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22 maggio 2018

da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

dipinto di Aldo Balding
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa
 138.
A volte mi succede, e quando accade è quasi all’improvviso, che nel bel mezzo delle mie sensazioni si manifesti una stanchezza della vita così terribile che non esiste neanche la minima ipotesi di azione per dominarla. Per guarirla il suicidio sembra incerto, la morte, anche ipotizzando l’incoscienza, ancora meno. È una stanchezza che ambisce non a smettere di esistere – il che può essere più o meno possibile –, ma a qualcosa di molto più orribile e profondo: a smettere addirittura di essere esistita, il che non può assolutamente essere. A volte, credo di scorgere nelle speculazioni dei pensatori indiani, in genere confuse, qualcosa di questa ambizione più negativa del nulla. Ma, o manca loro l’acutezza della sensazione per poter in tal modo riferire ciò che pensano, o manca loro la sottigliezza del pensiero per sentire in questo modo ciò che sentono. In effetti, non vedo bene quello che intravedo in loro. Il fatto è che mi ritengo il primo ad affidare alle parole l’assurdo sinistro di questa sensazione incurabile. E la curo scrivendola. Sì, non esiste desolazione, se è davvero profonda – a condizione che non sia puro sentimento ma vi partecipi l’intelletto – che non abbia il rimedio ironico di esprimerla. Anche se la letteratura non avesse altra utilità, avrebbe almeno questa, seppure per pochi. Purtroppo le sofferenze dell’intelletto fanno meno male di quelle del sentimento, e quelle del sentimento, purtroppo, meno di quelle del corpo. Dico “purtroppo”, perché la dignità umana esigerebbe il contrario. Non c’è angosciosa sensazione del mistero che possa far male come l’amore, la gelosia, la nostalgia; che possa soffocare come un’intensa paura fisica, che possa alterare come la collera o l’ambizione; ma neanche un dolore come quello che opprime l’anima riesce ad essere così realisticamente dolore come il mal di denti, o le coliche, o (presumo) le doglie del parto. Siamo fatti in modo tale che l’intelletto che nobilita certe emozioni o sensazioni e le pone al di sopra delle altre, allo stesso tempo le avvilisce se allarga la sua analisi alla comparazione fra tutte queste. Scrivo come chi dorme, e tutta la mia vita è una ricevuta da firmare. Nel pollaio da dove partirà verso la morte, il gallo canta inni alla libertà perché gli hanno dato due trespoli.

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