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16 giugno 2018

Lettera di Tatiana a Onegin - Aleksandr Sergeevič Puškin

dipinto di Carl Vilhelm Holsoe
Lettera di Tatiana a Onegin - Aleksandr Sergeevič Puškin

Io vi scrivo. Che più? Che posso dire
ancora? Ben lo so, voi mi potete
con vostro disprezzo ora punire.
Ma se nel vostro cuore troverete
per la mia triste sorte, il mio soffrire,
di compassione almeno un granellino,
non m'abbandonerete al mio destino.
Da principio tacere avrei voluto.
Credetemi; di questa mia rovente
vergogna, non avreste certamente
dalle mie labbra nulla mai saputo,
se la speranza mia non fosse vana,
anche una volta sol la settimana
potervi qui vedere ed ascoltare,
e, scambiata così qualche parola,
pensar poi sempre ad una cosa sola,
e giorno e notte. Ma voi siete, pare,
un misantropo, sempre d'umor nero
e sempre preda ad insanabil noia...
e noi?... Noi non brilliamo per davvero,
sebbene di vedervi s'abbia gioia!

Perché dunque da noi siete venuto
in quest'angolo fuor del mondo? Io sento
che se mai non v'avessi conosciuto,
oggi non proverei questo tormento;
dell'anima inesperta il turbamento,
chissà, forse col tempo avrei calmato;
un compagno devoto avrei trovato
e sarei diventata anch'io una sposa
fedele e una madre virtuosa.
Un altro?... Un altro no; giammai diritto,
avrei dato ad alcuno di dirmi sua!
Per volere supremo in cielo è scritto
per sempre il mio destino..., io sono tua.
Tutta la vita mia fu certo pegno
del mio incontro con te, della mia sorte;
so che la tua venuta è un divin segno;
tu sarai l'angiol mio fino alla morte...
Oh, quante e quante volte io t'ho sognato;
invisibile ancora io già t'amavo
e al tuo sguardo soave m'incantavo.
Da tanto la tua voce ha risonato
nel mio cuore; non è vaneggiamento;
non appena tu entrasti, palpitare,
riconoscerti e insieme mormorare
a me stessa: "Egli è qui!"- fu un sol momento.
Dì, non è vero che la tua favella
nella mia solitudine ascoltavo,
se davo aiuto a una poverella
o se con la preghiera alla procella
dei pensieri dal ciel pace imploravo?
E non sei forse tu ch'io vedo adesso,
cara visione, farsi a me d'appresso,
e, balenando nella trasparente
oscurità, piegarsi al capezzale?
Non sei tu che alla speme hai dato l'ale,
bisbigliando d'amor teneramente?
Chi sei tu dunque: l'angiol protettore
o un perfido, maligno tentatore?
Sciogli tu il dubbio della mente incerta,
ché forse tutto questo è una chimera,
solo inganno d'un' anima inesperta
e ben diversa è la mia sorte vera.
Ma sia pure così! Il mio destino
nelle tue mani ora e per sempre metto
e, sconvolta dal pianto, a te vicino
solo da te la mia difesa aspetto...

Alla mia vita pensa; io son qui sola
e nessuno m'ascolta e mi capisce,
la mia mente s'oscura e indebolisce,
debbo perire senza una parola.
T'aspetto; con lo sguardo la certezza
dona al cuore dal dubbio travagliato
o questo sogno grave alfine spezza
col tuo biasimo, ahimè, ben meritato.
Finisco; di rileggere ho paura,
vinta dalla vergogna mia rovente,
ma il vostro onor m'è garanzia sicura,
e al vostro onor m'affido arditamente.

Trad. Ettore LoGatto

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