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1 agosto 2018

da “Sotto le ciglia chissà” - Fabrizio De Anrè

Vincent Van Gogh - Restaurant de la Sirène ad Asnières
da “Sotto le ciglia chissà” - Fabrizio De Anrè

Forse, più che agli chansonnier francesi in generale, io devo pagare tributo solo a Brassens. Brel non me lo sento molto vicino: era molto teatrale, non bastava ascoltarlo, bisognava vederlo. Poi ci sono i poeti maledetti francesi, di cui Cecco Angiolieri era un nonno. Loro sono la forma. Hanno rivoluzionato il modo di scrivere, hanno inventato tecniche nuove, come il surrealismo. Io parlo di tecniche, pur non conoscendo altro che le tecniche rudimentali. Se mi chiedi cos’è un giambo o un ditirambo, ti so rispondere, perché amo la letteratura greca, ma non sono in grado di usare molte tecniche. In effetti ci ho anche provato. Breton, che è il padre del surrealismo, insegnava di prendere una lettera, liberare la mente – che vuol dire disinibirsi – e poi da quella lettera, come nelle libere associazioni di Freud, scrivere quello che viene in mente. Ci ho provato, ma venivano fuori delle stronzate allucinanti. Però amo la ricerca dei termini, la scelta degli aggettivi; resto sempre abbagliato dalla bravura in questo senso di un Gesualdo Bufalino, per esempio. Credo che in ciascuno di noi ci sia un elemento di virtuosismo, di funambolismo verbale.

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