(…)
Per evitare che i
volti dei famigliari in lutto mi turbino il sonno, mi perdo nel sapore della
Sriracha, cercando di ricordarne ogni sfumatura. Il bruciore del chili,
piccante ma rotondo. La leggera nota di aglio nel retrogusto. La particolare
sensazione di dolore, non come una puntura di spillo o una ferita di coltello,
meno appuntito e più intenso, una gomma per cancellare premuta forte contro la
lingua come un marchio a fuoco per il bestiame. Un sapore doloroso ma
piacevole. Un enigma di composti chimici, non di emozioni umane. L’unico tipo
di enigma che so di poter risolvere.
Al mattino sto
pensando al progetto di Amanda di farmi andare a vivere con lei. Mi chiedo cosa
sarebbe meglio. Ero così fissata con l’idea di restare in questa casa e di non
venderla che è difficile cambiare marcia. Ma sarebbe così terribile? La mamma
non ha finito la frase. È molto importante che tu non permetta ad Amanda di… di
convincermi a lasciare la casa, forse? Amanda farà del male a qualcuno? A me? A
se stessa? Le possibilità sono talmente tante, mi sento bloccata.
Seduta al tavolo da
pranzo, Amanda alza gli occhi dal suo portatile e dice:
«Ehi, stavo giusto
pensando a te. Vuoi qualcosa per colazione?»
«Non subito.»
«Parker dorme ancora.
E Shannon, come sai, è insieme al tuo gatto. È ossessionata da quell’animale.
Ma, in tutta onestà, va bene così. Dobbiamo parlare.»
«Ah sì?»
«Ho rimandato perché
eravamo entrambe troppo turbate. Ma adesso non lo trovo più giusto. Credo che
bisogna affrontarlo.»
«Affrontare cosa?»
«Il tuo problema.»
Un rumore lieve
dietro di me. Mi giro e vedo Midnight che scende le scale. La sua coda bianca
si agita nell’aria, da sinistra a destra e da destra a sinistra, lenta,
dignitosa. Cerco di non farmi distrarre da quel movimento ipnotico.
«Te l’ho detto, non
ho nessun problema.»
«Credi che la gente
normale si chiuda nei ripostigli ai funerali dei genitori? Credi che la gente
normale mormori con gli occhi incollati alle scarpe invece di guardare gli
altri negli occhi? Credi che la gente normale urli a pieni polmoni appena
qualcuno gli sfiora un braccio in pubblico?»
«Non lo faccio
sempre. Non mi capita quasi mai.»
«Ma a volte ti
capita. La mamma faceva del suo meglio con te, lo so. Ma credo che avrebbe
potuto aiutarti di più se avesse saputo cos’hai.»
«Una personalità.»
Amanda dice:
«Ginny, non è più
divertente».
«Non voglio che sia
divertente.»
Dei piccoli passi
saltellanti, attutiti dalla moquette, seguono Midnight giù dalle scale. Vedo
Shannon accovacciata sul gradino più basso che allunga la mano verso la coda
soffice e bianca che le sfugge di un soffio.
Amanda dice:
«Ginny mi stai
ascoltando?»
«Scusa», dico
distrattamente. Sto concentrando tutta la mia attenzione sul gatto, sulla
bambina e sullo sforzo di non dire a mia sorella di chiudere il becco.
«Ho detto… credo…
Ginny, secondo me ti serve più aiuto.»
«Ho Gert.»
«Non quel tipo di
aiuto.»
Questo lo so.
Midnight si ferma ai piedi delle scale a leccarsi una zampa come se fosse la
cosa più urgente del mondo. Shannon si allunga un centimetro di troppo e si ribalta.
Non fa in tempo a mettere le mani davanti e batte la testa sul legno duro del
parquet. Le sue urla riempiono immediatamente la casa.
Amanda è già in
piedi.
«Shannon, tesoro, non
è niente, va tutto bene.»
La prende in braccio.
«Su, piccola. È tutto
a posto.»
Accarezza la testa a
Shannon mentre singhiozza, si gira verso di me e dice:
«Non te la cavi così.
Ascolta. È una cosa semplice. Voglio solo che tu veda un dottore. Che ti faccia
fare una diagnosi, e dare una cura. Potrebbe rendere le cose più semplici».
Le urla di Shannon si
alzano e si abbassano, passando da un’ottava all’altra. Per quanto ne so,
potrebbero aumentare ancora. Amanda smette di accarezzarla e le tiene soltanto
la mano ferma sulla testa, col palmo piatto. Midnight scappa via.
«No», dico ad Amanda.
«Niente dottore.»
«Un giorno o l’altro
ti succederà qualcosa. Ecco perché mi preoccupo. Hai quasi dato fuoco alla casa
il giorno del funerale. Fai entrare estranei in cucina. Sparisci per ore con la
donna delle pulizie. Voglio dire, Ginny, non è normale.»
«Solo uno.»
«Un dottore?»
«Un estraneo.»
«Ti farai del male»,
dice.
La fisso alla gola.
«Questi sono i fatti.
Shannon, silenzio, amore, va tutto bene, okay?»
Shannon dice qualcosa
piangendo ma non riesco a capire cosa. Parla all’orecchio della madre.
«Tieni, Ginny, prova
tu», dice Amanda. «Vuole te.»
Allungo le mani e
Shannon viene in braccio a me. È pesante. La testa le cade subito sulla mia
spalla come se ci fosse una calamita. La mia mano si alza per stringerla senza
alcuna sollecitazione da parte del cervello. Guardo Amanda. Mi sta fissando a
braccia conserte. So cosa significa. La spalla della sua camicetta ha un colore
diverso dal resto, è bagnata di lacrime.
(…)
Nessun commento:
Posta un commento