opera di Fernando Botero
da “Gabriella
garofano e cannella” – Jorge Amado
(…)
Clemente non aveva un
mestiere particolare. Aveva lavorato sempre nei campi: piantare, seminare,
raccogliere, era tutto ciò che sapeva fare. Inoltre veniva con il proposito di
dedicarsi alla coltivazione del cacao, aveva sentito tante storie di gente
arrivata come lui, vittima della siccità, fuggita dal deserto, quasi morta di
fame, che in quelle terre era diventata ricca in brevissimo tempo. Questo
narravano nel sertão, la fama di Ilhéus correva rapida, i ciechi cantavano le
sue meraviglie sulle chitarre, i commessi viaggiatori parlavano di quelle terre
fertili e coraggiose, lì un uomo realizzava il suo destino in un batter
d’occhi, non esisteva coltivazione più redditizia del cacao. I gruppi di
emigranti abbandonavano il sertão, inseguiti dalla siccità, abbandonavano la
terra bruciata dove il bestiame moriva e le piantagioni bruciavano, prendevano
la strada del sud. Molti restavano lungo il cammino, non sopportavano quel
viaggio di orrori, altri morivano arrivando alla regione delle piogge, dove il
tifo e la malaria aspettavano in agguato. Arrivavano decimati, brandelli di
famiglie, morti di stanchezza, ma i cuori battevano allegramente in
quell’ultimo giorno di calvario. Ancora uno sforzo e avrebbero raggiunto la
città ricca e facile. Le terre del cacao dove il danaro scorreva per le strade.
Clemente aveva molto bagaglio. Oltre alla sua roba - l’armonica e un sacco
pieno per metà - portava la borsa di Gabriella. La marcia proseguiva lenta,
c’erano fra loro dei vecchi, ed anche i ragazzi si trovavano al limite della
resistenza, non ne potevano più. Alcuni praticamente si trascinavano, sorretti
solo da un filo di speranza. Solo Gabriella sembrava non risentire del lungo
cammino, i suoi piedi scivolavano leggeri sui sentieri aperti a colpi di falce
nella foresta. Come se non vi fossero pietre, rocce, ceppi taglienti. La
polvere della strada desertica l’aveva ricoperta dalla testa ai piedi al punto
che era impossibile distinguere ora i suoi lineamenti. Nei capelli il pettine
non passava più, tanto era la polvere accumulata. Sembrava una povera demente
smarrita lungo il cammino.
Ma Clemente sapeva
come era fatta realmente e lo sapeva in ogni particolare del suo essere, nella
punta delle dita, sulla pelle del petto. Quando i due gruppi si erano
incontrati, agli inizi del viaggio, il colore del volto di Gabriella, e delle
gambe, era ancora visibile, i capelli le ondeggiavano ancora sul capo con un
vento di profumo. Anche adesso, attraverso la patina di sporco che l’avvolgeva,
egli riusciva a vederla come il primo giorno, appoggiata ad un albero, con il
corpo armonioso, il volto sorridente, mentre addentava un frutto.
- Non sembra che tu
venga da così lontano...
Ella sorrise: -
Stiamo per arrivare. Siamo vicini. È bello arrivare...
Egli chiuse ancor più
il volto scontroso: - Non la penso così.
- E perché no? - alzò
verso il volto accigliato dell’uomo suoi occhi un po' timidi e un po'
innocenti, un po' insolenti e provocatori. - Non vieni anche tu per lavorare
nel cacao, guadagnare danaro?
- Tu lo sai perché, -
borbottò egli con rabbia. - Per me questa strada avrebbe potuto durare tutta la
vita. Non mi importava...
Nel riso di lei c’era
un velo di malinconia, che non arrivava ad essere tristezza, come se avesse
accettato il destino.
- Tutte le cose
buone, tutte le cose cattive hanno sempre fine.
Una rabbia impotente
urlava nel petto dell’uomo. Ma ancora una volta, dominando la voce, rifece la
domanda rivolta tante volte durante il cammino e nelle notti insonni:
- Non vuoi proprio
seguirmi nella foresta? Mettere insieme noi due, un campo, piantare cacao? In breve
tempo avremo la nostra proprietà, cominceremo a vivere.
La voce di Gabriella
era dolce, ma definitiva: - Ti ho già detto i miei progetti. Voglio restare in
città, non voglio più vivere nei boschi. Troverò un lavoro di cuoca, di
lavandaia, o di cameriera, in casa d’altri...
Aggiunse in un
ricordo lieto:
- Sono già stata in
casa di gente ricca, ho imparato a cucinare.
- Là non avrai
avvenire. Nella piantagione, con me, potremo a poco a poco sistemarci...
Ella non rispose.
Continuava la strada quasi danzando. Sembrava una povera pazza con quei capelli
incrostati, avvolta di sporcizia, con i piedi feriti, piaghe sparse su tutto il
corpo. Ma Clemente la vedeva dolce e flessuosa, con la chioma sciolta, il volto
delicato, le gambe alte e il busto armonioso. Divenne ancora più scuro in
volto, avrebbe voluto tenerla con sé per sempre. Come avrebbe potuto vivere
senza il calore di Gabriella?
(…)
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