Sandro Botticelli - Pallade e il centauro. Tempera su tela. Galleria degli Uffizi, Firenze.
Le grazie, Inno terzo, vv 60,84 - Ugo Foscolo
E a me un avviso Eufrosine,
cantando,
porge, un avviso che da Febo un giorno
sotto le palme di Cirene apprese.
Innamorato, nel pierio fonte
guardò Tiresia giovinetto i fulvi
capei di Palla, liberi dall’elmo,
coprir le rosee disarmate spalle;
sentì l’aura celeste, e mirò l’onde
lambir a gara della Diva il piede,
e spruzzar riverenti e paurose
la sudata cervice e il casto petto,
che i lunghi crin discorrenti dal collo
coprian, siccome li moveano l’aure.
Ma né più rimirò dalle natìe
cime eliconie il cocchio aureo del Sole,
né per la coronèa selva di pioppi
guidò a’ ludi i garzoni, o alle carole
l’anfïonie fanciulle; e i capri e i cervi
tenean securi le beote valli,
chè non più il dardo suo dritto fischiava,
però che la divina ira di Palla
al cacciator col cenno onnipotente
avvinse i lumi di perpetua notte.
Tal destino è ne’ fati. Ahi! senza pianto
l’uomo non vede la beltà celeste.
porge, un avviso che da Febo un giorno
sotto le palme di Cirene apprese.
Innamorato, nel pierio fonte
guardò Tiresia giovinetto i fulvi
capei di Palla, liberi dall’elmo,
coprir le rosee disarmate spalle;
sentì l’aura celeste, e mirò l’onde
lambir a gara della Diva il piede,
e spruzzar riverenti e paurose
la sudata cervice e il casto petto,
che i lunghi crin discorrenti dal collo
coprian, siccome li moveano l’aure.
Ma né più rimirò dalle natìe
cime eliconie il cocchio aureo del Sole,
né per la coronèa selva di pioppi
guidò a’ ludi i garzoni, o alle carole
l’anfïonie fanciulle; e i capri e i cervi
tenean securi le beote valli,
chè non più il dardo suo dritto fischiava,
però che la divina ira di Palla
al cacciator col cenno onnipotente
avvinse i lumi di perpetua notte.
Tal destino è ne’ fati. Ahi! senza pianto
l’uomo non vede la beltà celeste.
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