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28 febbraio 2019

da "La guerra di Piero" - Fabrizio De André

Vignetta di Mauro Biani per "il manifesto"
 da "La guerra di Piero" - Fabrizio De André
 
Sparagli Piero, sparagli ora
E dopo un colpo sparagli ancora
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere in terra a coprire il suo sangue
E se gli spari in fronte o nel cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore
E mentre gli usi questa premura
Quello si volta, ti vede e ha paura
Ed imbracciata l'artiglieria
Non ti ricambia la cortesia
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che il tempo non ti sarebbe bastato
A chiedere perdono per ogni peccato

27 febbraio 2019

Omaggio a Majakovskij - Pablo Neruda

Illustrazione per 'Per la voce' di Vladimir Majakovskij
Omaggio a Majakovskij - Pablo Neruda 

…sono amico appassionato delle discussioni letterarie. la poesia è il mio elemento. per quanto sia difficile parlare di m. senza discuterlo e per quanto il grande poeta volasse nella discussione (perché nel regno della poesia ci sono un po’ tutte le piume) come un’aquila in cielo voglio parlare di m. con amore e semplicità…. m. è il primo poeta che fa entrare il partito e il proletariato attivo nella poesia e fa di questi fattori alta materia poetica. questa è una rivoluzione trascendentale…. con ciò non voglio dire che l’apporto di m. non è dogmatico ma poetico. m. fa circolare dentro la poesia i duri temi della lotta …e questi argomenti fioriscono nella sua parola si trasformano in armi prodigiose. in gigli rossi. …ma m. ha un fuoco proprio che non può estinguersi… ho la sensazione che avesse ancora molto da dire creare e cantare. m. è un poeta di una vitalità verbale che arriva all’insolenza. prodigiosamente dotato fa appello a tutti gli ardimenti a tutte le risorse del virtuoso. la sua poesia è un catalogo di immagini repentine che rimangono brillanti con tracce fosforescenti. la sua poesia è a tratti insultante. è un essere violento e dolce organicamente figlio e padre della sua poesia. a ciò si aggiungono le sue capacità satiriche. … m. continua ad essere per me un poeta impressionante come una torre. è impossibile non vederlo da qualsiasi parte della nostra terra. si distinguono la testa le mani e i pied di questo gigantesco ragazzo. scrisse con tutto. con la testa con le mani col corpo. scrisse con intelligenza con saggezza di artigiano con violenza di soldato nella battaglia. ..mi inchino davanti alla figura e alla poesia… lui avrebbe cantato come nessun altro …
omaggio a m. - pechino – agosto 1957 da pablo neruda – per nascere son nato – 2004

La guerra delle campane – Gianni Rodari

opera di Uberto Bonetti
La guerra delle campane – Gianni Rodari

C'era una volta una guerra, una grande e terribile guerra, che faceva morire molti soldati da una parte e dall'altra. Noi stavamo di qua e i nostri nemici stavano di là, e ci sparavamo addosso giorno e notte, ma la guerra era tanto lunga che a un certo punto ci venne a mancare il bronzo per i cannoni, non avevamo più ferro per le baionette, eccetera.
Il nostro comandante, lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone, ordinò di tirar giù tutte le campane dai campanili e di fonderle tutte insieme per fabbricare un grossissimo cannone: uno solo, ma grosso abbastanza da vincere tutta la guerra con un sol colpo.
A sollevare quel cannone ci vollero centomila gru; per trasportarlo al fronte ci vollero novantasette treni. Lo Stragenerale si fregava le mani per la contentezza e diceva: - Quando il mio cannone sparerà i nemici scapperanno fin sulla luna.
Ecco il gran momento. Il cannonissimo era puntato sui nemici. Noi ci eravamo riempiti le orecchie di ovatta, perché il frastuono poteva romperci i timpani e la tromba di Eustachio.
Lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone ordinò: - Fuoco!
Un artigliere premette un pulsante. E d'improvviso, da un capo all'altro del fronte, si udì un gigantesco scampanio: - Din! Don! Dan!
Noi ci levammo l'ovatta dalle orecchie per sentir meglio.
- Din! Don! Dan! - tuonava il cannonissimo. E centomila echi ripetevano per monti e per valli: - Din! Don! Dan!
- Fuoco! - gridò lo Stragenerale per la seconda volta: - Fuoco, perbacco!
L'artigliere premette nuovamente il pulsante e di nuovo un festoso concerto di campane si diffuse di trincea in trincea. Pareva che suonassero insieme tutte le campane della nostra patria. Lo Stragenerale si strappava i capelli per la rabbia e continuò a strapparseli fin che gliene rimase uno solo.
Poi ci fu un momento di silenzio. Ed ecco che dall'altra parte del fronte, come per un segnale, rispose un allegro, assordante: - Din! Don! Dan!
Perché dovete sapere che anche il comandante dei nemici, il Mortesciallo Von Bombonen Sparonen Pestafrakasson, aveva avuto l'idea di fabbricare un cannonissimo con le campane del suo paese.
- Din! Dan! - tuonava adesso il nostro cannone.
- Don! - rispondeva quello dei nemici. E i soldati dei due eserciti balzavano dalle trincee, si correvano incontro, ballavano e gridavano: - Le campane, le campane! E festa! È scoppiata la pace!
Lo Stragenerale e il Mortesciallo salirono sulle loro automobili e corsero lontano, e consumarono tutta la benzina, ma il suono delle campane li inseguiva ancora.

Promosso più due – Gianni Rodari

Ugo Nespolo - Account, 1988, acrilico su tavola
Promosso più due – Gianni Rodari
- Aiuto, aiuto, - grida fuggendo un povero Dieci.
- Che c'è? Che ti succede?
- Ma non vedete? Sono inseguito da una Sottrazione. Se mi raggiunge sarà un disastro.
- Eh, via, addirittura un disastro...
Ecco, è fatta: la Sottrazione ha acchiappato il Dieci, gli balza addosso menando fendenti con la sua spada affilatissima. Il povero Dieci perde un dito, ne perde un altro. Per sua fortuna passa una macchina straniera lunga così, la Sottrazione si volta un momento a guardare se è il caso di accorciarla e il buon Dieci può svignarsela, scomparire in un portone. Ma intanto non è più un Dieci: è soltanto un Otto, e per giunta perde sangue dal naso.
- Poverino, che ti hanno fatto? Ti sei picchiato coi tuoi compagni, vero?
Misericordia, si salvi chi può: la vocina è dolce e compassionevole, ma la sua proprietaria è la Divisione in persona. Lo sventurato Otto bisbiglia «buonasera», con un filo di voce, e cerca di riguadagnare la strada, ma la Divisione è più svelta, e con un solo colpo di forbici, zac, ne fa due pezzi: Quattro e Quattro. Uno se lo mette in tasca, l'altro ne approfitta per scappare, torna in strada di corsa, salta su un tram.
- Un momento fa ero un Dieci, - piange, e adesso guardate qua! Un Quattro! Gli scolari si scansarono frettolosamente, non vogliono avere niente a che fare con lui. Il tranviere borbotta: - Certa gente dovrebbe avere almeno il buonsenso di andare a piedi.
- Ma non è colpa mia! – grida tra i singhiozzi l’ex Dieci.
- Sì, è colpa del gatto. Dicono tutti così.
Il Quattro scende alla prima fermata, rosso come una poltrona rossa.
Ahi, ne ha fatta un'altra delle sue: ha schiacciato i piedi a qualcuno.
- Scusi, scusi tanto, signora!
Ma la Signora non si è arrabbiata, anzi, sorride. Guarda, guarda, guarda, è nientemeno che la Moltiplicazione! Ha un cuore grosso così, lei, e non può sopportare la vista delle persone infelici: seduta stante moltiplica il Quattro per tre, ed ecco un magnifico Dodici, pronto per contare un'intera dozzina d'uova.
- Evviva, - grida il Dodici, - sono promosso! Promosso più due.

da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia

Roberto Marcello (Iras) Baldessari - Ritratto femminile (La maestra Dafne Gambetti)
da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia

Ma la lussuria dell'uomo sapeva non oltrepassare certi limiti; veder Carla abbandonarsi con gli occhi chiusi, bianca come la cera sul fondo cupo del divano, e pensare: "no... prenderla qui no... di là sì... qui è troppo scomodo," fu tutt'uno. Egli si risollevò, fece risollevare la fanciulla; per un istante stettero immobili, ansanti, senza parlare; la luce della lampada lasciava nell'ombra Leo, appoggiato sul fondo del divano, e illuminava Carla: ella era già tutt'altra dalla signorina di pochi minuti prima, aveva i capelli arruffati, una ciocca le pendeva davanti agli occhi, il volto era rosso, grave e turbato, una delle due bretelline del vestito durante l'abbraccio si era spezzata e pendeva in due lembi, uno sul petto e uno sull'omero, discoprendo la spalla bianca e nuda. Allora, mentre così assorta ella guardava davanti a sé, l'uomo osservò una cosa strana: qualche cosa molto simile a un cartiglio piegato in quattro riempiva l'incavo della veste tra i seni e ne tendeva la seta rossa con due o tre punte aguzze; egli sorrise, tese una mano e toccò l'oggetto: "E questo cos'è?" domandò senza alcuna intenzione, per pura curiosità. Carla voltò una faccia spaurita: "Cosa, questo?"
"Quel... pezzo di carta che tieni così gelosamente in seno" insistette Leo con un sorriso quasi paterno.
Ella abbassò la testa, si portò una mano al petto; non c'era dubbio, l'amante aveva ragione, qualche cosa che assomigliava molto ad un pezzo di carta stava nascosto lì, tra la camicia e la carne; solamente ella non si ricordava di avercelo messo né riusciva a capire che cosa fosse; alzò gli occhi, guardò sconcertata l'amante.
"Il posto dove tutte le bambine mettono i loro segreti" disse Leo, che l'idea di un tale nascondiglio inteneriva ed eccitava insieme; "vediamo, Carla, vediamolo questo tuo segreto." Tese la mano e fece il gesto d'introdurla sotto il vestito.

La canzone del mendicante d'amore - Filippo Tommaso Marinetti

Giacomo Balla - Baglior fuggente 1934 circa Olio su compensato, cm 91x65
La canzone del mendicante d'amore - Filippo Tommaso Marinetti

«Sii dolce, poiché il mio cuore
trema fra le tue dita... Sii dolce!...
L'Ombra è attenta a spiare le nostre ebbrezze, e il Silenzio
si china e ci accarezza
come una madre intenerita... Sii dolce!...
Per la prima volta adoro
l'anima mia perdutamente e l'ammiro
perché t'ama così, come una povera pazza!...
Adoro le mie labbra, poiché le mie labbra ti desiderano...
La mia anima è tua, la mia anima
è sì lontana ed azzurra da sembrarmi straniera!
Davanti a te si umilia, la mia anima,
qual pecora morente, e s'addormenta,
abbrividendo sotto i tuoi fragili piedi
come un prato che tutto s'inargenta
sotto i passi furtivi della luna...

da La canzone del mendicante d'amore - Filippo Tommaso Marinetti

Umberto Boccioni- Idolo moderno 1911
da La canzone del mendicante d'amore - Filippo Tommaso Marinetti

.... Poiché sono il mendicante affamato d'Ideale
che va lungo le spiagge
implorando baci e amore, per nutrirne il suo sogno!
Con cupidigia astiosa bramavo i gioielli del cielo
per abbellirne la tua nudità di regina...
e verso di te protendevo
i miei sguardi folli, insanguinati nell'ombra
come braccia scarnite di moribondo!...
Tutto parvemi ingigantito dall'ampiezza del sogno!
Campane rantolavano nel cielo
come bocche mostruose:
le bocche, forse, del Destino!... Campane
invisibili e selvagge
sembravano aprirsi su me, nel silenzio,
come abissi capovolti!...

da La canzone del mendicante d'amore - Filippo Tommaso Marinetti

Giacomo Balla - La sdegnosa1934 - Matita su carta 33x24
da La canzone del mendicante d'amore - Filippo Tommaso Marinetti

Poiché sono il mendicante che piange e si lamenta,
il mendicante affamato d'Ideale
che vien non si sa d'onde, e va lungo le spiagge
implorando amore e baci
per nutrirne il suo Sogno!...

I tuoi gesti assopenti e vellutati
ebbero il carezzevole languore
che hanno i remi sopra l'acque brune, a sera...
L'ora liquida e gemebonda s'increspò abbrividendo.
Le nostre voci caddero...
Ma la Lussuria, ahimè, ci spiava
frugando insidiosa nell'ombra...
la Lussuria ansimante lungo i muri strisciava!...

Voglio mostrarmi nuda ai tuoi occhi melodiosi - Joyce Mansour

dipinto di Alfredo Protti
Voglio mostrarmi nuda ai tuoi occhi melodiosi - Joyce Mansour

Voglio mostrarmi nuda ai tuoi occhi melodiosi
voglio che tu mi veda mentre urlo di piacere
che le mie membra piegate sotto un carico troppo pesante
ti spingano a gesti blasfemi
Che i capelli lisci della mia testa offerta
rimangano sospesi alle tue unghie ricurve di furore
Che ti tenga in piedi cieco e devoto
guardando dall' alto il mio corpo spiumato

da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia

Alfredo Protti, Sonnellino, 1931
da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia
Cercò con uno scrupolo puerile anche nei posti assurdi: nel paniere dei ricami, nella scatola della cipria... Non trovò nulla; sedette stupita e fiacca: che specie di scrittura era quella che scompariva
appena letta? La stessa favolosa irrealtà dei sogni metteva tra i suoi ricordi quell'impalpabile atmosfera che di certe parole e di certi atti rapidi e straordinari fa poi pensare: "Sono avvenuti oppure me li sono immaginati, sognati, fabbricati io?" Quella stretta di mano, quel pezzo di carta avevano interrotto per un solo istante difficilmente riconoscibile la continuità dell'abitudine; poi, tutto era tornato come prima; ora, nella sua confusione, Carla avrebbe voluto rivedere quella scrittura di Leo! quel che le mancava non era il ricordo seppure vago di aver ricevuto il biglietto, ma la conoscenza certa e nitida di quel che conteneva; ella l'aveva toccato, l'aveva visto e letto ma non aveva avuto il tempo di convincersene; ora ne dubitava.
E che cosa c'era scritto? proprio un'ora o più o meno? questa o la prossima notte? e non era ormai troppo tardi? e non pioveva troppo? e non sarebbe stato meglio coricarsi, dormire per ricominciare il giorno dopo la solita vita? Seduta, immobile, curva, il tempo la sorpassava; le pareva, a forza di dubbi, di spegnersi con le proprie mani, di suicidarsi.
Trasalì ai colpi acuti dell'orologio che suonava la mezzanotte; ebbe il primo pensiero pratico: "Andrò: se non ci sarà vuol dire che avrò sognato." Guardò il quadrante, calcolò che Leo doveva aspettarla già da un quarto d'ora; allora l'invase una fretta assurda: corse alla finestra, incollò il volto contro i vetri neri; per vedere se piovesse ancora: ascoltò, guardò: nulla; la notte non voleva rivelarsi e alle sue spalle la stanza con una fatalità ironica le opponeva le sue bianche illusioni e l'indifferente luce della lampada. "Pioggia o non pioggia" pensò in furia, "mettiamoci l'impermeabile." Corse all'armadio, ne trasse l'incerato, lo indossò davanti allo specchio; poi si curvò, strinse le giarrettiere allentate; volle anche incipriarsi, passarsi un po' di rossetto sulle labbra, pettinarsi; si mise un cappello qualsiasi, male, sulla nuca: "come le ragazze americane" pensò vedendo la fronte rotonda e dei riccioli scappar fuori dalla falda stretta. Cercò, cercò:
"Quei maledetti guanti!" Non pensava più, viveva: una fretta meccanica aveva abolito in lei ogni umanità. Corse all'orologio con quella stessa frivola furia che tra i capelli, le calze, e i gesti delle sue braccia nude, preparandosi per qualche visita, le faceva gridare alla cameriera: "facciamo presto... è tardi... è tardi..." Lo guardò: "Già dieci minuti passati" pensò: " presto... presto." Aprì la porta e d'improvviso, trattenendo artificiosamente il suo impeto, uscì in punta di piedi nel
corridoio.

La tua Gerusalemme - Joyce Mansour

Alfredo Protti - La coperta Rossa, 1925
La tua Gerusalemme - Joyce Mansour

Nuoterò verso te
Attraverso lo spazio profondo
Sconfinato
Acida come un bocciolo di rosa
Ti troverò uomo senza freno
Magro sommerso dal fango
Santo dell’ultima ora
E tu farai di me il tuo letto e il tuo pane

Ti amo bambina - Cesare Pavese

Antonio Donghi - Ritratto di Maria Pia, 1929
Ti amo bambina - Cesare Pavese

Ti amo bambina,
di una febbre sensuale
che mi rugge nel sangue
quando dal primo bacio,
carezzevole sulla guancia fresca,
ti passo sulle labbra,
le serro nelle mie
e ti lambisco la lingua
umida di amore,
libidinosamente,
e scontro i denti forti
nitidi nei miei denti,
e tutti e due mordiamo,
suggiamo senza posa
e una mia mano timida
dalla tua gola fresca
ti scivola sul petto
e si contragge e stringe sopra un seno,
piccolo, cedevole,
molle di amore
come la tua bocca è bagnata.
O quando lontano da te
dinanzi al tuo ritratto
mi struggo a contemplare
dove di tra lo scialle
il tuo corpo è nascosto,
ma s'indovina nitido
e in basso tra le frange,
appaiono accavallate
le belle gambe nervose,
ma molli come i seni,
e le lunghe fila nere s'indugiano
in perfide ambagi
sulle ginocchia
sulle cosce strette...
in questa sera trepidante di speranza -
che si perdeva in sogno a contemplare
i tuoi capelli lievi,
il tuo viso distrutto
dal segreto soffrire,
i tuoi grandi occhi spalancati
vigili sul dolore
- ma come tutto questo è stanco e pallido! -
Mi tenta questa sera
una gioia più forte,
una speranza più ardente,
che mi freme nel cuore
al pensiero sensuale di te.
Eppure tu eri bella
in quel sogno lontano,
in quell'ardore triste,
e ancora mi riafferri,
tentatrice, così.
Oh potere divino
di confondere in te
le due gioie diverse
e lambirti d'amore
in un'oscurità piena di luce,
che mi lasci negli occhi
il tuo sogno e il tuo pianto,
ma mi bruci e mi scuoti le membra
sussultanti,
strette contro le tue membra
frementi,
in un delirio d'anima e di sangue.
Questo, bambina,
Non ti fa paura?

La giovane guardia – Vladimir Majakovskij

opera di Kazimir Severinovič Malevič
La giovane guardia – Vladimir Majakovskij

Compito della terra
è girare.
Scorrere
è compito delle acque.
Compito
della giovane guardia
è la corsa
il galoppo
in avanti.
La vita al piccolo trotto
è vecchia per noi.
Di corsa
sotto la bandiera scarlatta!
Con l’ariete
di milioni di komsomol,
avanti!
Ma anche questo non basta.
In massa,
lungo gli scaffali di libri,
per passare
anche sulle lettere dell’alfabeto!
Semineremo
e mieteremo
il pensiero.
Avanti!
Ma anche questo non basta.
Attraverso la più alta
delle alture,
slanciati come un’ondata all’attacco!
Agita
di sentimenti
nuovi
il pensiero!
Ma anche questo non basta.
Come un tappeto
solleva l’universo!
Scuoti via
le tarme
dal mondo!
Ordina
di volare
più a sinistra
a tutta
la mole rigida
del mondo!

1923

da Critica dell'autocritica – Vladimir Majakovskij

opera di Kazimir Severinovič Malevič
da Critica dell'autocritica – Vladimir Majakovskij

(...)
E il corrispondente operaio?
Eccolo là,
guardatelo!
tutto abbacchiato
e guarda storto:
autocritiche
simili
gli fanno scricchiolare
la collottola.
Le grandi mani inoperose
inutilmente
si ficca
in tasca.
E' stato messo
a tacere,
strigliato,
strizzato
e sistemato.
Una lava di frasi,
da non uscirne fuori.
Chi a stento,
chi di slancio,
ognuno,
a cavallo
dello slogan di moda
si autocritica.

(...)

da La raccomandazione – Vladimir Majakovskij

opera di Kazimir Severinovič Malevič
da La raccomandazione – Vladimir Majakovskij
(...)
2.
Il placido Michin
andrà dalla portiera.
«Vi prego umilmente
d'intercedere presso vostro marito».
Costui picchierà
dalla zia protettrice.
Zia Felitsia
bisbiglierà alla milizia.
L'economo Ovecko
dirà una paroletta.
E l'usciere-capo,
un da Vinci di viso,
tutto barba,
come un quadro incorniciato,
andrà
direttamente
dalla mamma della dattilografa.
La figlia
farà pubblicità
alla richiesta:
occhietti e carezze
carezze e occhietti...
Chi non sarebbe preso in tale rete!
Come potrà scamparla il povero autista?
Petrov pazienterà,
fino a che
come il sole
il viso del pezzo grosso si farà primaverile:
«Perdonate, compagno,
scusatemi tanto..».
E chiede
e prega, più tenero d'un daino.
Il funzionario accondiscende:
«Eccovi un biglietto».
E nel biglietto
il compimento di tutti i desideri.

(...)

da “Il racconto dell’ancella” – Margaret Atwood

Kazimir Severinovič Malevič - Paesaggio estivo
da “Il racconto dell’ancella” – Margaret Atwood

Una volta anch'io avevo un giardino. Ricordo l'odore della terra smossa, il senso di pienezza che davano le forme tonde dei bulbi chiusi nella mano, il fruscio secco dei semi tra le dita. Il tempo passava più in fretta in giardino. Talvolta la Moglie del Comandante fa portar fuori una sedia e si siede nel suo giardino.
La scena, vista da lontano, ha un'aria di pace.
Lei adesso non c'è, e comincio a chiedermi dove sia: non mi piace im-battermi inaspettatamente nella Moglie del Comandante. Forse sta cucen-do, in salotto, col piede sinistro su uno sgabello, a causa della sua artrite. O lavorando a maglia delle sciarpe per gli Angeli che sono al fronte. Stento a credere che gli Angeli abbiano bisogno di simili sciarpe; comunque, quelle fatte dalla Moglie del Comandante sono troppo elaborate. Non segue il di-segno a croci e stelle usato da molte altre Mogli, ma non per polemica. Alberi di abete sfilano lungo i bordi delle sue sciarpe, oppure aquile, o rigide figure di umanoidi, un ragazzo e una ragazza. Non sono sciarpe per adulti ma per bambini.

Fiaba su un cappuccetto rosso – Vladimir Majakovskij

opera di Kazimir Severinovič Malevič
Fiaba su un cappuccetto rosso – Vladimir Majakovskij

C'era una volta al mondo un cadetto
che portava un rosso cappuccetto.
Fuor del cappuccetto che gli era toccato,
da nessun tratto rosso era segnato.
D'una rivoluzione gli vien detto
e lui subito s'infila il cappuccetto.
Se l'erano spassata l'un dopo l'altro
il padre del cadetto e l'avo scaltro.
Un grandissimo vento si levò
e il cappuccetto in pezzi lacerò
Diventò nero. Ma appena lo videro
i lupi della rivoluzione l'azzannarono.
Tutti conoscono i gusti lupini.
Lo divorarono con tutti i polsini
Quando, ragazzi, politica farete
la fiaba del cadetto non scordate.

Non ti dispiaccia - Alda Merini

Lucas cranach il vecchio - Salomè, dettaglio.
Non ti dispiaccia - Alda Merini

Non ti dispiaccia che parli il tuo nome;
non ti dispiaccia che io porti pietra
e che con essa tutta mi ragioni,
io sono nell’inferno e ora faretra
reggo d’amore ed ora sinfonia;
fa’ che io per te nel canto non m’arretra
ma colpirmi di sì dolce armonia
che al sol si sciolga questa triste pietra
che alla morte mi porta e mi ci avvia.

da La canzone del mendicante d'amore - Filippo Tommaso Marinetti

dipinto di Steve Hanks
La canzone del mendicante d'amore - Filippo Tommaso Marinetti

Sentii che il volto mi s'infocava
come un castello incendiato, che il nemico saccheggia.
Ti parlavo, e i miei pensieri stravolti
si riflettevan lontani e vaporosi
nella tranquilla acqua del tuo viso!...
Tu volesti rispondermi, ma non sapesti che dire.
Mi domandasti le mie angosce, i miei timori,
poiché mi vedevi tremar sulla soglia
come trema un colpevole...
Ed io simile ero ai vagabondi feriti
che vanno rantolando
di porta in porta, in cerca di rifugio,
tra i pugni alzati delle folle implacabili!...
Mi parlasti di cose indifferenti!... Domandasti
della mia vita passata, della mia patria lontana...
Volesti sapere il mio nome
e tutto ciò che si suol domandare
ai viaggiatori stanchi, beventi alle fontane,
la sera,
quando tutto si fa nero...
Poiché sono il mendicante affamato d'Ideale
che vien non si sa d'onde,
e va lungo le spiagge...
implorando amore e baci, per nutrirne il suo Sogno!...

Non ho bisogno di te – Vladimir Majakovskij

dipinto di Steve Hanks
Non ho bisogno di te – Vladimir Majakovskij

Non ho bisogno di te.
Tanto lo so
tra breve creperò,
se davvero tu esisti
o Dio
o mio Dio
se fossi tu a tessere il tappeto stellato
se questo tormento ogni giorno moltiplicato
è per me un tuo esperimento
indossa la toga curiale.
La mia visita attendi
sarò puntuale
non tarderò ventiquattr'ore.
Ascoltami
altissimo inquisitore!

Altro da me in tutto... - Armanda Guiducci

Robert Lefevre - Pauline Bonaparte, dettaglio
Altro da me in tutto... - Armanda Guiducci

Altro da me in tutto...
maschio, estraneo,
altra carne, altro cuore, altra mente,
pure, il mio stesso corpo prolungato,
la voce che si sdoppia,
e mi continua:
ciò che si oppone,
e ciò che mi compone
come un discorso teso,
mai concluso,
o l’altro occhio: il raggio che converge
al rilievo, allo scatto delle cose,
mio necessario opposto,
crudele meraviglia è amare te:
godere di due vite in questa sola,
avere doppia morte.

Due - Ireneusz Iredyńsk

dipinto di Steve Hanks
Due - Ireneusz Iredyńsk

Ecco noi due indifesi nel toccarci
nelle grotte dei pronomi incrostati santi
così rigidi nelle parole così audaci nei lombi
e le aureole pesanti come mercurio

A volte c’è un attimo vibrante di silenzio
dopo di esso non c’è il mercurio ma argento vivo
e gocce di sudore sui capezzoli ci pendono
siamo scossi dal silenzio come dalla febbre

E subito un’improvvisa paura perché vediamo l’attimo
in cui nelle croste delle parole cercheremo qualcosa.

Bisogna difendersi con lo stile dello struzzo
e quindi stringersi E più non temere.

Coprimi, amore, il cielo della bocca - Rafael Alberti

dipinto di Steve Hanks
Coprimi, amore, il cielo della bocca - Rafael Alberti

Coprimi, amore, il cielo della bocca
con questa rapita spuma estrema,
che è gelsomino in corallo della roccia

Amore rendi folle il suo sapore,
il lancinante tuo supremo fiore,
in diadema piegando il suo furore
slabbrato dal garofano mordente.

Oh misurato fluire, amore, oh bel
gorgogliar temperato della neve
in tanto angusta grotta in carne viva,

per rimirar come il tuo fine collo
fa scivolare, amore, grande pioggia
di gelsomini e stelle di saliva.

Spogliati – Niza Qabbani

dipinto di Steve Hanks
Spogliati – Niza Qabbani

Spogliati
da lungo tempo
sulla terra non accadevano miracoli…
Spogliati, spogliati…
io ammutolisco
ma il tuo corpo conosce tutte le lingue.

Perché ti ho e non ti ho – Mario Benedetti

dipinto di Steve Hanks
Perché ti ho e non ti ho – Mario Benedetti

Perché ti ho e non ti ho
perché ti penso
perché la notte è qui ad occhi aperti
perché la notte passa e dico amore
perché sei qui a riprendere la tua immagine
e tu sei meglio di tutte le tue immagini
perché sei bella dai piedi fino all’anima
perché sei buona dall’anima fino a me
perché dolce ti nascondi nell’orgoglio
piccola e dolce

cuore corazza
perché sei mia
perché non sei mia
perché ti guardo e muoio
e peggio ancora muoio
se non ti guardo amore
se non ti guardo

perché tu esisti sempre ovunque
ma esisti meglio dove io ti voglio
e la tua bocca è sangue
e senti freddo
io devo amarti amore
ti devo amare
anche se la ferita fa male per due
anche se ti cerco e non ti trovo
e anche se
la notte passa e io ti ho
e non ti ho.

Ah se almeno potessi – Alda Merini

dipinto di Steve Hanks
Ah se almeno potessi – Alda Merini

Ah se almeno potessi,
suscitare l'amore
come pendio sicuro al mio destino!
E adagiare il respiro
fitto dentro le foglie
e ritogliere il senso alla natura!
O se solo potessi
corpo astrale del nostro viver solo
pur rimanendo pietra, inizio, sponda
tangibile agli dei
e violare i più chiusi paradisi
solo con la sostanza dell'affetto.

da La canzone del mendicante d'amore- Filippo Tommaso Marinetti

dipinto di Steve Hanks
da La canzone del mendicante d'amore- Filippo Tommaso Marinetti

Ti avevo vista una sera, tempo fa, non so dove,
e da allora ansioso aspettavo...
La Notte, gonfia di stelle e di profumi azzurrini,
su di me illanguidiva la sua nudità
abbagliante e convulsa d'amore!...
Perdutamente, la Notte
apriva le sue costellazioni
come vene palpitanti di porpora e d'oro,
e tutta la illuminante voluttà del suo sangue
colava pel vasto cielo....
Io stavo, ebbro, in attesa, sotto le tue finestre accese,
che fiammeggiavano, sole, nello spazio...
Immobile, aspettavo il prodigio supremo
del tuo amore e l'ineffabile
elemosina del tuo sguardo!...
(...)

Se io qualcosa – Vladimir Majakovskij

dipinto di Steve Hanks
Se io qualcosa – Vladimir Majakovskij

Se io qualcosa
ho scritto
se qualcosa
ho detto
è colpa
degli occhi di cielo
degli occhi
della mia amata.

La meccanica – Paolo Volponi

Mario Sironi, Il camion, 1920
La meccanica – Paolo Volponi

Non si possono più intra-
prendere viaggi, né sono pra-
ticabili percorsi di conoscenza;
non ci sono più luoghi di contra-
sti e di formazione, non la veemenza
dei maestri: la lingua stessa è tra-
mandata così come la scienza
è fi nita con una fi
ssione, tra-
dita la rivoluzione, l’esperienza
proibita, l’identità fi
ltra-
ta tra le norme e l’assenza
dei personaggi; ma non mai tra-
scorse infanzia e adolescenza
e solo concesso tra-
passo la stretta deferenza
alla ripetizione, tra-
gico il passato, dubbia la presenza
proprio perché costante si tra-
duce in dovere, in obbedienza;
eppure
muto il mondo tra-
nsita bruciando, e senza
luce ed il suo polo attra-
cca sulla morbida desinenza
dell’ansia, cupida e distra-
tta, inevitabile essenza,
dello spirito civile astra-
tta cecità, disparità, clemenza
messa a recitare tra-
gedie borghesi, l’apparenza
dei ruoli, la carriera e la tra-
ma come conoscenza
del vero, norma, società: tra¬
smessa con l’unica frequenza
ammessa: nucleo, entra¬-
ta, tempo, ora, coerenza
con il nuovo, immobile tra
il passato remoto e l’immanenza
operativa; autorevole, stra¬-
potente spinta e intelligenza
aziendale,
tecnica e stra¬-
tegica, tattica preveggenza
dei valori, mezzi, stra-
ordinaria impresa, urgenza
di materiali, capi d’incontra¬
stata fede e competenza,
capaci di comandare a oltra-
nza pur nella dura vertenza
politica, sociale e amministra-
tiva nonché nell’emergenza
sindacale
e interna, intra-
strutturale e comune; o sola demenza
individuale, rivolta, tra-
sgressione, totale impazienza
quasi animale, ossessa, tra¬-
scendente il luogo, peso, sofferenza
indennizzata, descritta, contra¬-
ttata con apposita norma e sequenza
tra male, cottimo e stra-
ordinari con salariale incidenza
prevista,
pur con scaltra
formula, e dentro la convenienza
voluta, l’una e l’altra
ambigue, incerte, non di quiescenza
inderogabile, continua, tetra
concessione, comoda indulgenza
per chi lavora: esce entra
dai fumi, getti, effervescenza
venefi ca di acidi, astra-
le temperatura, aspra coincidenza
di tagli e bagni, vasche, tra¬-
vi mobili e fi ssa rapida pendenza
dei supporti, scura, tra-
ballante base dell’intermittenza
tranciante, pressa, tornio tra¬-
pano automatici, sfridi e sporgenza
di lama, punte, pietra;
letale sorte per l’eccedenza
di minerali, oli, intra-
sportabile polvere e per la resistenza
tecnica del giunto di tra¬-
smissione - e lì non c’è prescienza,
mestiere, voglia, extra-
categoria, dalla contingenza
distinta, anziana, intra-
ppolata da anni di schede e dipendenza,
posti, controlli, tra¬-
sparenza politica e aderenza
al sistema e non intra¬-
ttabile ostilità e cupa insofferenza
della legge, vita, quartieri, tra¬-
sporti pendolari, detta coesistenza
civile...
eppure talvolta accade che tra
questi muti volti dell’obbedienza capiti uno che insorga e stra-
volga ogni senso della sua stessa esistenza
e di quella generale, civile, che tra-
passa ogni singola coscienza.

Amore - Vladimir Majakovskij

Illustrazione per 'Per la voce' di Vladimir Majakovskij
Amore - Vladimir Majakovskij

Di nuovo
il mondo
è ricoperto di fiori
e ha l’aspetto
della primavera.
Di nuovo
si pone
una questione irrisolta:
le donne
l’amore.
Amiamo le parate
e le belle canzoni.
Parliamo bene,
andando al comizio.
Ma spesso,
dietro a ciò,
ricoperto di muffa,
c’è l’antico tran-tran quotidiano.
Canta alla riunione:
“Avanti, compagni…”.
Ma a casa,
dimentico dell’assolo,
urla contro la moglie,
che i cavoli non sono
al primo brodo
e i cetrioli
sono salati male.
Vive con un’altra,
larga come un chiosco,
ma che ha la biancheria
d’una diva di cafè-chantant.
Però rimprovera alla moglie
le calze sottili:
“Mi comprometti
davanti al collettivo”.
E va appresso a ognuna,
purché abbia la sottana.
Cambia
cinque donne
nel giro d’una giornata.
Da noi, dice,
c’è libertà,
non c’è monogamia.
Abbasso il filisteismo
e i pregiudizi!
Si agita,
vola
e svolazza
di fiore
in fiore,
come un farfallino.
L’unico male
al mondo
gli pare
colei
che ha diritto agli alimenti.
Preferisce morire,
pur di risparmiare un terzo,
preferisce far causa
magari per tre anni:
io, dice, non sono io,
e lei non è stata mia,
e, in generale,
io sono un castrato.
Ma se poi t’ama,
allora sii fedele
come una monachella;
geloso
tiranneggia
per ogni inezia
e l’amore
col calibro della pistola
misura,
cacciando
un proiettile nella nuca
all’infedele.
Un quarto,
eroe di decine di battaglie,
fugge spaventato,
che è u piacere guardarlo,
la pantofola della moglie,
una semplice
pantofola del Mostorg.
Ma un altro
punta altrimenti
il dardo dell’amore,
confonde
– è talmente infantile –
la pesca dell’amata
nelle romantiche reti
con la promozione
d’una dipendente secondo il tariffario…
Ma anche dal lato delle donne
non è per voi un paradiso.
Una signorina
ha accalappiato
un ragazzotto ingenuo.
Lui lavora,
ma lei,
non c’è verso di tenerla:
corre
dietro la svasatura
dei calzoni
d’ogni passante.
Ebbene,
siedi
e sciogliti
in pianto come un Nilo.
Ma ti pare!
Fidanzato!
E per chi, miei cari, dovrei sposarmi?
Per me stesso
o per loro?
I genitori
hanno anche figli di tal sorta:
“Che genitori?
Noi
non siamo peggio!”
S’occupano
dell’amore come d’uno sport,
ma non hanno tempo
d’iscriversi
al komsomol.
E ora passiamo
alla campagna:
il modo di vita
qui è sempre lo stesso.
Vivono,
come un tempo,
un anno dopo l’altro,
E così
vanno a marito,
o s’ammogliano,
come s’acquistano
bestie da lavoro.
Se durerà così
ancora per un po’,
allora,
ve lo dico francamente,
nemmeno il codice matrimoniale
saprà distinguere
dov’è il padre e la figlia,
chi è il figlio e la madre.
Io non sono per la famiglia.
Nel fuoco
e nel fumo azzurro
brucia pure
questo pezzo di vecchiume,
dove brontolavano
le madri-papere
e i figli
proteggeva
il padre-papero!
Si!
Ma viviamo
in intimità
la Comune,
nelle case comuni
s’insudicia la pelle dei corpi.
Bisogna
levare la voce
per la purezza
dei nostri rapporti
e delle cose d’amore.
Non rifiutarti,
si dice, non sono sposato,

Non ci sancisce
un prete chiacchierone.
Bisogna
legare
la vita dell’uomo e della donna
con la parola
che unisce:
“Compagni”.

1926

da “Il grande libro dei dolci” – Giuliana Lomazzi

dipinto di Luigi Bendicenti
da “Il grande libro dei dolci” – Giuliana Lomazzi

Torta delizia alle mandorle
Ormai un classico della pasticceria tradizionale italiana, la torta delizia è originaria della Sicilia. Consiste in un morbido strato di pan di Spagna ricoperto da una pasta di mandorle. Detto così sembra facile, ma la realizzazione non è tra le più semplici. Tuttavia ne vale la pena: come suggerisce il nome stesso, è una delizia! Quella che vi proponiamo è una tipica ricetta dei monti Iblei.
Per 8 persone
Per il pan di Spagna: 250 g di farina 00 • 250 g di zucchero semolato • 5 albumi • 8 tuorli • 60 g di amido di mais
Per farcire: cotognata
Per la copertura: 500 g di mandorle tritate finissime • 500 g di zucchero semolato • uova q.b.
Preparate e cuocete il pan di Spagna con gli ingredienti indicati, seguendo le istruzioni della ricetta base. A cottura ultimata lasciatelo raffreddare completamente prima di farcirlo con uno strato di cotognata.
Preparate la copertura mescolando le mandorle, lo zucchero e le uova sbattute sufficienti per avere un composto spalmabile. Trasferitelo in una tasca da pasticcere con bocchetta dentata larga e ricoprite il dolce uniformemente.
Lasciate riposare a temperatura ambiente per 12 ore.
Infornate a 220° la torta finché la copertura non è ben rassodata. Volendo, quando il dolce è freddo potete lucidarlo con la gelatina.

La canzone del mendicante d'amore - Filippo Tommaso Marinetti

Dipinto di Steve Hanks
La canzone del mendicante d'amore - Filippo Tommaso Marinetti

Poiché sono il mendicante insaziato che cammina
verso il tepore dei seni,
verso il languor delle labbra,
l'implacabil mendicante
che va lungo le spiagge,
rubando amore e baci
per nutrirne il suo Sogno!...
S'aprì la notte cupa appiè del muro,
e tu apparisti, soavemente sbocciata
vicino a me, bianca e pura in mezzo alle tenebre,
vacillando quasi ai consigli della brezza notturna!...
E tutto fu abolito intorno a me,
e il mio sogno infranse il mondo
con un sol colpo d'ala!

La canzone del mendicante d'amore- Filippo Tommaso Marinetti

Giacomo Balla - Rugiada viva 1937 Olio su tavola, cm 105x67
La canzone del mendicante d'amore- Filippo Tommaso Marinetti

Ti avevo vista una sera, tempo fa, non so dove,
e da allora ansioso aspettavo...
La Notte, gonfia di stelle e di profumi azzurrini,
su di me illanguidiva la sua nudità
abbagliante e convulsa d'amore!...
Perdutamente, la Notte
apriva le sue costellazioni
come vene palpitanti di porpora e d'oro,
e tutta la illuminante voluttà del suo sangue
colava pel vasto cielo....
Io stavo, ebbro, in attesa, sotto le tue finestre accese,
che fiammeggiavano, sole, nello spazio...
Immobile, aspettavo il prodigio supremo
del tuo amore e l'ineffabile
elemosina del tuo sguardo!...
.... Poiché sono il mendicante affamato d'Ideale
che va lungo le spiagge
implorando baci e amore, per nutrirne il suo sogno!
Con cupidigia astiosa bramavo i gioielli del cielo
per abbellirne la tua nudità di regina...
e verso di te protendevo
i miei sguardi folli, insanguinati nell'ombra
come braccia scarnite di moribondo!...
Tutto parvemi ingigantito dall'ampiezza del sogno!
Campane rantolavano nel cielo
come bocche mostruose:
le bocche, forse, del Destino!... Campane
invisibili e selvagge
sembravano aprirsi su me, nel silenzio,
come abissi capovolti!...
Un gran muro s'ergea davanti a me,
implacabile e altero come la disperazione!
Aspettavo solo, e migliaia di stelle,
di stelle pazze sembravano sprizzare
dalle tue finestre,
come un vol di faville da una fornace d'oro!...
L'ombra tua dolce apparve nel cavo dei vetri,
simile a un'anima terrorizzata che s'agiti
entro pupille agonizzanti,
e tu per me divenisti una preda
delirante lassù, su la cima estrema
delle torri fastose del mio Sogno!...
L'Amore mio--denti lucenti e occhi adunchi--brandì
con un gran gesto le sue rosse spade
e barbaramente salì
verso il tuo tragico splendore.

Poiché sono il mendicante insaziato che cammina
verso il tepore dei seni,
verso il languor delle labbra,
l'implacabil mendicante
che va lungo le spiagge,
rubando amore e baci
per nutrirne il suo Sogno!...
S'aprì la notte cupa appiè del muro,
e tu apparisti, soavemente sbocciata
vicino a me, bianca e pura in mezzo alle tenebre,
vacillando quasi ai consigli della brezza notturna!...
E tutto fu abolito intorno a me,
e il mio sogno infranse il mondo
con un sol colpo d'ala!

Certo--pensai--nei favolosi giardini
ove s'esilia l'anima mia
chimerici peschi foggiarono
la tua carne flessuosa, con la neve
odorante dei loro fiori
che le sonore dita del vento plasmavano!...
Io venni a te, tremante e religioso,
come in un tempio... avanzandomi incerto
come in un'umida grotta!...
A te venni, inciampando a ogni mio timido passo,
trattenendo il respiro
per non destare il Dolor nel passare!...
Si schiuse il tuo sorriso
nella serena acqua del tuo viso,
come al cadere placido d'un fiore...
S'aprì a ventaglio il tuo sorriso
fluttuando nel cielo, e fece impallidire
il viso impetuoso degli Astri, nel silenzio!...
Io ti parlavo volubilmente di strane cose,
bagnata l'anima di una sgorgante angoscia,
e mi pareva di sentirmi avvolto
dalla corrente d'un fiume voluttuoso.
Avidamente, spiavi tu sul mio labbro
l'Anima mia, come un miele dorato!...

Sentii che il volto mi s'infocava
come un castello incendiato, che il nemico saccheggia.
Ti parlavo, e i miei pensieri stravolti
si riflettevan lontani e vaporosi
nella tranquilla acqua del tuo viso!...
Tu volesti rispondermi, ma non sapesti che dire.
Mi domandasti le mie angosce, i miei timori,
poiché mi vedevi tremar sulla soglia
come trema un colpevole...
Ed io simile ero ai vagabondi feriti
che vanno rantolando
di porta in porta, in cerca di rifugio,
tra i pugni alzati delle folle implacabili!...
Mi parlasti di cose indifferenti!... Domandasti
della mia vita passata, della mia patria lontana...
Volesti sapere il mio nome
e tutto ciò che si suol domandare
ai viaggiatori stanchi, beventi alle fontane,
la sera,
quando tutto si fa nero...
Poiché sono il mendicante affamato d'Ideale
che vien non si sa d'onde,
e va lungo le spiagge...
implorando amore e baci, per nutrirne il suo Sogno!...
Ti seguii fino in fondo alla tua casa;
fummo soli, lontani dalle folle umane,
sulla soglia dell'Infinito, e sentii
la soavità dei crepuscoli sul mare,
quando si ripara in un golfo violetto
umido di silenzio!...
Fummo soli, e il mio Sogno
al tuo Sogno cantò:

--Oh! abbassa languidamente le palpebre
sull'errante follia del tuo sguardo.
Abbassa le tue palpebre mistiche e lente
come ali d'angelo che si chiudano...
Abbassa le tue palpebre rosee,
perché l'agile fiamma dei tuoi occhi vi scivoli
come sospiro di luna tra persiane socchiuse.
Abbassa le tue palpebre e poi alzale ancora,
e potrò smarrirmi alfine nei tuoi occhi,
nei tuoi occhi, per sempre,
come su laghi assopiti, la sera,
tra fogliami placidi e neri!

«Sii dolce, poiché il mio cuore
trema fra le tue dita... Sii dolce!...
L'Ombra è attenta a spiare le nostre ebbrezze, e il Silenzio
si china e ci accarezza
come una madre intenerita... Sii dolce!...
Per la prima volta adoro
l'anima mia perdutamente e l'ammiro
perché t'ama così, come una povera pazza!...
Adoro le mie labbra, poiché le mie labbra ti desiderano...
La mia anima è tua, la mia anima
è sì lontana ed azzurra da sembrarmi straniera!
Davanti a te si umilia, la mia anima,
qual pecora morente, e s'addormenta,
abbrividendo sotto i tuoi fragili piedi
come un prato che tutto s'inargenta
sotto i passi furtivi della luna...

«Vieni!... le mie labbra folli attireranno
il tuo volto pensoso e i tuoi grandi occhi dolenti
verso le spiagge abbagliate del Sogno...
verso divini arcipelaghi di nuvole!...
Le mie labbra saranno instancabili
come i bardotti che lentamente traggono,
nella rosea frescura dei mattini,
le grandi barche dalle vele solenni
verso lo scintillìo perlato
del mar lontano... Ed io
non sarò più che il tuo soffio... E il mio sangue
travolgerà nel suo corso il profumo delle tue labbra,
come un fiume a primavera, inebriato di fiori!...--
Allora la tua bocca rosea s'aprì,
fragile conchiglia rombante,
per mormorare sinuosamente
il delirio dello spazio e il canto febbrile dei mari!
Al ritmo della tua voce, il mio cuore
si preparò lentamente a salpare
verso porti esaltati di sole
e verso sfolgoranti isole d'oro...
Tu mi dicevi ingenuamente
che mai nessuno avea così cantato
alle porte del tuo cuore...
che mai nessuno aveva pianto
il suo sogno e il suo dolore
profumandoti il seno di lagrime!...

Poiché sono il mendicante che piange e si lamenta,
il mendicante affamato d'Ideale
che vien non si sa d'onde, e va lungo le spiagge
implorando amore e baci
per nutrirne il suo Sogno!...

I tuoi gesti assopenti e vellutati
ebbero il carezzevole languore
che hanno i remi sopra l'acque brune, a sera...
L'ora liquida e gemebonda s'increspò abbrividendo.
Le nostre voci caddero...
Ma la Lussuria, ahimè, ci spiava
frugando insidiosa nell'ombra...
la Lussuria ansimante lungo i muri strisciava!...

Dalla finestra aperta, a quando a quando
il vento della notte
si rovesciava su di noi,
avvolgendo la sua groppa oscena
nella porpora delle tende...
Noi vedemmo la lampada d'oro svenire
come una bimba malata tra vaporosi lini,
e dolcemente morire!...
Vedemmo i casti bagliori della lampada
inginocchiarsi, venendo meno, lungo i muri,
come angeli preganti...
e i nostri sogni s'inchinarono, malinconici
e rassegnati, nel silenzio...
Allora il mio folle desiderio t'apparve
sguainato come una spada,
e, brancolando sul tuo corpo puro,
con un gesto selvaggio violentemente cercai
il tepore assorbente della tua bocca.
Fuori di noi, in una nera ebrietà,
sinistramente ci prendemmo le labbra,
come se commettessimo un delitto!
Le labbra mie s'accanirono
sulle tue, pesantemente,
e le nostre bocche ne furono insanguinate
come due lance!

Con un gesto sublime,
tu m'offristi, in delirio, la tua nudità soave
come una fiasca di pellegrino, ed io
abbeverai la mia sete immensa
sul tuo corpo ignudo, fino al delirio,
cercandovi l'immenso Oblìo...
Tremante e come pazza di vertigine
si chinò la mia Anima
sulla tua bellezza radiosa,
perdutamente, come sopra un abisso
vertiginoso di profumi e di calde luci!...
I tuoi occhi s'illanguidirono dolcissimamente
sotto le rosee palpebre
--lampade velate di vaporosa seta--
e, chinato fra i tuoi svolazzanti capelli,
io presi alfine la tua Anima, tutta
la tua Anima, religiosamente,
protese le labbra,
come si prende l'ostia consacrata.

Quando ripresi il cammino
verso la profondità delle livide notti
il cuore mio, fattosi nero, ebbe sete,
e avidamente io bevvi la nera
acqua delle fontane...
.... Indi fuggii, precipitando i miei passi,
verso l'Ignoto...
Poiché sono il mendicante
che va lungo le spiagge
implorando amore e baci, per nutrirne il suo Sogno,
con in cuore il terrore di affondare per sempre
i suoi piedi sanguinanti
nella freschezza carnale delle sabbie, in riva ai mari,
in una qualche Sera
di stanchezza mortale e di Vuoto infinito!..