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11 ottobre 2018

Il matto e la Venere (da "Lo Spleen di Parigi") - Charles Baudelaire

Venere di Milo - Alessandro di Antiochia, 130 a.C., altezza cm 202. Museo del Louvre, Parigi
VII. Il matto e la Venere (da "Lo Spleen di Parigi") - Charles Baudelaire

Giornata meravigliosa! Il vasto parco si bea sotto lo sguardo ardente del sole, come la giovinezza sotto il dominio dell'Amore.
L'estasi universale delle cose non si esprime in nessun rumore. Anche le acque sono come addormentate. Quest'orgia silenziosa è ben diversa dalle feste umane.
Si direbbe che una luce crescente faccia scintillare sempre di più gli oggetti; che i fiori, eccitati, brucino dal desiderio di competere con l'azzurro del cielo nell'energia dei loro colori, e che il caldo, rendendo visibili i profumi, li faccia salire come vapore verso l'astro diurno.
Eppure, in questo godimento universale, ho scorto un essere afflitto.
Ai piedi di una Venere colossale, uno di quei pazzi artificiali, uno di quei buffoni volontari  incaricati  di  far  ridere  i  re  quando  i  Rimorsi  o  la  Noia  li  assillano,  tutto agghindato nel suo costume sgargiante e ridicolo, con in testa corni e sonagli,  curvo e inginocchiato contro il piedistallo, alza gli occhi pieni di lacrime verso la Dea immortale.
E i suoi occhi dicono: - «Sono il più solo, sono l'ultimo degli umani, privo di amore e di amicizia, e perciò molto più in basso del più imperfetto degli animali. Eppure anch'io sono fatto per comprendere e sentire la Bellezza immortale. Ah, Dea! Abbi pietà della mia tristezza e del mio delirio!».
Ma l'implacabile Venere guarda lontano non so che cosa con i suoi occhi di marmo.

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