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18 marzo 2019

l’Orfeo di Claudio Monteverdi (su libretto di A. Striglio), del 1607 - (atto IV ritornello- atto V):

l’Orfeo di Claudio Monteverdi (su libretto di A. Striglio), del 1607 - (atto IV ritornello- atto V):

SPIRITI INFERNALI
Pietate oggi e Amore
trionfan ne l'inferno.
Ecco il gentil cantore,
che sua sposa conduce al ciel superno.
ORFEO
Qual onor di te fia degno,
mia cetra onnipotente,
s'hai nel tartareo regno
piegar potuto ogn'indurata mente?
ORFEO
Luogo avrai fra le più belle
immagini celesti
ond'al tuo suon le stelle
danzeranno co' giri or tardi or presti.
ORFEO
Io, per te felice a pieno,
vedrò l'amato volto,
e nel candido seno
de la mia donna oggi sarò raccolto.
ORFEO Ma mentre io canto, ohimè chi m'assicura
ch'ella mi segua? Ohimè, chi mi nasconde
de l'amate pupille il dolce lume?
Forse d'invidia punte
le deità d'Averno
perch'io non sia qua giù felice a pieno
mi tolgono il mirarvi,
luci beate e liete,
che sol col guardo altrui bear potete?
Ma che temi, mio core?
Ciò che vieta Pluton, comanda Amore;
a nume più possente,
che vince uomini e dèi,
ben ubbidir dovrei.
(qui si fa strepito dietro alla scena)
ORFEO Ma che odo, ohimè lasso?
S'arman forse a' miei danni
con tal furor le Furie innamorate
per rapirmi il mio bene, ed io 'l consento?
(qui si volta)
O dolcissimi lumi, io pur vi veggio,
io pur... ma qual eclissi, ohimè, v'oscura?
UNO SPIRITO
Rott'hai la legge, e se' di grazia indegno.
EURIDICE
Ahi, vista troppo dolce e troppo amara!
Così per troppo amor dunque mi perdi?
Ed io, misera, perdo
il poter più godere
e di luce e di vita, e perdo insieme
te d'ogni ben mio più caro, o mio consorte.
SPIRITI INFERNALI
Torna a l'ombre di morte,
infelice Euridice,
né più sperar di riveder il sole,
ch'omai fia sordo a' prieghi altrui l'inferno.
ORFEO
Dove te n' vai, mia vita? ecco i' ti seguo.
Ma chi me 'l vieta, ohimè, sogno o vaneggio?
Qual poter, qual furor da questi orrori,
da questi amati orrori
mal mio grado mi tragge e mi conduce
a l'odiosa luce?
SPIRITI INFERNALI
È la virtute un raggio
di celeste bellezza,
fregio dell'alma ond'ella sol s'apprezza:
questa di tempo oltraggio
non teme, anzi maggiore
divien se più s'attempa il suo splendore.
Nebbia l'adombra sol d'affetto umano,
a cui talor invano
tenta opporsi ragion, ch'ei la sua luce
spegne, e l'uomo cieco a cieco fin conduce.
Orfeo vinse l'inferno e vinto poi
fu da gli affetti suoi.
Degno d'eterna gloria
fia sol colui ch'avrà di sé vittoria.
Qui di nuovo si volge la scena.

ATTO QUINTO - Scena unica
ORFEO
Questi i campi di Tracia, e questo è il loco
dove passommi il core
per l'amara novella il mio dolore.
Poiché non ho più spene
di ricovrar pregando,
piangendo e sospirando
il perduto mio bene,
che poss'io più se non volgermi a voi,
selve soavi, un tempo
conforto ai miei martir, mentre a dio piacque
di farvi per pietà meco languire
al mio languire?
Voi vi doleste, o monti, e lagrimaste
voi, sassi, al dipartir del nostro sole,
ed io con voi lagrimerò mai sempre,
e mai sempre dorròmmi, ahi doglia, ahi pianto!
ECO
Ahi pianto.
ORFEO
Cortese Eco amorosa,
che sconsolata sei,
e consolar mi vuoi ne' dolor miei,
benché queste mie luci
sien già per lagrimar fatte due fonti,
in così grave mia fiera sventura
non ho pianto però tanto che basti.
ECO
Basti.
ORFEO
Se gli occhi d'Argo avessi
e spandessero tutti un mar di pianto,
non fora il duol conforme a tanti guai.
ECO
Ahi.
ORFEO
S'hai del mio mal pietade, io ti ringrazio
di tua benignitate.
Ma, mentr'io mi querelo,
deh, perché mi rispondi
sol con gl'ultimi accenti?
Rendimi tutti integri i miei lamenti.
ORFEO
Ma tu, anima mia, se mai ritorna
la tua fredd'ombra a queste amiche piagge,
prendi or da me queste tue lodi estreme
ch'or a te sacro la mia cetra e 'l canto
come a te già sopra l'altar del core
lo spirto acceso in sacrifizio offersi.
Tu bella fusti e saggia, e in te ripose
tutte le grazie sue cortese il cielo
mentre ad ogni altra de' suoi don fu scarso;
d'ogni lingua ogni lode a te conviensi
ch'albergasti in bel corpo alma più bella,
fastosa men quanto d'onor più degna.
Or l'altre donne son superbe e perfide,
ver chi le adora, dispietate instabili,
prive di senno e d'ogni pensier nobile,
ond'a ragion opra di lor non lodasi;
quinci non fia giamai che per vil femina
Amor con aureo stral il cor trafiggami.

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