da “Il gatto che aggiustava i cuori” – RachelWells
Sentivo la pioggia battere sul capanno mentre piangevo silenziosamente tra me e me. Ero sempre stato un gatto molto viziato, adesso me ne accorgevo. Se pensavo a tutte le cose che avevo dato per scontate quando vivevo con Margaret, l’elenco era lunghissimo. Sapevo che sarei stato nutrito, amato, tenuto al caldo e trattato con premura. Passavo le giornate fredde seduto accanto al caminetto caldo nel salotto di Margaret oppure a prendere il sole vicino alla finestra. Ero vezzeggiato e la mia vita era stata un autentico lusso. Era buffo che mi rendessi conto di quanto fossi stato fortunato solo adesso che quella vita non c’era più.
E ora che ne sarebbe stato di me? Quando Mavis mi aveva consigliato di andarmene non avevo previsto che cosa sarebbe successo. Non pensavo che mi sarei ritrovato qui a chiedermi se sarei riuscito a sopravvivere. Non ero assolutamente sicuro di farcela. Era destino che il mio viaggio finisse qui in questo capanno, su una coperta puzzolente? Era quella la mia sorte? Speravo di no, ma non sapevo quale altra possibilità ci fosse. Sapevo che piangersi addosso era sbagliato ma non potevo farne a meno. Sentivo dolorosamente la mancanza della mia vecchia vita e non sapevo che ne sarebbe stato di me. Devo essermi addormentato perché sono stato svegliato da un paio di occhi che mi fissavano; ho sbattuto le ciglia. C’era una gatta in piedi davanti a me, nera come la notte, con gli occhi che ardevano come torce.
«Non ho intenzione di fare niente di male», ho detto immediatamente, pensando che, se aveva voglia di combattere, avrei lasciato che mi facesse fuori.
«Mi era sembrato di sentire l’odore di un gatto. Che ci fai qui?» mi ha domandato ma il suo tono non era aggressivo.
«Volevo riposarmi. Un cane mi ha inseguito e sono finito qui. Era caldo e asciutto e così…»
«Sei un gatto di strada?» ha domandato.
«In teoria no, ma credo di esserlo diventato», ho replicato tristemente.
La gatta ha inarcato la schiena. «Senti, questo è il mio terreno di caccia. Sono una gatta di strada e mi sta bene così. Faccio un grasso bottino delle creature che vengono da queste parti – topi, uccelli… – diciamo che questo lo considero il mio territorio. Volevo solo controllare che non pensassi di prendertelo tu.»
«Certo che no!» Ero sdegnato. «Mi serviva soltanto un riparo dalla pioggia.»
«Finirai per abituarti», ha detto.
“Neanche per sogno!” avrei voluto dire, ma non volevo infastidire la mia nuova compagna. Mi sono alzato lentamente e mi sono avvicinato a lei.
«Diventa più facile?» ho domandato chiedendomi se fosse quello il mio futuro.
«Non lo so, ma ci fai l’abitudine.» I suoi occhi si sono rabbuiati. «In ogni caso, vieni a caccia con me e ti mostrerò dove trovare da bere, poi, però, al mattino sloggi, okay?» Ho accettato le sue condizioni.
Ho mangiato e bevuto ma non mi sono sentito meglio. Quando sono tornato a rannicchiarmi sulla coperta e la mia nuova amica mi ha lasciato, ho pregato che accadesse un miracolo perché, stando così le cose, non credevo che sarei uscito vivo da quel viaggio.
Traduzione di Elisabetta Valdrè
Sentivo la pioggia battere sul capanno mentre piangevo silenziosamente tra me e me. Ero sempre stato un gatto molto viziato, adesso me ne accorgevo. Se pensavo a tutte le cose che avevo dato per scontate quando vivevo con Margaret, l’elenco era lunghissimo. Sapevo che sarei stato nutrito, amato, tenuto al caldo e trattato con premura. Passavo le giornate fredde seduto accanto al caminetto caldo nel salotto di Margaret oppure a prendere il sole vicino alla finestra. Ero vezzeggiato e la mia vita era stata un autentico lusso. Era buffo che mi rendessi conto di quanto fossi stato fortunato solo adesso che quella vita non c’era più.
E ora che ne sarebbe stato di me? Quando Mavis mi aveva consigliato di andarmene non avevo previsto che cosa sarebbe successo. Non pensavo che mi sarei ritrovato qui a chiedermi se sarei riuscito a sopravvivere. Non ero assolutamente sicuro di farcela. Era destino che il mio viaggio finisse qui in questo capanno, su una coperta puzzolente? Era quella la mia sorte? Speravo di no, ma non sapevo quale altra possibilità ci fosse. Sapevo che piangersi addosso era sbagliato ma non potevo farne a meno. Sentivo dolorosamente la mancanza della mia vecchia vita e non sapevo che ne sarebbe stato di me. Devo essermi addormentato perché sono stato svegliato da un paio di occhi che mi fissavano; ho sbattuto le ciglia. C’era una gatta in piedi davanti a me, nera come la notte, con gli occhi che ardevano come torce.
«Non ho intenzione di fare niente di male», ho detto immediatamente, pensando che, se aveva voglia di combattere, avrei lasciato che mi facesse fuori.
«Mi era sembrato di sentire l’odore di un gatto. Che ci fai qui?» mi ha domandato ma il suo tono non era aggressivo.
«Volevo riposarmi. Un cane mi ha inseguito e sono finito qui. Era caldo e asciutto e così…»
«Sei un gatto di strada?» ha domandato.
«In teoria no, ma credo di esserlo diventato», ho replicato tristemente.
La gatta ha inarcato la schiena. «Senti, questo è il mio terreno di caccia. Sono una gatta di strada e mi sta bene così. Faccio un grasso bottino delle creature che vengono da queste parti – topi, uccelli… – diciamo che questo lo considero il mio territorio. Volevo solo controllare che non pensassi di prendertelo tu.»
«Certo che no!» Ero sdegnato. «Mi serviva soltanto un riparo dalla pioggia.»
«Finirai per abituarti», ha detto.
“Neanche per sogno!” avrei voluto dire, ma non volevo infastidire la mia nuova compagna. Mi sono alzato lentamente e mi sono avvicinato a lei.
«Diventa più facile?» ho domandato chiedendomi se fosse quello il mio futuro.
«Non lo so, ma ci fai l’abitudine.» I suoi occhi si sono rabbuiati. «In ogni caso, vieni a caccia con me e ti mostrerò dove trovare da bere, poi, però, al mattino sloggi, okay?» Ho accettato le sue condizioni.
Ho mangiato e bevuto ma non mi sono sentito meglio. Quando sono tornato a rannicchiarmi sulla coperta e la mia nuova amica mi ha lasciato, ho pregato che accadesse un miracolo perché, stando così le cose, non credevo che sarei uscito vivo da quel viaggio.
Traduzione di Elisabetta Valdrè
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