dipinto di Victor Bauer
da “Gli amori difficili”. L'avventura di un lettore, (1958) – Italo Calvino
La strada litoranea, sul capo, passava alta; il mare era laggiù a
strapiombo e dappertutto intorno, fino all'orizzonte alto e sfumato.
Anche il sole era dappertutto, come se il cielo e il mare fossero due
lenti che lo ingrandivano. Là sotto, contro i frastagli irregolari degli
scogli del capo, l'acqua calma batteva senza spuma.
Amedeo Oliva scese una rampa di ripidi gradini con la bicicletta in
spalla, e la lasciò in un posto all'ombra, dopo aver fatto scattare la
serratura antifurto. Continuò a scendere la scaletta tra frane di terra
gialla e secca ed agavi sospese nel vuoto, e già cercava con lo sguardo
la più comoda piega dello scoglio dove si sarebbe sdraiato. Aveva sotto
il braccio un asciugamano arrotolato, e, in mezzo all'asciugamano, le
mutandine da bagno e un libro.
Il capo era un luogo solitario: pochi gruppi di bagnanti si tuffavano o prendevano il sole nascosti gli uni agli altri dalle anfrattuosità del luogo. Fra due massi che lo riparavano alla vista, Amedeo si spogliò, indossò le mutandine, poi prese a saltare dalla cresta di uno scoglio all'altra. Attraversò così, a balzi delle sue gambe magre, metà della scogliera, talora volando quasi sopra il naso di seminascoste coppie di bagnanti sdraiati su lenzuoli di spugna. Oltrepassato un massiccio di pietra arenosa, dalla superficie porosa e accidentata, cominciavano scogli lisci, dai contorni smussati; Amedeo si tolse i sandali, li prese in mano e continuò a correre a piedi nudi, con la sicurezza di chi ha occhio per le distanze tra roccia e roccia e una pianta dei piedi che non patisce nulla. Giunse in un punto a strapiombo sul mare; la parete era traversata a metà altezza da una specie di gradino. Lì Amedeo si fermò. Su di una sporgenza piana stese i suoi capi di vestiario, piegati per bene, e sopra posò, a suola in su, i sandali, perché un colpo di vento non avesse a portar via tutto (in realtà tirava appena una bava d'aria, dal mare, ma quello doveva essere un suo gesto di precauzione abituale). Un sacchettino che aveva con sé era un cuscino di gomma; ci soffiò dentro finché non fu gonfio, lo posò in un punto, e di lì in giù, in un tratto lievemente in discesa di quel bordo di roccia, stese l'asciugamano. Ci si buttò sopra supino, e già con le mani apriva il libro al segno. Così rimase lungo disteso sulla roccia, in quel sole che riverberava da tutte le parti, a pelle asciutta (aveva un'abbronzatura opaca, irregolare, come chi prende il sole senza metodo, ma è refrattario alle scottature), posò sul cuscino di gomma il capo calzato d'un berrettino bianco di tela, bagnato (ecco: era anche sceso su uno scoglio basso a tuffare nell'acqua il berrettino), immobile, con solo gli occhi (invisibili dietro gli occhiali scuri) che inseguivano per le righe bianche e nere il cavallo di Fabrizio del Dongo. Sotto di lui s'apriva una piccola cala d'acqua verdazzurra, trasparente fin quasi al fondo. Gli scogli, a seconda dell'esposizione, erano bianchi calcinati o ricoperti d'alghe. Una spiaggetta di ciottoli era in fondo. Amedeo ogni tanto levava gli occhi a quella vista circostante, li posava su un luccichio della superficie e sulla corsa obliqua d'un granchio; poi tornava assorto sulla pagina dove Raskolnikov contava i gradini che lo separavano dalla porta della vecchia o Lucien de Rubempré prima d'infilare il capo nel nodo scorsoio contemplava le torri e i tetti della Conciergerie.
Il capo era un luogo solitario: pochi gruppi di bagnanti si tuffavano o prendevano il sole nascosti gli uni agli altri dalle anfrattuosità del luogo. Fra due massi che lo riparavano alla vista, Amedeo si spogliò, indossò le mutandine, poi prese a saltare dalla cresta di uno scoglio all'altra. Attraversò così, a balzi delle sue gambe magre, metà della scogliera, talora volando quasi sopra il naso di seminascoste coppie di bagnanti sdraiati su lenzuoli di spugna. Oltrepassato un massiccio di pietra arenosa, dalla superficie porosa e accidentata, cominciavano scogli lisci, dai contorni smussati; Amedeo si tolse i sandali, li prese in mano e continuò a correre a piedi nudi, con la sicurezza di chi ha occhio per le distanze tra roccia e roccia e una pianta dei piedi che non patisce nulla. Giunse in un punto a strapiombo sul mare; la parete era traversata a metà altezza da una specie di gradino. Lì Amedeo si fermò. Su di una sporgenza piana stese i suoi capi di vestiario, piegati per bene, e sopra posò, a suola in su, i sandali, perché un colpo di vento non avesse a portar via tutto (in realtà tirava appena una bava d'aria, dal mare, ma quello doveva essere un suo gesto di precauzione abituale). Un sacchettino che aveva con sé era un cuscino di gomma; ci soffiò dentro finché non fu gonfio, lo posò in un punto, e di lì in giù, in un tratto lievemente in discesa di quel bordo di roccia, stese l'asciugamano. Ci si buttò sopra supino, e già con le mani apriva il libro al segno. Così rimase lungo disteso sulla roccia, in quel sole che riverberava da tutte le parti, a pelle asciutta (aveva un'abbronzatura opaca, irregolare, come chi prende il sole senza metodo, ma è refrattario alle scottature), posò sul cuscino di gomma il capo calzato d'un berrettino bianco di tela, bagnato (ecco: era anche sceso su uno scoglio basso a tuffare nell'acqua il berrettino), immobile, con solo gli occhi (invisibili dietro gli occhiali scuri) che inseguivano per le righe bianche e nere il cavallo di Fabrizio del Dongo. Sotto di lui s'apriva una piccola cala d'acqua verdazzurra, trasparente fin quasi al fondo. Gli scogli, a seconda dell'esposizione, erano bianchi calcinati o ricoperti d'alghe. Una spiaggetta di ciottoli era in fondo. Amedeo ogni tanto levava gli occhi a quella vista circostante, li posava su un luccichio della superficie e sulla corsa obliqua d'un granchio; poi tornava assorto sulla pagina dove Raskolnikov contava i gradini che lo separavano dalla porta della vecchia o Lucien de Rubempré prima d'infilare il capo nel nodo scorsoio contemplava le torri e i tetti della Conciergerie.
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