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10 novembre 2018

da “Il figlio maschio” – Giuseppina Torregrossa

Domenico Gnoli - Wrist Watch, 1969
da “Il figlio maschio” – Giuseppina Torregrossa

Da alcuni mesi Filippo Ciuni era sempre fuori e, anche quando si trovava in città, girava come una strummula tra banche e assessorati. La libreria era stata aperta da poco e già non gli bastava più. Si era messo allora a cercare finanziamenti e appoggi politici per realizzare il suo nuovo progetto. Perciò la domenica se ne stava a letto fino a tardi, per recuperare le forze. Tra le lenzuola profumate rileggeva gli appunti, verificava i conti e stilava preventivi. Ma quella mattina la sorella aveva tanto insistito perché la raggiungesse, aveva una sorpresa. Così, contrariamente alle abitudini, lui si era alzato presto ed era andato dritto al negozio.
Trovò la porta aperta e il personale che lo aspettava schierato all’ingresso in un’unica fila.
«Buongiorno dottore.»
«Buongiorno ragazze.»
L’uomo squadrò le commesse: erano davvero graziose nei loro grembiuli di raso nero. Alcune, le più sfrontate, ricambiarono il suo sguardo con un sorriso aperto. Le più timide tennero il collo piegato da un lato e gli occhi bassi. Mancava all’appello solo la ragioniera.
«Dov’è Anna?» domandò Filippo meravigliato. Tra le sue impiegate era la più solerte e non aveva mai fatto un giorno di assenza. Guardò l’orologio: erano solo le otto del mattino, forse sarebbe arrivata più tardi.
Concettina fece finta di non aver sentito. «Da dove vuoi cominciare?» chiese.
«Da dove dici tu, tanto ormai della libreria ne sai molto più di me.»
Lo trascinò in sala lettura. Aveva lavorato come un mulo per allestire in pochi giorni quel nuovo reparto, non sia mai che gli affari ne avessero a patire. «Guarda!» In cima agli scaffali, in lettere cubitali, il motto caro a Mussolini: LIBRO E MOSCHETTO, FASCISTA PERFETTO. Sotto, ben allineati, una nutrita schiera di volumi graditi al regime.
Filippo fece scorrere le dita bianche lungo i dorsi variopinti. «Bene, brava» si complimentò. Anche i mobili erano stati tirati a lucido e lui ne approfittò per specchiarsi, era così vanitoso! Sul tavolo centrale c’era un grosso mazzo di sterlizie: «Concettina, pure i fiori! Un vero tocco di raffinatezza!».
La ragazza agitò il suo corpo, scodinzolando come fanno i cani quando sono felici. Lui le accarezzò i capelli, poi sbadigliando allungò le braccia verso l’alto.
«Ti ci vuole un caffè.»
Era così premurosa sua sorella, riusciva a cogliere ogni bisogno, a soddisfare ogni desiderio.
«Andiamo a prenderlo al mezzanino» le disse.
Si avviarono una dietro l’altro su per le scale, erano così buffi. Avevano entrambi un grosso sedere che, come animato di vita propria, a ogni passo faceva capolino dagli abiti. I fianchi a pera connotavano in modo inequivocabile tutta la famiglia Ciuni, ma se nelle donne rappresentavano un indiscutibile pregio, ché la larghezza del bacino suggerisce fertilità, per i maschi poteva trattarsi di una intollerabile carenza di virilità. Quella forma ginoide faceva soffrire Filippo, che s’industriava a dissimularla con giacche un po’ più lunghe e con una doppia imbottitura all’altezza delle spalle. Su consiglio del sarto aveva preso l’abitudine di tenerla slacciata, cosicché il tessuto scendeva un po’ discosto dal corpo e il difetto in questione rimaneva nell’ombra. I pantaloni poi li portava leggermente scivolati sotto il punto vita. Il cavallo si allungava di qualche centimetro sulle cosce, stimolando l’immaginazione femminile. Di lui si diceva con invidia che fosse un tipo “scecchigno” e non solo perché lavorava quanto un asino. In quei panni larghi, che lo avvolgevano con eleganza, il libraio ci stava come un re e incedeva con passo rotondo e sguardo altero, a volte danzando, altre marciando.
In sostanza Filippo era un uomo piacente, aveva un viso interessante, occhi vivaci, fronte alta, sguardo profondo. Le donne in generale lo adoravano e le sue commesse avevano per lui e per le sue bianche mani una vera e propria venerazione.
La sorella, forse gelosa, lo criticava: «Tutti questi trucchi per sembrare più bello!».
«È la moda di Parigi…» rispondeva lui sbuffando, quelle considerazioni lo annoiavano profondamente. «E poi la vanità non è certo un peccato, semmai una naturale inclinazione all’armonia.»

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