dipinto di Charles Levier
Le città invisibili – Italo Calvino
Le città e gli occhi. 2
È l’umore di chi la guarda che dà alla città di Zemrude la sua forma.
Se ci passi fischiettando, a naso librato dietro al fischio, la
conoscerai di sotto in su: davanzali, tende che sventolano, zampilli. Se
ci cammini col mento sul petto, con le unghie ficcate nelle palme, i
tuoi sguardi s’impiglieranno raso terra, nei rigagnoli, i tombini,
le resche di pesce, la cartaccia. Non puoi dire che un aspetto della
città sia più vero dell’altro, però della Zemrude d’in su senti parlare
sopratutto da chi se la ricorda affondando nella Zemrude d’in giù,
percorrendo tutti i giorni gli stessi tratti di strada e ritrovando al
mattino il malumore del giorno prima incrostato a piè dei muri. Per
tutti presto o tardi viene il giorno in cui abbassiamo lo sguardo lungo i
tubi delle grondaie e non riusciamo più a staccarlo dal selciato. Il
caso inverso non è escluso, ma è piú raro: perciò continuiamo a girare
per le vie di Zemrude con gli occhi che ormai scavano sotto alle
cantine, alle fondamenta, ai pozzi.
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