Sir John Lavery - Mrs. Rosen's Bedroom
da “Malte Laurids Brigge” – Rainer Maria Rilke
(…)
La cena si trascinò avanti come sempre, ed eravamo quasi alle frutta quando il mio sguardo fu attratto e subito preso da un movimento che avveniva in fondo alla stanza, nella semioscurità. A poco a poco, mi pare, si era aperta una porta sempre chiusa, di cui mi avevano detto che dava nell’ammezzato; e ora, mentre io guardavo con un sentimento affatto nuovo di curiosità e di angoscia, era apparsa nel buio del vano una svelta figura di donna, vestita di bianco, che veniva lentamente verso di noi.
Non so se mi mossi o se fiatai; il rumore di una sedia rovesciata mi costrinse a staccare lo sguardo da quella strana figura e vidi mio padre che si era alzato in piedi e, pallidissimo, con i pugni contratti, si muoveva verso la donna. Lei intanto si avvicinava a noi, passo passo, affatto estranea a questa scena, e non era lontana dal posto del conte quando il vecchio si alzò di colpo, prese mio padre per un braccio, lo ricondusse a tavola e ve lo tenne fermo, mentre la sconosciuta traversava la stanza ormai deserta e piena di un indescrivibile silenzio, in cui solo si sentiva il tintinnio di un bicchiere, per scomparire in una porta della parete opposta. In quel momento mi accorsi che il piccolo Erik chiudeva la porta dietro la sconosciuta con un profondo inchino.
Io ero il solo che fosse rimasto a tavola; mi sentivo così pesante sulla sedia che non credevo di potermi alzare mai più. Guardai per un poco senza vedere. Poi vidi mio padre e mi accorsi che il vecchio lo teneva sempre per un braccio. Il viso di mio padre era eccitato, gonfio di sangue, ma il nonno, le cui dita stringevano il braccio come bianchi artigli, ammiccava col suo sorriso di maschera. Sentii quello che diceva, sillaba per sillaba, senza
riuscire ad afferrare il senso delle sue parole. Pure penetrarono profondamente nel mio udito perché circa due anni fa le ritrovai un giorno nella memoria e da allora le so. Disse: «Sei impetuoso e scortese. Perché non lasci andare la gente per i fatti suoi?» «Chi era?» gridò mio padre interrompendolo. «Una che ha il diritto di trovarsi qui. Non un’estranea. Cristina Brahe». Allora tornò quello strano silenzio e il bicchiere cominciò di nuovo a tremare. Mio padre si liberò con uno strappo e uscì bruscamente dalla sala.
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La cena si trascinò avanti come sempre, ed eravamo quasi alle frutta quando il mio sguardo fu attratto e subito preso da un movimento che avveniva in fondo alla stanza, nella semioscurità. A poco a poco, mi pare, si era aperta una porta sempre chiusa, di cui mi avevano detto che dava nell’ammezzato; e ora, mentre io guardavo con un sentimento affatto nuovo di curiosità e di angoscia, era apparsa nel buio del vano una svelta figura di donna, vestita di bianco, che veniva lentamente verso di noi.
Non so se mi mossi o se fiatai; il rumore di una sedia rovesciata mi costrinse a staccare lo sguardo da quella strana figura e vidi mio padre che si era alzato in piedi e, pallidissimo, con i pugni contratti, si muoveva verso la donna. Lei intanto si avvicinava a noi, passo passo, affatto estranea a questa scena, e non era lontana dal posto del conte quando il vecchio si alzò di colpo, prese mio padre per un braccio, lo ricondusse a tavola e ve lo tenne fermo, mentre la sconosciuta traversava la stanza ormai deserta e piena di un indescrivibile silenzio, in cui solo si sentiva il tintinnio di un bicchiere, per scomparire in una porta della parete opposta. In quel momento mi accorsi che il piccolo Erik chiudeva la porta dietro la sconosciuta con un profondo inchino.
Io ero il solo che fosse rimasto a tavola; mi sentivo così pesante sulla sedia che non credevo di potermi alzare mai più. Guardai per un poco senza vedere. Poi vidi mio padre e mi accorsi che il vecchio lo teneva sempre per un braccio. Il viso di mio padre era eccitato, gonfio di sangue, ma il nonno, le cui dita stringevano il braccio come bianchi artigli, ammiccava col suo sorriso di maschera. Sentii quello che diceva, sillaba per sillaba, senza
riuscire ad afferrare il senso delle sue parole. Pure penetrarono profondamente nel mio udito perché circa due anni fa le ritrovai un giorno nella memoria e da allora le so. Disse: «Sei impetuoso e scortese. Perché non lasci andare la gente per i fatti suoi?» «Chi era?» gridò mio padre interrompendolo. «Una che ha il diritto di trovarsi qui. Non un’estranea. Cristina Brahe». Allora tornò quello strano silenzio e il bicchiere cominciò di nuovo a tremare. Mio padre si liberò con uno strappo e uscì bruscamente dalla sala.
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