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27 novembre 2018

Il naufrago - Derek Walcott

                                                             scultura di Igor Mitoraj
Il naufrago - Derek Walcott

L’occhio affamato divora la marina per un tozzo
di vela.

L’orizzonte la percorre all’infinito.

L’azione nutre la frenesia. Io giaccio,
veleggiando l’ombra nervata di una palma,
temendo il moltiplicarsi delle mie impronte.

Sabbia che vola, esile come fumo,
annoiata, sposta le sue dune.
La risacca si stanca dei suoi castelli come un bambino.

La verde vite salata con gialle bignonie,
una rete, attraversa lenta il nulla.
Nulla: la rabbia di cui è piena la testa del flebotomo.

Piaceri di un vecchio:
mattino: contemplativa evacuazione, rimirando
la foglia secca, progetto di natura.

Al sole, le feci del cane
s’incrostano, sbiancano come corallo.
Finiamo nella terra, dalla terra siamo cominciati.
Nelle nostre viscere, genesi.

Se ascolto posso udire il polipo al lavoro,
il silenzio infranto da due onde del mare.
Schiacciando un pidocchio marino, faccio schiantare il tuono.

Come un Dio, annullando la divinità, l’arte
e l’Io, abbandono
morte metafore: il cuore simile a foglia di mandorlo,

il cervello maturo che marcisce come una noce gialla
covando
la sua babele di pidocchi marini, flebotomi e bruchi,

quel vangelo della bottiglia verde, soffocato di sabbia,
con l’etichetta, una nave affondata,
serranti legni marini inchiodati e bianchi come la mano di un uomo.

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