu, mio povero rondone,
quando sarà caduta a grani
dalla clessidra la sabbia nelle mani,
rotto per empietà divina, il cristallo delicato…
Non ci sarà più freddo,
non ci sarà più fuoco.
Ma quel giorno, in silenzio,
nella spera infinita della pace
o nel suo nulla,
sarò io la tua culla?
Rispondi, ladro di teschi di Taino,
sarai tu il mio cuscino?

II
Se ti vedrò sporgere
di là dal tuo silenzio
ora che mia madre lentamente muore,
non chiamerò più amore:
sudario forse della mia già iniziata
ultima stazione
anche se lunga o brevissima forse,
tenerezza scontrosa mia carissima
-ora che lei distesa guarda
per l’ultime volte i muri
e oltre la finestra il mondo
e chiedere sembra
cosa siano i giorni
e cosa mai lo spazio
tanto è passato in luce
il suo materno, umile strazio-
ti dirò di sederti a me vicino
e non chiedere, no
non chiedere niente, cuore.
La tua pupilla lascerà che si sciolga
dentro il suo negro ardore
il mio smarrito, povero dolore.

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