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4 maggio 2018

da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

Marilyn Dunlap - Les vins
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

21. Oggi, come se quella angustia antica che a volte trasborda stesse opprimendo le mie sensazioni corporee, ho mangiato poco e non ho bevuto come di consueto, nel ristorante, o taverna, nel cui mezzanino conferisco fondamenta alla continuazione della mia esistenza. Mentre uscivo, il cameriere, costatando che la bottiglia di vino era rimasta a metà si è voltato verso me e ha detto: «Arrivederci, signor Soares, e le auguro un pronto miglioramento». Al suono di clarino di questa frase semplice la mia anima si è calmata come se in un cielo pieno di nuvole il vento improvvisamente le allontanasse. E allora ho compreso ciò che prima non avevo mai capito bene, che fra questi camerieri di caffè e di ristorante, fra i barbieri, i facchini agli angoli delle strade, godo di una simpatia spontanea, naturale, che non posso vantare di ricevere da coloro che condividono con me una maggiore intimità. Impropriamente detta… La fraternità ha sottigliezze. Alcuni governano il mondo, altri sono il mondo. Tra il milionario americano, con conti in Inghilterra, o in Svizzera, e l’autorità socialista di un villaggio, non c’è differenza di qualità ma solo di quantità. Al di sotto di loro ci siamo noi, gli amorfi, lo sconclusionato drammaturgo William Shakespeare, il maestro di scuola John Milton, il vagabondo Dante Alighieri, il garzone che ieri mi ha fatto una commissione, o il barbiere che mi racconta barzellette, il cameriere che mi ha appena augurato amabilmente buona salute, per aver io bevuto solo metà del solito vino.

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