dipinto di Eric Bowman
da “Gli amori difficili”. L'avventura di un fotografo, (1955) – Italo Calvino
(…)
Gli erano venute in
mente certe fotografie di donna ottocentesche, in cui dal bianco del cartoncino
emerge il viso il collo la linea delle spalle scoperte, e tutto il resto
svanisce nel bianco. Quello era il ritratto fuori dal tempo e dallo spazio che
ora lui voleva: non sapeva bene come si faceva ma era deciso a riuscirci.
Piazzò il riflettore addosso a Bice, avvicinò la macchina, armeggiò sotto il drappo
per regolare l'apertura dell'obiettivo. Guardò. Bice era nuda. Aveva fatto
scivolare il vestito fino ai piedi; sotto non aveva niente; aveva fatto un
passo avanti; no, un passo indietro che era come un avanzare tutta intera nel
quadro; stava dritta, alta davanti alla macchina, tranquilla, guardando davanti
a sé, come se fosse sola. Antonino sentì la vista di lei entrargli negli occhi
e occupare tutto il campo visivo, sottrarlo al flusso delle immagini casuali e
frammentarie, concentrare tempo e spazio in una forma finita. E come se questa
sorpresa della vista e l'impressionarsi della lastra fossero due riflessi
collegati tra loro, subito premette lo scatto, ricaricò la macchina, scattò,
mise un'altra lastra, scattò, continuò a cambiare lastra e scattare,
farfugliando, soffocato dal drappo: - Ecco, ora sì, così va bene, ecco, ancora,
così ti prendo bene, ancora.
Non aveva più lastre.
Uscì dal drappo. Era contento. Bice era davanti a lui, nuda, come aspettando.
- Adesso puoi
coprirti, - disse lui, euforico, ma già con fretta, - usciamo.
Lei lo guardò
smarrita.
- Ormai ti ho presa, -
disse lui.
Bice scoppiò a
piangere.
(…)
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