da “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” - Luis Sepúlveda
L’amico, come sempre, pulì la cassetta, cambiò la lettiera, aprì una scatoletta di cibo e, prima di andarsene, si affacciò alla porta del balcone.
«Spero che tu non sia malato, Zorba. È la prima volta che non arrivi di corsa appena ti apro il barattolo. Che ci fai seduto su quel vaso? Chiunque direbbe che stai nascondendo qualcosa. Be’, a domani, pazzo di un gatto».
E se gli fosse venuto in mente di guardare sotto il vaso? Solo al pensiero sentì che se la faceva sotto e dovette correre alla cassetta.
Lì, con la coda ben ritta, provò un gran sollievo e pensò alle parole dell’umano.
’Pazzo di un gatto’. Lo aveva chiamato così. ’Pazzo di un gatto’. Forse aveva ragione, perché la cosa più pratica sarebbe stata lasciargli vedere il piccolo. L’amico allora avrebbe pensato che aveva intenzione di mangiarlo, e se lo sarebbe portato via per prendersene cura finché non fosse cresciuto. Ma lui lo aveva nascosto sotto un vaso. Era pazzo? No. Niente affatto. Zorba seguiva rigorosamente il codice d’onore dei gatti del porto. Aveva promesso all’agonizzante gabbiana che avrebbe insegnato a volare al pulcino, e lo avrebbe fatto. Non sapeva come, ma lo avrebbe fatto.
Zorba stava ricoprendo con cura i suoi escrementi quando le strida allarmate del piccolo lo richiamarono sul balcone.
Traduzione di Ilide Carmignani
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