dipinto di Aldo Balding
da Il libro
dell’inquietudine – Fernando Pessoa
138.
A volte mi succede, e quando accade è quasi all’improvviso, che nel bel
mezzo delle mie sensazioni si manifesti una stanchezza della vita così
terribile che non esiste neanche la minima ipotesi di azione per dominarla. Per
guarirla il suicidio sembra incerto, la morte, anche ipotizzando l’incoscienza,
ancora meno. È una stanchezza che ambisce non a smettere di esistere – il che
può essere più o meno possibile –, ma a qualcosa di molto più orribile e
profondo: a smettere addirittura di essere esistita, il che non può
assolutamente essere. A volte, credo di scorgere nelle speculazioni dei
pensatori indiani, in genere confuse, qualcosa di questa ambizione più negativa
del nulla. Ma, o manca loro l’acutezza della sensazione per poter in tal modo
riferire ciò che pensano, o manca loro la sottigliezza del pensiero per sentire
in questo modo ciò che sentono. In effetti, non vedo bene quello che intravedo
in loro. Il fatto è che mi ritengo il primo ad affidare alle parole l’assurdo
sinistro di questa sensazione incurabile. E la curo scrivendola. Sì, non esiste
desolazione, se è davvero profonda – a condizione che non sia puro sentimento
ma vi partecipi l’intelletto – che non abbia il rimedio ironico di esprimerla.
Anche se la letteratura non avesse altra utilità, avrebbe almeno questa,
seppure per pochi. Purtroppo le sofferenze dell’intelletto fanno meno male di
quelle del sentimento, e quelle del sentimento, purtroppo, meno di quelle del
corpo. Dico “purtroppo”, perché la dignità umana esigerebbe il contrario. Non
c’è angosciosa sensazione del mistero che possa far male come l’amore, la
gelosia, la nostalgia; che possa soffocare come un’intensa paura fisica, che
possa alterare come la collera o l’ambizione; ma neanche un dolore come quello
che opprime l’anima riesce ad essere così realisticamente dolore come il mal di
denti, o le coliche, o (presumo) le doglie del parto. Siamo fatti in modo tale
che l’intelletto che nobilita certe emozioni o sensazioni e le pone al di sopra
delle altre, allo stesso tempo le avvilisce se allarga la sua analisi alla
comparazione fra tutte queste. Scrivo come chi dorme, e tutta la mia vita è una
ricevuta da firmare. Nel pollaio da dove partirà verso la morte, il gallo canta
inni alla libertà perché gli hanno dato due trespoli.
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