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19 luglio 2018

da "Cent'anni di solitudine" - Gabriel Garcia Marquez

da "Cent'anni di solitudine" - Gabriel Garcia Marquez

"Diamine!" gridò. "Macondo è circondata dall'acqua da ogni parte."
L'idea di una Macondo peninsulare prevalse per molto tempo, ispirata dalla mappa arbitraria  che  disegnò  José  Arcadio  Buendìa al  ritorno  dalla sua  spedizione. La schizzò con rabbia, esagerando di malafede le difficoltà di comunicazione, quasi per castigare sé stesso per l'assoluta mancanza di buon senso con la q uale aveva scelto il luogo. "Non arriveremo  mai da nessuna parte," si lamentava con Ursula. "Dovremo marcire qui per  tutta la  vita senza ricevere i benefici della  scienza." Quella certezza, ruminata per vari mesi nello stanzino del laboratorio, lo portò a concepire il progetto di trasferire Macondo in un luogo più propizio. Ma questa volta, Ursula prevenne i progetti febbrili del marito. Con un segreto e implacabile lavoro da formichina mise su le donne del paese contro la velleità dei loro uomini, che cominciavano già a prepararsi al trasloco. José Arcadio Buendfa non seppe in che momento, o in virtù di quali forze avverse, i  suoi  progetti  si  andarono irretendo in un intrico di pretesti, di contrattempi ed elusioni, fino a trasformarsi in illusione pura e semplice. Ursula lo osservò con innocente attenzione, e provò perfino un po' di pietà per lui, il mattino in cui lo trovò nel suo stanzino appartato intento a parlottare a denti stretti dei suoi sogni di trasloco, mentre collocava i pezzi del laboratorio nelle loro casse originali, Lo lasciò finire. Lo lasciò inchiodare le casse e apporvi le sue iniziali con uno stecco  inchiostrato, senza fargli alcun rimprovero, ma sapendo già che lui sapeva (perché glielo aveva sentito dire nei suoi sordi monologhi) che gli uomini del villaggio non lo avrebbero assecondato nella sua impresa. Solo quando cominciò a smontare la porta dello stanzino, Ursula si arrischiò a chiedergli perché lo faceva, e lui le rispose con una certa amarezza: "Dato che nessuno vuole andarsene, ce ne andremo noi soli." Ursula non si turbò.
"Non ce ne andremo," disse. "Restiamo qui, perché qui abbiamo avuto un figlio.
"Non abbiamo ancora un morto," disse lui. "Non si è di nessuna parte finché non si ha un morto sotto terra."
Ursula ribatté, con dolce fermezza:
"Se è necessario che io muoia perché gli altri restino qui, io morirò."
José Arcadio Buendìa non credette che la volontà di sua moglie fosse così rigida. Cercò di sedurla con il fascino della sua fantasia, con  la promessa di un mondo prodigioso, dove  bastava gettare qualche liquido magico sulla terra perché le piante dessero frutta  secondo  la  volontà  dell'uomo, e dove si vendevano a prezzi di stralcio ogni sorta di congegni contro il dolore. Ma Ursula fu insensibile alla sua chiaroveggenza.
"Invece di continuare a pensare alle tue strambe manie di novità, devi occuparti dei tuoi figli," ribatté. "Guardali, abbandonati alla pietà di Dio, tali e quali agli asini."
José Arcadio Buendìa prese alla lettera le parole di sua moglie. Guardò dalla finestra e vide i due bambini scalzi nell'orto assolato, e ebbe l'impressione che solo in quell'istante avessero cominciato a vivere, concepiti dallo scongiuro di Ursula. Qualcosa successe allora dentro di lui; qualcosa di misterioso e definitivo che lo sradicò dal suo tempo attuale e lo portò alla deriva in una regione inesplorata dei ricordi. Mentre Ursula continuava a scopare la casa che ora era certa di non abbandonare per il resto della sua vita, lui rimase a contemplare i bambini con uno sguardo assorto, finché gli occhi gli si inumidirono e se li asciugò col dorso della mano, ed emise un profondo sospiro di rassegnazione.

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