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4 febbraio 2019

da “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” - Luis Sepúlveda

opera di Marjorie Sarnat
da “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” - Luis Sepúlveda

Per molti giorni il gatto nero grande e grosso rimase sdraiato accanto all’uovo, proteggendolo e riavvicinandolo con tutta la delicatezza delle sue zampe pelose ogni volta che con un movimento involontario del corpo lo allontanava di un paio di centimetri. Furono giorni lunghi e pieni di disagi,
che ogni tanto gli parevano completamente inutili perché gli sembrava di prendersi cura di un oggetto senza vita, una specie di fragile sasso, anche se bianco a macchioline azzurre.
Una volta, tormentato dai crampi per la mancanza di movimento, visto che seguendo gli ordini di Colonnello abbandonava l’uovo solo per mangiare e per far visita alla cassetta dei bisogni, provò la tentazione di controllare se dentro quella capsula di calcio cresceva effettivamente un piccolo gabbiano.
Allora avvicinò un orecchio al guscio, poi l’altro, ma non riuscì a sentire niente. Non ebbe fortuna nemmeno quando tentò di guardare all’interno dell’uovo mettendolo controluce. Il guscio bianco a macchioline azzurre era spesso e non lasciava trasparire assolutamente nulla.
Ogni sera gli facevano visita Colonnello, Segretario e Diderot, che esaminavano l’uovo per scoprire se si realizzavano quelli che Colonnello chiamava gli ’attesi progressi’, ma dopo aver visto che era ancora uguale al primo giorno, cambiavano argomento.
Diderot non mancava di deplorare il fatto che sulla sua enciclopedia non venisse riportata la durata esatta dell’incubazione: il dato più preciso che era riuscito a trovare sui suoi libroni diceva che questa poteva durare dai diciassette ai trenta giorni, a seconda delle caratteristiche della specie a cui apparteneva la gabbiana madre.
Covare non era stato facile per il gatto nero grande e grosso. Non poteva dimenticare la mattina in cui l’amico di famiglia incaricato di prendersi cura di lui aveva considerato che nell’appartamento si stava accumulando troppo sporco e aveva deciso di passare l’aspirapolvere.
Ogni mattina, durante le sue visite, Zorba aveva nascosto l’uovo tra i vasi del balcone, per poter così dedicare qualche minuto al brav’uomo che gli cambiava la lettiera e gli apriva le lattine di cibo. Gli miagolava con gratitudine, si strusciava contro le sue gambe, e l’amico se ne andava ripetendo che era un gatto molto simpatico. Ma quella mattina, dopo avergli visto passare l’aspirapolvere in salotto e in camera, gli sentì dire:
«E ora il balcone. È tra i vasi che si accumula più sporco».
Quando udì il fracasso di una fruttiera che andava in mille pezzi, l’amico corse sulla soglia della cucina e gridò:
«Sei diventato matto, Zorba?! Guarda cosa hai combinato! Ora vattene via
da qui, stupido gatto. Ci mancherebbe solo che ti infilassi una scheggia di vetro in una zampa».
Che insulto immeritato. Zorba uscì immediatamente dalla cucina fingendo una gran vergogna con la coda tra le zampe, e trotterellò sul balcone.
Non fu facile far rotolare l’uovo fin sotto un letto, ma ci riuscì, e là attese che l’amico finisse le pulizie e se ne andasse.
La sera del ventesimo giorno Zorba stava dormicchiando, e perciò non si accorse che l’uovo si muoveva, lentamente, ma si muoveva, come se volesse mettersi a rotolare per l’appartamento.
Lo svegliò un solletichio alla pancia. Aprì gli occhi e non poté evitare un sussulto quando si accorse che, da una crepa nel guscio, appariva e scompariva una puntina gialla.
Zorba prese l’uovo fra le zampe anteriori e così vide che il pulcino beccava fino ad aprirsi un varco attraverso il quale fece capolino la sua minuscola testa umida e bianca.
«Mamma!» stridette il piccolo gabbiano.
Zorba non seppe cosa rispondere. Sapeva che la sua pelliccia era nera, ma pensò che l’emozione e il rossore dovevano averlo trasformato in un gatto viola.

Traduzione di Ilide Carmignani

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