Luigi Cima - I fabbri
Il fabbro del villaggio - Enrico W. LongfellowSotto l'antico noce fronzuto
abita il fabbro della borgata;
un poderoso dal petto irsuto
e dalla scabra mano onorata.
Le nerborute sue braccia aduste
son due d'acciaio spranghe robuste.
Ha nero il crine, ricciuto e folto,
fuligginosa l'austera faccia:
d'oneste gocce bagnato il volto
ei qualche cosa sempre procaccia;
nulla ad uomo deve; quindi giocondo
guardare in faccia può tutto il mondo.
Dall'alba a sera, di settimana
in settimana, sovra l'incude,
come i rintocchi d'una campana,
suonano i colpi del martel rude:
sulle stridenti brace il ventoso
mantice anela senza riposo.
I fanciulletti che dalla scola
tornano, all'uscio fermano il passo;
e contemplando senza parola
stanno il martello che, or alto, or 'basso,
fuor della soglia correre a mille,
come la pula, fa le scintille.
Nelle giornate sacre al Signore,
scende alla Chiesa co' figliuoletti:
ode la voce del suo pastore
e fa conserva dei santi detti:
ode la figlia che canta in coro
e va gioioso del suo tesoro.
In quella voce sente la voce
della sua donna, che in cielo or canta:
pensa la fossa, pensa la croce
che copre l'ossa di quella santa;
e con la dura mano callosa
terge la dolce lagrima ascosa.
Mesto, giocondo così lavora
quante son l'albe della sua vita.
L'opra abbozzata vede l'aurora,
vede la sera l' opra fornita:
di sue fatiche mai non si lagna
ed il suo sogno tardi guadagna.
Grazie, a te, buon popolano,
che tal mi porgi stimolo e sprone!
Così sudando lo spirto umano
foggi a se stesso le sue corone;
temprata al foco della sventura
foggi ciascuno la sua figura!
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